Gli occhi degli altri – Non ci annoieremo mai (Edac Studio)

Respirare alberi lontani e maturi sulle rive di un lago che restringe il campo d’azione e a fianco le montagne imponenti che pian piano si diradano verso una pianura nebbiosa, sconfortante malgrado le intenzioni, attesa invece per entrare in un mood, in uno stile fattosi incarnazione di un disagio pronto a riparare un vuoto di cuore che ci portiamo dentro. Gli occhi degli altri intensificano di lirismo poetico un bisogno essenziale di non appartenenza alla terra circostante anche se il tutto suona quasi come un ritorno, come necessità intrinseca di vita da percepire a pieni polmoni per rasserenare la parte più lontana di noi, la parte che ci tiene attaccati al suolo. Una parte quindi che si fa apertura in questo Non ci annoieremo mai fatto, costruito da pezzi simbolo come La stanza, la bellissima Smetto Ieri o Piove dentro fino a Lo Fai in un ripetersi corale di processi e di ritornelli, un ridondante bisogno di comunicare un concetto che trova la sua massima altitudine nel senso di vuoto attorno, nel senso più profondo e sporcato di rabbia che convince ed esplode nel momento giusto. Il disco dei nostri parla di fragilità, ne parla così bene da sentirlo sotto pelle in un concentrico abisso di possibilità che rende la proposta presentata un volo ad occhi aperti da poter incanalare oltre ogni aspettativa.

Drive me dead – Who’s the monster? (Autoproduzione)

L'immagine può contenere: 1 persona

Potenza incontrollata gettata nella nostra società malata a raccontare e a raccontarsi, a parlare di mondi in decomposizione che sono così talmente vicini a noi da essere osservati in modo indelebile e minuzioso. I Drive me dead si lasciano affascinare per la copertina dai disegni di Sergio Gerasi, illustratore anche per Dylan Dog, un’immagine esplicativa capace di consegnare in primis all’ascoltatore un senso di non ritorno percepito e divincolato a dovere, sudato e in un certo qual modo in destrutturazione più totale. Dal punto di vista musicale i nostri sono un concentrato di rock’n’roll sporcato dal punk più sincero che si confonde e in fonde speranze in pezzi come l’apertura Freak, Lemmy’s ghost, Zombies don’t run o la finale decisiva Summer of ’69. Who’s the monster? è un album che si domanda e si pone delle questioni, sono dieci pezzi che ti arrivano dentro al cervello, ti sciolgono contorcendo le budella, privando l’organismo ospitante di qualsivoglia bisogno di inutilità, centrando appieno una questione, parlando a cuore aperto, interagendo con un pubblico attento e consegnando una manciata di brani dal sapore internazionale e maturo in un’idea di sodalizio appagante e davvero ben confezionato. Bravi!

Telegraph Tehran – Spettri da scacciare (Autoproduzione)

L'immagine può contenere: una o più persone e persone in piedi

Urbane grungerie distorte che narrano e raccontano di come gli amori metropolitani si sciolgano al suolo ricomponendo uno stato catatonico di amara disillusione. L’esordio dei Telegraph Tehran è uno spaccato di vita meditabondo che ingloba il pensiero della nuova gioventù che avanza, musica per chi è senza vincoli, ma anche per chi si ritrova così spaesato in un mondo che gli sembra non appartenere più. La peculiarità del gruppo di Bologna sta nel fondere lo shoegaze con un qualcosa di già sentito negli anni ’90 imprimendo alla controcultura odierna uno stato larvale pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Pezzi simbolo come Carmica, Il sentimento del tempo, Tv Show o La tua immagine sono l’esemplificazione di un tutto che accosta sentimenti a potenza, meditazione e introspezione all’energia che si staglia oltre tutto quello che conosciamo in un’omogeneità di fondo che colpisce sicuramente a dismisura anche perché di primo disco sempre si tratta. Maturità quindi centellinata che in Spettri da scacciare trova un avvio davvero interessante, sicuramente da tenere d’occhio e in considerazione per nuove e future aperture sonore.

Novalisi – Quando mi chiedono dove sei (Indiemood)

Evoluzione sonora per la band trevigiana che al terzo disco dopo alcuni anni di silenzio circonda l’etere di arpeggi e deflagrazioni, di conturbanti attese e di parole e frasi che meritano ancora la giusta attenzione. Di gran spolvero quindi i nostri propongono cinque pezzi tirati che sanno parlare senza fronzoli al cuore dando internazionalità ad una proposta latente e che sta ritrovando una propria via grazie al suono di un rock che strizza l’occhio al post e al pop in un miscuglio di anfratti e desideri nel comunicare ancora qualcosa di importante. Gli intrecci chitarristici si inseguono fino a creare spazi che affondano nel nulla quotidiano, affondano così tanto da entrare in profondità ed emozionare senza cercare facili escamotage, ma piuttosto contemplando quell’idea di fragilità umana che nell’attimo appena trascorso scoppia tonante in aperture spaziali ricercate degne di una band che sa davvero ancora suonare e comunicare un proprio pensiero, un proprio stato di libertà.

Me, the other and. – 404: human not found (Seahorse Recordings/Audioglobe)

Sperimentale progetto d’apertura elettronica in grado di coniugare l’etereo vagare del tempo con lo strato coscienzioso che apre a finestre di dipartite in un solitario abbraccio al mondo in decadenza. Misantropia verso l’animo umano che affiora nelle tracce di questo progetto di lontananza, progetto che raccoglie le menti e le idee di Paolo, Chiara e Lorenzo attraverso un uso consapevole di apparizioni e stati catatonici che sfiorano gli ambienti e le diffuse elaborazioni di gruppi come i Massive Attack in un’eterna lotta tra bene e male che si fa alterità e ingloba in modo del tutto naturale il mondo che sentiamo vicino a noi. I resoconti eterei proposti fanno d’atmosfera appagante all’intero susseguirsi di energie nascoste e viscerali che possono esplicare la propria parabola in pezzi come Intro, Paperstream, Jazz e Bird a ribadire concetti di fuga e abbandono, a recuperare quel sano e del tutto legittimo desiderio di libertà che nel calore della situazione inverte i poli e come un magnete attira a sé tutto ciò che di buono ancora esiste in un’estasi perenne di sogni inesplosi.

Oscar di mondogemello – Nero (Tempura Dischi/Porcoggiuda Music File)

Apoteosi del nero che si evince attraverso ispezioni di colore che nutrono il cantautorato e lo trasformano perpetuando risposte che sembrano non avere fine emotiva. Il disco di Ivan Borsari con un nome d’arte stranissimo: Oscar di mondogemello è un album che si affaccia nell’imminente bisogna di instaurare con l’ascoltatore una comunione di intenti che si evince in una musica rock perennemente in bilico con le asprezze della vita e i desideri di ognuno di noi che ci appartengono e ci toccano da vicino. Il substrato di fondo attinge ad un suono che si fa completa evoluzione dagli anni ’90 ad oggi incontrando l’acume e il desiderio di sperimentare nuove forme sonore senza dimenticare radici ben piantate e solide. Le nove canzoni proposte sono e si fanno desiderio che verrà, raccontando di sogni infranti e vita da costruire ancora. Le ricercatezza si fanno importanza in questo album d’esordio solista, un getto imperscrutabile di abbandono che riecheggia da Ascolta fino a Sogni in un cerchio di caos che trova nell’oscurità del nero la propria ancora di salvezza.

Guy Littell – One of those fine days (AR Recordings)

Musica folk che abbraccia il rock alternativo in un concentrato di vissuti ed esperienze che imbrigliano attimi e consentono di ricreare ad ogni passaggio momenti di luce e sensazioni nascoste per un suono che si fa vintage ed elegante, compresso altalenante ad aperture sonore che ricordano le solitudini di Neil Young e le malinconie di Jeff Buckley o Nick Drake. Guy Littell è un compositore solitario che si racconta attraverso dieci tracce personali e in sovrapposizione alla chitarra elettrica dell’amico Luigi Sabino portatore di uno stile unico e capace di influenzare il singolo pezzo, perpetuando arrangiamenti in quasi tutte le canzoni proposte. Il mondo del cantautore campano è un diario di vita vissuta che si esprime al meglio in tracce come So special, Better for me, Song from a dream o No more nights raccontando di luci appariscenti che sono solo un abbaglio per questi ed altri tempi e custodendo ancora per sé quella parte segreta e dolce che risiede vicino a ciò che abbiamo sempre sperato.

Sendorma – Notturno 1 (Overdub Recordings)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Rock imbrigliato nella luce degli anni ’90 a disquisire forme e costruzioni che si affacciano egregiamente alle idee mutevoli che avanzano ed esigono di ricercare una sostanza che si fa preponderanza nell’attimo, affondando radici nel vecchio per affacciarsi al nuovo. Immagini in dissolvenza si comprimono nella criptica messa in scena della vita dove a raccontare vicende, personaggi e narrazioni sono i Sendorma attraverso un rock ben ponderato dove i testi sono omogeneità che luccica e abbaglia e dove il substrato e l’apporto di nomi come Luca Vicini, già con Subsonica, Giovanni Versari al mastering con nomi simbolo quali Muse e Il teatro degli orrori portano l’intera composizione ad affacciarsi ai testi elaborati con l’aiuto di Luca Ragagnin, poeta e scrittore che dona potenza controllata ad un cerchio che si chiude e si riapre davvero importante. La traccia d’apertura Alba lenta è qualcosa di eccezionale e ipnotico capace di convogliare materia in pezzi come Diamanti e asfalto, Il potere del silenzio o la finale Notturno per un album composito che sfiora incursioni post rock in grado di diventare bagliore omnicomprensivo oscuro e di rara introspezione.

Il solito Dandy – Buona felicità (Vina Records)

Risultati immagini per il solito dandy proiezioni ortogonali

Proiezioni ortogonali di realtà che abbattono sensazioni e si rivolgono al cuore più di ogni altra cosa in atteggiamenti quasi iconoclasti dal piglio pop e sbarazzino che inevitabilmente segue la moda del momento. L’album d’esordio di Il solito Dandy è un tuffo nella contemporaneità che rappresenta il nuovo indie moderno se così si può definire, dentro a Buona Felicità ci sono rimandi inevitabili a band come i The Giornalisti in un pop elettronico condito da frasi ad effetto e suoni sintetizzati e sintetici mutevoli in un corollario di storie e avventure amorose che si dipanano lungo tutte e dieci le tracce del disco. Due anni di lavoro e stesura fanno di questo album un prodotto fresco, or ora non originale, ma pieno di rimandi con il passato e ricco di quella capacità interna di far scorrere pulsazioni a beat inoltrati. Da citofoni alla title track passando per pezzi simbolo e singolo come Bisturi e Owen Wilson il nostro racconta spaccati di vita ad ottenere luce e citazioni in una compattezza omogenea che più di tutto è un diario di vita che si domanda e che esplora.

Joe D. Palma – Generazione Brucaliffo (La Clinica Dischi)

joe palma generazione brucaliffo

Trio composito proveniente da Padova che ispeziona finemente vizi e scoperte della generazione 2.0 in un substrato di allegria contagiosa che fa irrimediabilmente riflettere e comprendere finemente il posto destinato a noi, il posto che dobbiamo e possiamo ancora occupare. Generazione Brucaliffo è un concentrato di parole esperienziali che con energia e vigore intessono trame personali dove i refrain contagiosi sono all’ordine del giorno e dove lo spirito goliardico dei tre è riassunto nel concentrato delle cinque canzoni proposte che contribuiscono ad una omogenea ed intera uscita del disco. Incalzanti quanto basta i nostri estrapolano dal cilindro delle piccole magie che si affacciano alla quotidianità, con disincanto e in parte anche con cinismo ben dimensionato costruendo parallelismi con la vita reale davvero importanti. Generazione Brucaliffo è un album che si fa riascoltare in continuazione, nella sua brevità percepisce umori e odori di vita per riportarli su disco traccia dopo traccia.