Andy & Le banane – I diari della stampella (Indiemood)

Sapori di musica cantautorale d’altri tempi che incrociano con un certo fare stilistico le impressioni di un folk strappato alle pagine del passato, mescolato alla migliore tradizione gitana, per una musica d’autore che colpisce nel profondo proprio quando meno te lo aspetti. Il disco di Andy & Le banane, progetto del siciliano Ezio Castellano, unisce la tradizione con un qualcosa di più moderno e quasi inafferrabile, sorretto da una poetica da strada che trova nell’alcol e nelle esperienze di vita una morale Bukowskiana che segna il cammino e lascia spazio alle sperimentazioni del nostro, in stato di grazia e pregevolmente affilato nei testi e nelle immagini da comunicare. Canzoni come Bang bang, Lola, Maruzza, Quelli del Tul bar, Vecchia amica segnano indelebilmente peculiarità e aspettative, segnano confini e danno un senso alle creazioni di questo disco che come luce notturna apre a spiragli di quotidianità intensificando i colori bucolici di un movimento andante per le strade della vita. 


Colin Spring – How I came to cry these tears of cool (Home Recorded Culture)

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Disco del 2005 espatriato dall’America all’Italia, album importante per lo sconosciuto, in Europa, cantautore americano Colin Spring. Un insieme di canzoni in stato di grazia e capaci, con una poetica viaggiatrice, di dare senso e preponderanza a sogni che diventano realtà, a chiarificatrici esigenze di comprendere, con senso profondo, un bisogno di comunicare che va oltre le aspettative. Odori di sabbia, di canyon desolati, di città fatte di legno, speranze e illusioni, desideri e meraviglie che si sposano con una canzone autentica e necessaria capace di sfiorare il miglior Dylan o lo Springsteen solitario di Nebraska o di The ghost of Tom Joad. Colin Spring ci dona perle di rara intensità. Questo album datato duemilacinque e penultimo di una carriera come stella luminescente disseminata di duro lavoro e forse non contraccambiata dalle giuste attenzioni contiene canzoni come Lover, there’s a light on, Give my regrets to Broadway, Let’s burn the guitars, Chinatown che sono l’esemplificazione di un bisogno costante di ricerca nella tradizione, di bellezza in movimento sulle strade solitarie della vita. Dall’altra parte dell’oceano stanno aspettando che Colin Spring ritorni a raccontare della sua terra e del suo mondo dolce amaro, a noi invece il compito di recuperare o meglio scoprire un’eredità ingiustamente lasciata in disparte tra città abbandonate e modernità che corre alla velocità della luce. 


Gentlemens – Triage (Hound Gawd!Records)

Album a velocità sonora intrinseca che sporca di blues un rock’n’roll aperto a nuove invettive e prorompente quanto basta per cambiare le sorti e le movenze costruttive di un carico da portare a termine, di una missione al fulmicotone che rilascia nell’etere bisogno di gridare al mondo uno stato apparente di appartenenza. Il disco dei Gentlemens corre veloce, non fa sconti e ingloba Jon Spencer Blues Explosion ai White Stripes in sodalizi che vedono l’apice della loro architettura fondersi con qualcosa del passato che apre a radici composte da velocità e subalternità, da prodigiosi costrutti e rapidità sonora mai banale, ma piuttosto sedimentata in passione infinita. Da Still I am a Sin love pray questo disco ha il sapore del palco, porta con sé il sudore di un’esperienza live che ridona vitalità e freschezza ad un genere quotidianamente decantato morto, ma che nel complesso è parte essenziale di una prova superlativa, fuori dagli schemi, oserei dire in stato di grazia. 


Kros – Rough Romances (Autoproduzione)

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Sudori e compressioni che abbracciano uno stile del tutto personale capace di creare legami profondi con la musica di qualche decade fa unendo volutamente visioni e costruzioni architettoniche che si perdono sulle malinconiche introspezioni di una musica in qualche modo da scoprire. Celati umori poi fanno da contraltare a cinque canzoni presentate all’interno di una corrente viscerale che trasforma sonorità compiacenti in qualcosa di fuggevole e a tratti inesplicabile che rende l’universo creato dai nostri un punto d’attracco coscienzioso e materico dove i parallelismi con la scena autorale crollano quando l’indie rock prende il sopravvento. Un disco sofisticato quindi, un album che nella semplicità e sovrapposizione dei riff proposti risulta essere quasi psichedelico nella sua forma e nella sua sostanza. Rough Romances anticipato dal singolone Insane è un disco da scoprire, un album capace di amplificare la mente spaziando attraverso le correnti del tempo. 


Il DUbbio – Evoluzione (Autoproduzione)

Rarefazioni post rock che si incontrano all’interno di scatole da cui difficilmente è possibile uscire attraverso un sodalizio sonoro che attinge dal divincolato bisogno materico un punto di vista essenziale per comprendere poetica ermetica di rabbia e bisogno di rivalsa in un riscatto che dura una vita intera. Il nuovo de Il DUbbio è un agglomerato di musica strumentale con testi parlati che incrociano la metropoli, la città con qualcosa di vivo e interiore, un luogo intimo da dove poter scavare lucide impressioni che si mantengono e soprattutto sfiorano la bellezza del tempo che trascorre. Evoluzione è un proprio un cammino, una fase successiva, un rientro dall’abbandonato ricoprendo di energia nuova un disco che ha bisogno di uscire dal diario della vita grazie alle parole del pugliese Niko Lotti fautore di questo progetto importante e capace di ricoprire di terra fertile pensieri in dissolvenza continua. 


Keet & More – Overalls (Impronte Records)

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Blues del delta sporcato dal folk e da quell’insaziabile esigenza di mettere su carta il senso profondo di un viaggio che non ha confini, ma che piuttosto imbriglia, fagocita e permette di tuffarci a pieni polmoni all’interno di un mondo destrutturato e del tutto personale. Il primo disco dei romani Keet & More corre veloce lungo le strade della vita dove strumenti acustici si fondono con violini, banjo, armoniche a ricreare un senso coeso con una musica diffusa oltreoceano, una musica che esce da un film di Leone o Tarantino passando per visioni che nell’introspezione immaginifica trovano un punto di contatto con quello che siamo e con quello che vorremmo diventare. Overalls racconta di quotidianità e speranza, racconta di cose semplici, ma non banali, il tutto condito da classici suoni che sono nell’immaginario collettivo punti d’ispirazione sempre alti e condivisibili. I Keet & More, in gran spolvero, con questo disco, ridanno vita ad un genere forse dimenticato, ma capace sempre e comunque di alimentare storie e desideri che vanno oltre le rappresentazioni di questo tempo. 


Road of Kicks – Before the stone (Autoproduzione)

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Gruppo di quattro supereroi in grado di attivare cellule cerebrali attraverso la storia dello sporco e grezzo blues contaminato da riff rockettari della prima ora e quell’appeal indie che non guasta, ma che permette di dare nuova linfa vitale a produzioni moderne, ma che hanno inevitabilmente uno sguardo rivolto al passato. I Road of kicks danno vita ad un disco fragoroso, dirompente che non permette momenti di tregua, ma piuttosto ingloba la velocità del sogno e la potenza sempre eterna di una band che vede nel rock un momento di rilancio e di freschezza sempre vera. Before the stone parte dalle radici, dagli antipodi, da Little Richard, Elvis, Chuck Berry i Led Zeppelin, Hendrix fino a Johnny Cash per un suono d’insieme notevole e affiatato capace di creare un primo disco che in chiave live donerà il meglio di sé facendo entrare l’ascoltatore all’interno di un mondo inevitabilmente in collisione con questa contemporaneità. I Road of kicks mescolano le carte in tavola e trasformano l’usuale in qualcosa di eccezionale. 


Nails and Castles – Still chasing you (Prismopaco Records)

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Duo contemporaneo capace di mescolare atmosfere elettroniche targate ’80 con qualcosa di più moderno, ma nel complesso dal forte appeal costruttivo per una musica d’insieme ricca di sfumature e sporcata da elementi acustici, vivi e impattanti, elementi che vanno oltre le aspettative per dare vita ad un album studiato e ricco di appeal emozionale. Il disco dei Nails and Castles è un concentrato d’amore per qualcosa che non c’è più, un insieme di storie, racconti sempre vivi che interagiscono con l’ascoltatore e stupiscono per cura maniacale nel fare uscire pezzi inaspettati dal cilindro della conoscenza. Estetica dunque in musica, uno spassionato bisogno di comunicare attraverso grafica, installazioni, momenti rarefatti e psichedelia moderna per un suono d’insieme davvero importante e coinvolgente, sicuro delle proprie ambizioni, unico nel suo bisogno interno di stupire. Still chasing you è un album che può sembrare di facile presa, ma nasconde al proprio interno una complessità che diventa pregio per una manciata di canzoni emozionanti. 


March Division – Rain Empire (Prismopaco Records)

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I March Division ci hanno abituato bene con questi dischi dal sapore spaziale, ma con i piedi ben appoggiati al suolo. I March Division, collettivo milanese al terzo disco, costruiscono architetture simbiotiche che legano l’etere circostante ad improvvisazioni che risalgono gli abissi elettronici di una coscienza in dissoluzione partecipando alla creazione di un nuovo mondo, di una nuova sfera capace di far girare ordini precostituiti e sperimentazioni  in grado di colpire pienamente il bersaglio designato. Rain Empire è un disco cupo, un album di synth pop oscuro che affonda le proprie radici all’interno di una città malata, all’interno di una piovosa evoluzione del tempo che non tradisce, ma che piuttosto si sofferma nel raccontare amori e disillusioni di questi tempi il tutto all’interno di una cornice a tratti asettica, a tratti completa e disturbante. Rain Empire permette all’ascoltatore di passare con facilità dalla traccia d’apertura Shake me Gently fino a U.F.O. raccontando gli umori di una generazione con gli occhi al futuro, ma persa completamente in un passato musicale che non tornerà più. 


Listrea – Placide Nife (Autoproduzione)

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Chitarre anni ’90 per un rock cantato in italiano che accende i riflettori su sferzate elettriche in dissolvenza e raccontano malinconicamente un mondo in evoluzione partendo da associazioni ambientali che ben si sposano con una poesia a tratti ermetica che ricorda i primi Verdena e incasella a dovere un gusto mai  retorico per suoni sempre accesi. Il disco dei neonati Listrea è un’autoproduzione davvero genuina che vede ampi margini di libertà e di rinnovamento, capacità intrinseca atta al miglioramento e amore per quelle cose genuine, punk, immediate e collateralmente espresse per dare forma e sostanza a bisogni che si fanno strada e percorrono vie interiori. Placide Ninfe apre un percorso in salita, rinnovato di spirito e mai sazio di imparare cose nuove. Bravi.