Nails and Castles – Still chasing you (Prismopaco Records)

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Duo contemporaneo capace di mescolare atmosfere elettroniche targate ’80 con qualcosa di più moderno, ma nel complesso dal forte appeal costruttivo per una musica d’insieme ricca di sfumature e sporcata da elementi acustici, vivi e impattanti, elementi che vanno oltre le aspettative per dare vita ad un album studiato e ricco di appeal emozionale. Il disco dei Nails and Castles è un concentrato d’amore per qualcosa che non c’è più, un insieme di storie, racconti sempre vivi che interagiscono con l’ascoltatore e stupiscono per cura maniacale nel fare uscire pezzi inaspettati dal cilindro della conoscenza. Estetica dunque in musica, uno spassionato bisogno di comunicare attraverso grafica, installazioni, momenti rarefatti e psichedelia moderna per un suono d’insieme davvero importante e coinvolgente, sicuro delle proprie ambizioni, unico nel suo bisogno interno di stupire. Still chasing you è un album che può sembrare di facile presa, ma nasconde al proprio interno una complessità che diventa pregio per una manciata di canzoni emozionanti. 


March Division – Rain Empire (Prismopaco Records)

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I March Division ci hanno abituato bene con questi dischi dal sapore spaziale, ma con i piedi ben appoggiati al suolo. I March Division, collettivo milanese al terzo disco, costruiscono architetture simbiotiche che legano l’etere circostante ad improvvisazioni che risalgono gli abissi elettronici di una coscienza in dissoluzione partecipando alla creazione di un nuovo mondo, di una nuova sfera capace di far girare ordini precostituiti e sperimentazioni  in grado di colpire pienamente il bersaglio designato. Rain Empire è un disco cupo, un album di synth pop oscuro che affonda le proprie radici all’interno di una città malata, all’interno di una piovosa evoluzione del tempo che non tradisce, ma che piuttosto si sofferma nel raccontare amori e disillusioni di questi tempi il tutto all’interno di una cornice a tratti asettica, a tratti completa e disturbante. Rain Empire permette all’ascoltatore di passare con facilità dalla traccia d’apertura Shake me Gently fino a U.F.O. raccontando gli umori di una generazione con gli occhi al futuro, ma persa completamente in un passato musicale che non tornerà più. 


Dave Muldoon – Smoke Steel and Hope (Prismopaco)

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Suoni desertici ed enigmatici per un disco che arriva dopo nove anni dal precedente e che risulta in grado di creare atmosfere da assaporare sul far della sera, accovacciati su di una sedia a dondolo che si muove scandendo regolare il tempo. Dave Muldoon si fa attendere, ma nel contempo dà vita ad una prova davvero importante e a tratti granitica in grado di osservare attentamente i cambiamenti del nostro essere, in grado si soverchiare l’ordine precostituito per dare vita ad un album in continuo divenire ricco di citazioni e di solitudine, di velata introspezione e malinconia che attanaglia, prende allo stomaco e ci conduce verso un’altra realtà. Si vola facilmente nei territori di un Springsteen solitario, passando per il Tom Waits migliore e per qualche paesaggio dipinto per l’occasione da Nick Cave e Bob Dylan pur mantenendo una costante di fondo che si muove tra originalità e leggera sperimentazione. Un disco scritto per la gente, un disco fatto di quotidianità e piccoli drammi che colpiscono l’uomo da vicino, dieci canzoni che, ne sono convinto, almeno un po’ vi cambieranno dentro. 


Tita – Andare oltre (Prismopaco Records)

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Il senso del viaggio e della lontananza da raggiungere, delle strade raccolte al filo rosso della memoria, al filo che ingloba e ci conduce verso un’altra realtà fatta di sogni, paure e speranze, fatta di substrati di ricordi e vita da vivere in tutta la sua importante ragione d’essere; momenti quindi inconfutabili, istantanee, raccolte, visioni. Il disco di Tita, all’anagrafe Cristina Malvestiti è un concentrato emozionale che intesse chitarre gitane in arpeggi preponderanti che fanno scattare scintille di intersezioni con un pop cantautorale raffinato e davvero mai urlato, ma piuttosto incamerato in un suono energico, ma nel contempo introspettivo, denso. Una musica piena che nella voce trova un’intimità avvolgente disintegrando al suolo qualsiasi forma di banalità per ritrovare un proprio stile in una manciata di brani, in un insieme concreto di avventure che sono vita e costruzione, ossatura stabile e fragilità in bilico. Pezzi come I nomi delle cose, Bambina, Sono nati fiori a volte, Io sono io fanno da collante fondamentale in questo viaggio nel contemporaneo, apprendendo al meglio la lezione del less is more e consegnando all’ascoltatore un gusto d’insieme che nella sua interezza raggiunge l’inaspettata eleganza. 


IN.VISIBILE – Exotic White Alien (Prismopaco Records)

Tuffo nel passato, tuffo nell’elettronica condivisa e unita a forme desuete di passaggio che incrociano gli anni ’80 con qualcosa di più moderno e nel contempo più arcano, quasi proveniente da un altro mondo o perlomeno distante dall’idea occidentale di musica per come la conosciamo. Nell’album di IN.VISIBILE si nascondono le fusioni con terre lontane, c’è l’amore per il suono metropolitano, sintetico, grigio e a tratti cupo con ambizioni che si affacciano alla musica magrebina e indiana in sodalizi che in questo Exotic White Alien si divincolano a dismisura dal già sentito e trovano un proprio canale di sbocco in una musica ben suonata e digerita, frutto di un lavoro di cesello e finemente lavorato ad arte, dando un senso maggiore al tutto con la partecipazione, ancora una volta, del produttore/musicista Lele Battista e di Paolo Iafelice nella fase di missaggio ad inglobare un punto sempre più alto nella carriera del musicista piemontese. Andrea Morsero in arte IN.VISIBILE costruisce una prova davvero interessante che sa mescolare con importanza la new wave e la psichedelia oltre oceani in un disco di sicuro impatto introspettivo.

Barack – Lose the map, find your soul (Prismopaco Records)

 

Viaggio cantautorale raffinato e introspettivo dove i colori di fondo oscuri si amalgamano in un concentrato di sfavillante sogno capace di intessere trame legate ad un mondo componibile, un mondo in costruzione che erige edifici di sabbia e li distrugge con la velocità della luce meravigliando l’ascoltatore con appeal emozionale e rapide ascese verso questo e altri universi, verso miriadi di stelle che si fanno veicolo linguistico per il cantautore di origini italo-francesi Lorenzo Clerici in arte Barack. Un cantautore dall’animo sopraffino che ricorda i lavori di Nick Drake fino a The Niro passando per le solitarie esigenze di Jimmy Gnecco e i suoi Ours in un cantato crepuscolare che si muove negli anfratti della nostra coscienza instaurando architetture di rara intensità. Pezzi come Lines, Lies, Victory sono in costante rapporto con un senso da costruire, un senso del tutto che si apre verso questo e altri traguardi per un confine superato che diventa linea proprio quando l’amore verso la bellezza trova il suo senso più profondo e da la possibilità a dischi come questo di uscire allo scoperto.

Slowtide – Slowtide (Prismopaco Records)

Suoni che si confondono con il crepuscolo serale e lasciano spazio ad un’introspezione di fondo che si sposa bene con le note di elettronica mai conclamata, ma piuttosto lasciata a fermentare come un buon vino raggiungendo apici notevoli proprio quando l’indietronica passa ad un trip hop emozionale che ricorda per certi versi la musica degli italiani Amycanbe in una cura del suono e degli spazi aerei circostanti in grado di mantenere una certa tensione di fondo capace di penetrare nella carne e non lasciarci più. Quello degli Slowtide è un disco altamente contagioso, in grado di catturare l’ascoltatore al primo ascolto, complici le melodie portanti, complici le voci che percorrono, come un brivido lungo la schiena, le nostre vertebre dorsali, fino a salire nel punto di contatto con il nostro cervello, tra le pulsioni e la realtà da affrontare. Undici tracce di puro stampo internazionale che intensificano rapporti e capacità per una prova d’esordio davvero notevole e curata che si merita i primi posti tra le produzioni di genere in un sali scendi condiviso ricco di spunti e innovazioni in chiave pop.

MUTO – Independent (Prismopaco Records)

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Viaggio nello spazio profondo alla ricerca del beat giusto il beat perfetto in un anfratto stilistico che ricava la propria dimensione, la propria dimora attraverso le costellazioni e il buio in un divagare senza meta che costringe l’ascoltatore ad entrare in una purificazione fatta di luce e ombre misteriose, tra le compenetrazioni dei momenti e gli abbagli della vita quotidiana, per questo progetto di suoni e molteplicità che avanza, un nuovo disco che si fa percorso all’interno di una società automa alla ricerca del nostro essere veri e reali, esseri indipendenti e capaci di conquistare quelle piccole parti di vita che in verità ci appartengono fino nel profondo, per un album fatto di otto incursioni paranormali che rendono meno sfocata quell’idea di musica che si fa mezzo per comunicare attraverso ogni latitudine terrestre, un viaggio elettronico in balia del vento e del mare tra isole da conquistare e porti/canzoni in cui riposare.

The Circle – How to control the clouds (Prismopaco Records/Costello’s)

Come controllare le nuvole, tra sbalzi umorali e tempeste in arrivo, i nostri torinesi The Circle ce lo spiegano, confezionando un ottimo lavoro rock dal gusto internazionale capace di concentrare gli spazi angusti in esplosioni pop che colorano l’aria e abbracciano tempestivamente le orme caratteriali dei primi 2000, facilmente accessibili a delay che diventano per l’occasione un marchio di fabbrica a ristabilire un giusto equilibrio tra introspezioni d’animo ed energia pronta ad uscire in qualsiasi momento, facile viene il paragone con i britannici Coldplay, sia per stile che per orecchiabilità della proposta, in cerca di una fase sempre attiva di sperimentazione, simili per certi versi a quel  X&Y che ha visto la band capitanata da Chris Martin porsi tra un crocevia che lega passato con il futuro; i nostri però, in questa prova, si propongono attraverso una forte dose di personalità e coraggio, dentro ad un mondo che è in continuo e veloce sviluppo, loro sono lì a raccontarlo e lo fanno attraverso pezzi come Shadows, The Endless Sky, Love don’t cry per un disco che ha una modernità impattante di fondo pronta ad esplodere in ogni momento per colorare un mondo che ha bisogno ancora di luce.

Merkel Market – La tua catena (Prismopaco Records)

Diciassette pezzi contro un sistema malato, un album che scorre le infinite possibilità della vita annientando il superfluo e denunciando una realtà spesso opprimente e discostante, garantendo un punto friabile di roccia che scivola da una ripida montagna alla ricerca di un suolo dove infrangersi e distruggersi, un punto di contatto fatto di bassi pesanti e cantato a squarciagola pronto ad assicurare l’esigenza  dei Merkel Market di parlare di prodotti di consumo, di merci e capitalismo sfrenato, senza mezze direzioni o punti fermi, dove la violenza umana è realtà tangibile, è ciò che subiamo giorno dopo giorno, è memoria che si fa carne presente per una band che sa parlare, attraverso un post hardcore d’annata, delle esigenze di intere generazioni, afflitte dalla ripetuta presenza di stereotipi viventi da abbattere, per non subire ancora e soprattutto per essere responsabili appieno delle nostre, brevi vite.

Sono pezzi rapidi e hanno l’odore del fuoco che brucia tutto ciò che possiamo vedere davanti ai nostri occhi, da Il dittatore fino a Asesino i nostri ci convogliano all’interno del loro girone dantesco, cercando, tra le fiamme, una nuova via da seguire, emblema di questo tempo abbandonato al confine per una generazione che non conosce futuro.