Nicola Battisti – Bellissimo così (Cabezon records)

Cambiamento in divenire per il nuovo di Battisti, cantautore veronese con alle spalle una crescita costante e un disco di tre anni fa che lo ha visto protagonista del suono di quel tempo fatto prevalentemente di chitarre acustiche e canzoni strutturalmente ambiziose nonché difficili da eguagliare.

Oggi si cambia, oggi è il momento di dare una ventata di novità al cammino passato, oggi ci sono le basi elettroniche e un’ambizione connotata dal forte respiro internazionale, capace di penetrare fino in fondo con pezzi più diretti, da canzone radiofonica con piglio alternativo che male non fa e galleggiando in un r&b emancipato e una voce che convince sempre più.

Un disco sulla bellezza dell’amore e sulle istantanee che si ammirano solo in quel momento, un disco sulla lucidità in divenire contornata da un pop mai mieloso, ma accattivante e convincente, una leggerezza che non è sinonimo di mancanza di spessore, ma è proprio quella grandezza di cui abbiamo bisogno per ammirare i gesti quotidiani da un altro punto di vista.

La bellissima Ti porto al mare è l’esempio di come la melodia tessa trame sostanziose e allo stesso tempo disimpegnate, sempre alla ricerca di un buon motivo per confezionare dischi così, sempre alla ricerca di un proprio cammino; un talento che non ha bisogno di discussioni per un album che ne è lo specchio.

Officina della camomilla – Palazzina Liberty (Garrincha Dischi/Panico Dischi)

Disco che disorienta e spazia in maniera del tutto improvvisata da sonorità lisergiche e quasi psichedeliche verso sostanziose ballate chitarristiche quasi live che in primo piano si fanno racconto di un mondo in decadenza, di un’istantanea accesa dal colore del mare e pronta a sconfiggere l’inutilità per arrivare al succo comprensibile solo da pochi; questo disco è un salto nel vuoto, il vuoto del tempo da colmare, il passaggio segreto, osando e ripetendo, evitando la caduta e magari costruendo nuove forme di società reale, vera, grazie ad occhi sempre aperti, fatti per vedere, fatti per respirare.

Sgangheratezza cosmica che si lascia espandere con intro infinite, dilatate, orchestrali, arrangiamenti studiati per creare tappeti addobbanti foreste, tra Swing, Valzer, Industrial da rave e quell’approccio tanto caro al passato che vede ancora quella tastiera a comporre melodie di facile presa e giusta ambizione, i Beatles e i Verdena, spruzzate di Pink Floyd, Sycamore Age e la cover simil Closer dei compianti Division per un album che è pura transizione per i giorni che verranno, uno studio di un concetto, di un qualcosa che era e che ora si fa ombra, un corridoio oscuro, una porta in fondo alla notte e poi la luce, tanto bella ed essenziale che ti viene voglia di baciarla.

Humanoira – Fedeli alla linea (Seahorse/Audioglobe)

Dopo sette anni dal loro ultimo lavoro ritornano di gran carriera gli Humanoira con un disco arguto e di denuncia, capace di spiazzare sin dalla lettura dei soli testi, che attraverso giochi di parole ci fanno capire come la società di questi tempi sia cambiata, valorizzando maggiormente aspetti che fino a qualche decennio fa erano semplicemente futili e poco considerati.

Fedeli alla linea ricorda i CCCP, ma qui si parla di linea della pancia, passiamo all’apertura in follia registrata con Offerta Wanna Mare per proseguire con deliranti Acari Cari, E allora senti cosa Fo’ e a seguire Il re fasullo per poi imbatterci in altre sgangheratezze soniche che si completano con Punto Vita.

Ci sono un sacco di argomenti e un sacco di spunti in questo disco, c’è il desiderio di fuggire e il desiderio di cambiare la nostra Italia, il bisogno essenziale di cercare qualcosa di diverso dentro a tutta questa opulenza, dentro a tutta questa falsità e il tentativo musicale di unire stili diversi in momenti di psichedelia lisergica che abbraccia l’elettronica e la sperimentazione; un album da assaporare in piccole dosi, per capirlo profondamente, perché qui c’è del materiale che scotta e di sicuro valore.

Flat Bit – Imperfette Condizioni (Alka Record Label)

Siamo alla ricerca costante della nostra condizione perfetta, alla ricerca di un qualcosa che ci faccia stare bene, anche se alla perfezione bisogna sapere rinunciare, bisogna piuttosto cominciare a pensarla in modo diverso, uscire dagli schemi precostituiti e dare un senso più personale e profondo alla nostra esistenza; noi gettati in questa scatola che si chiama vita e pronti a rendere le nostre esistenze similari ad altre, solo per pigrizia ed inerzia.

I Flat Bit con questo disco ci insegnano a trasformare il nostro percorso, lo fanno con un piglio pop rock dal sapore dolce amaro, con testi taglienti ed ironici a tal punto da creare un tutt’uno con una musicalità che rinuncia in parte ai sintetizzatori di un tempo e creando con l’ascoltatore storie in cui quest’ultimo riesce a immedesimarsi, criticando l’idea collettiva di fotocopia perenne e raggiungendo apici  di sicuro effetto con il singolo 2000 mode.

Un disco da un lato sbarazzino, dall’altro pregno di significato, capace di muoverci dentro e consegnando sei tracce che spaziano in modo disinvolto tra synth pop e punk rock melodico per un concetto di libertà che parte principalmente ed essenzialmente da noi.

Animarma – Horus (Alka Record Label)

Anima e arma, contrapposti per sempre in un’eterna lotta, abbandonando i fasti dell’incompreso inglese, per approdare ad un italiano convincente e che colpisce per argomenti trattati in un ep fatto di canzoni al fulmicotone che lasciano il segno, cinque pezzi di grande impatto sonoro in vibrante alternative rock costante che porta appresso un concetto, un’esigenza che fotografa l’istante, un elemento, per creare una continuità con il passato e nello stesso tempo per dare vita a pezzi che parlano di morte conoscendo la vita, portando alla rinascita, portando ad essere noi stessi veicolo per il nostro futuro migliore.

Pezzi confezionati a dovere tra le strade polverose e disarmanti, dove l’oblio e la disperazione lasciano il posto alla rassegnazione e quel campo lungo visionato che rappresenta la nostra vita attimo dopo attimo, alla ricerca della strada perduta tra le dune di sabbia infinite, alla ricerca di un sorso d’acqua, alla ricerca di qualcosa di diverso nel mare di ogni giorno.

Siranda – La scatola del male (Resisto)

 Primo full lenght in studio per la band siciliana che riesce a mescolare la critica sociale verso un mondo che non ci appartiene con le suite prog rock in divenire e la sostanza incapsulata nella canzone d’autore di un tempo in un misto alquanto importante di rock e cantautorato, criticando punti di origini e partenza e avendo un occhio di riguardo per tutto ciò che li circonda; una protesta che si fa punto di svolta per le nuove generazioni, un modo diverso di affrontare la vita, attraverso testi che non sono mai banali, ma si rifanno ad una ricerca che ha le proprie radici proprio nella musicalità della lingua italiana, sui termini di confronto, sulle metafore.

Area e PFM a farla da padroni, passando per il Banco e tutto ciò che ha caratterizzato gli anni ’70 nella nostra nazione, quando ancora c’era la voglia di sperimentare e di mettersi in gioco, quando ancora a livello musicale potevamo alzare in alto i nostri occhi e guardare in faccia, senza paura, il pubblico americano e inglese.

Nove tracce che sono critica quindi di questa società, nove pezzi che sono da monito nei confronti di questa scatola del male chiamata Tv che fagocita e non conserva altro, che percepisce soltanto il colore dell’oro e non ridà quella speranza ormai perduta.

 

Rideouts – Heart & Soul (Autoproduzione)

Nuovo disco per la decennale carriera della band triestina che giunta ad un nuovo punto della propria percorrenza alza il tiro dando vita ad un lavoro che mescola una moltitudine sonora di ballate importanti che acquistano il loro splendore direttamente dagli anni ’60 passando al pop, fino al garage rock più sporco e ruvido capace di graffiare e far saltare al primo ascolto.

Tanto cuore e tanta anima dicono i nostri, io aggiungerei anche tanta bravura nel sapere incastonare i numerosi tasselli che caratterizzano questo album, dandogli una forma sempre nuova e cangiante, fresca anche se in qualche modo con un occhio che guarda al passato.

In queste undici canzoni si ascoltano echi di Hendrix, dei Beatles e dei Led Zeppelin senza tralasciare l’importanza che i nostri hanno saputo guadagnarsi oltre oceano, dove i loro pezzi, in passato, sono stati scelti tra le proposte di importanti tv americane.

Un disco proiettato quindi verso il futuro e nello stesso tempo verso il passato, un album elegante e ricercato, capace di essere diretto e raffinato, pronto a conquistare qualche palato esigente, laggiù oltre il mare che conosciamo.

 

Mom Blaster – Reset (Ridens Records)

Dal suono primitivo che incanala dub e reggae cantato in inglese si approda a lidi più conosciuti, italiani, ma di nuovo approccio che spaziano dal rock all’elettronica grintosa, con synth sparati a mille e quella necessità sbarazzina di creare melodie che si intercorrono lungo tutto il disco, senza tralasciare la componente poetica, senza tralasciare l’importanza di dare un messaggio unico e soprattutto sentito.

Loro sono i Mom Blaster e grazie a questo nuovo lavoro: Reset, si propongono di resettare per l’appunto tutto ciò che è stato il passato per percorrere una nuova strada, più battuta, ma non per questo meno impervia, portando con se una forte preparazione che permette loro di superare a pieni voti la fatica intascando la lezione dagli anni ’90 per poi donare freschezza e genuinità in pezzi dolce amari e quell’inequivocabile bisogno di comunicare senza mezze misure e senza mezzi termini.

Un disco quindi diretto, per certi versi innovativo, che non stanca di ricercare la propria anima nei percorsi della vita stessa.

Kiwibalboa – Tre buoni motivi (LaClinicaDischi)

Bene trattenete il respiro e tuffatevi con me nell’oceano di queste canzoni, che racchiudono un mondo da raccontare, racchiudono un’esigenza di vita che va oltre il già sentito e si ripromette di essere faro per una cultura indie pop che sta virando sempre più verso il rock e le stagioni degli anni ’90, quando le sonorità in minore racchiudevano melodie bellissime e impresse nella mente, dischi che non si dovevano lasciare scappare, a segnare la scena, a ricoprire il bagliore per trasformarlo in qualcosa di diverso, qualcosa che fosse diviso nel tempo per essere appreso totalmente.

I Kiwibalboa sono tutto questo e intascano una prova da primi della classe, cinque pezzi belli tirati che raccontano di disagi di vita e bisogno di cambiare, lo fanno passando direttamente dai loro vissuti, tre buoni motivi per essere se stessi, tre buoni motivi che muovono le idee e i bisogni umani, un album che apre una nuova stagione e ricerca nella propria indipendenza attimi di aria per non affogare.

Braski Lacasse – So afraid to be alone (Autoproduzione)

Band mascherata all’insegna del divertimento in una commistione di generi rock che si fonde con gli inizi degli anni ’70 fino ad arrivare ai giorni nostri, passando per Kiss, Turbonegro e Muse e dando vita ad uno spettacolo danzereccio che fa uso di proiezioni di filmati d’epoca e linguaggio teatrale all’insegna di un’impostazione sopra le righe e di sicuro impatto in chiave live.

Un disco mutevole e cangiante che lascia spazio a momenti di respiro e melodia sonora per passare repentinamente a ritmi martellanti e testi disinvolti che parlano di rapporti d’amicizia che finiscono male, tra opportunismo e lealtà mancata, una ricerca costante del proprio posto nel mondo, tra musica scanzonata e testi diretti ben impostati, dove il sapore dell’amaro in bocca scivola velocemente per lasciare spazio ad un sorriso, quel sorriso che ci accompagna già dalle prime note di I loved you so fino alla Wild and lost che chiude il cerchio e muta i sogni in qualcosa di concreto, con la testa alta e gli occhi protesi al futuro attraverso quel viaggio chiamato vita senza fine e dalle grandi aspettative.