Drive me dead – Who’s the monster? (Autoproduzione)

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Potenza incontrollata gettata nella nostra società malata a raccontare e a raccontarsi, a parlare di mondi in decomposizione che sono così talmente vicini a noi da essere osservati in modo indelebile e minuzioso. I Drive me dead si lasciano affascinare per la copertina dai disegni di Sergio Gerasi, illustratore anche per Dylan Dog, un’immagine esplicativa capace di consegnare in primis all’ascoltatore un senso di non ritorno percepito e divincolato a dovere, sudato e in un certo qual modo in destrutturazione più totale. Dal punto di vista musicale i nostri sono un concentrato di rock’n’roll sporcato dal punk più sincero che si confonde e in fonde speranze in pezzi come l’apertura Freak, Lemmy’s ghost, Zombies don’t run o la finale decisiva Summer of ’69. Who’s the monster? è un album che si domanda e si pone delle questioni, sono dieci pezzi che ti arrivano dentro al cervello, ti sciolgono contorcendo le budella, privando l’organismo ospitante di qualsivoglia bisogno di inutilità, centrando appieno una questione, parlando a cuore aperto, interagendo con un pubblico attento e consegnando una manciata di brani dal sapore internazionale e maturo in un’idea di sodalizio appagante e davvero ben confezionato. Bravi!

(AllMyFriendzAre)DEAD – Wonders from the grave (Overdrive Records)

Innestare ritmi frenetici e corrosivi di un post grunge assoluto che strizza l’occhio all’hard rock fulminante del passato, in un’estasi mistica trasportante e fuori da ogni previsione che cancella il ricordo per rendere la realtà più vera che mai, più attenta all’inverosimile e tracciando un solco indissolubile.

Un punk rock sporcato dall’heavy, una road americana sotto il sole cocente a tutto volume e quel turbo compressore canalizzato in un rock and roll che si esprime lungo le 12 tracce che compongono l’ultima fatica dimostrabile della band calabrese, nata nella terra del fuoco, nata in quell’arsura che per luogo comune non crea, ma inghiotte e fagocita i pensieri di chi prova a dare un senso al mondo che lo circonda.

Un disco polveroso quindi, che alza nuvole e saette incrociando Turbo Negro ai Ramones, molto più evidenti, molto però più in primo piano, dove costrutti corporali si intensificano per dare al tutto un approccio fisico, diretto, quasi live a intensificare la scena, a sottolineare l’importanza di un connubio con l’ascoltatore.

Chitarre roboanti che si aprono con Alice in Wonderbra finendo con lo sporco riff di Whoopy groupie, dando un senso circolare all’intera prova, una prova che ha conosciuto la siccità, ma che ora è alla ricerca di un qualcosa di sempre nuovo che la possa alimentare.