Oscar di mondogemello – Nero (Tempura Dischi/Porcoggiuda Music File)

Apoteosi del nero che si evince attraverso ispezioni di colore che nutrono il cantautorato e lo trasformano perpetuando risposte che sembrano non avere fine emotiva. Il disco di Ivan Borsari con un nome d’arte stranissimo: Oscar di mondogemello è un album che si affaccia nell’imminente bisogna di instaurare con l’ascoltatore una comunione di intenti che si evince in una musica rock perennemente in bilico con le asprezze della vita e i desideri di ognuno di noi che ci appartengono e ci toccano da vicino. Il substrato di fondo attinge ad un suono che si fa completa evoluzione dagli anni ’90 ad oggi incontrando l’acume e il desiderio di sperimentare nuove forme sonore senza dimenticare radici ben piantate e solide. Le nove canzoni proposte sono e si fanno desiderio che verrà, raccontando di sogni infranti e vita da costruire ancora. Le ricercatezza si fanno importanza in questo album d’esordio solista, un getto imperscrutabile di abbandono che riecheggia da Ascolta fino a Sogni in un cerchio di caos che trova nell’oscurità del nero la propria ancora di salvezza.

Barachetti / Ruggeri – White Out (Ribéss Records/DGRecords)

Lo spazio inteso come luogo dove vivere non è mai stato così ben definito, l’idea, il concetto di ambientazione sonora qui travalica il senso del già sentito per inglobare un’idea di musica, che musica non è, ma è narrazione lacerante di un racconto post futurista e egregiamente colpito fino al midollo, nella sua imperscrutabile essenzialità, maturata nel tempo, maturata negli anni.

Il duo Barachetti/Ruggeri intasca una prova innovativa che si fa prima di tutto interrogazione sul tempo che abbiamo davanti e su quello che è appena passato, una prova fluida e scarna, quasi malata, sintomo di un qualcosa che ci rende prigionieri, che non ci rendi liberi, ma è ossessione fanciullesca narrata, è abbandono e accoglienza in un moto perpetuo assordante, nel bianco e fuori di esso.

C’è del colore però nella narrazione, c’è il Ferretti del post CSI e tanto desiderio nel ricreare qualcosa che va oltre gli schemi precostituiti, abbattendo le tre dimensioni che conosciamo e facendo dell’elettronica una costante gravitazionale che annienta le produzioni odierne e si fa veicolo e funzione della stessa storia, dello stesso racconto sonoro.

Il bianco che fa da sfondo e l’oscurità che avanza già dal primo pezzo fino a convogliare le energie in quel fiume verticale di mirata desolazione; i nostri, con questo disco hanno saputo raccontare di luoghi inospitali, così vicini alla nostra anima dannata e capaci di infondere l’esigenza di uscire dalla scatola che ci tiene prigionieri.

Nero – Lust Soul (Autoproduzione)

Viaggio negli abissi di sola andata, viaggio senza ritorno, anime nere che si scuotono e tentano di ricucire il tempo perduto, in stato di grazie e rumorose presenze si dipanano all’orizzonte, concentrando il divincolato giorno verso un sogno che può e che appare lontano, che contrasta l’esigenza di volere ottimizzare il nostro tempo, anche se il tempo non conosce forma e inghiotte ogni nostra speranza, ogni tacito accordo, ogni lieta notizia che ora come ora intravede poche possibilità nel domani.

Anni ’80, anni ’90, il piacere della scoperta e il calarsi dentro a mondi lontanissimi, distorti e compressi, mai lasciati al caso, alla ricerca di quelle anime perdute che fanno tanto coscienza e che si insidiano in sostanze multiforme devastanti, rock  and roll, molto più rock del dovuto e meno roll, intrecciato ad un punk atomico di inizio millennio che sa di nero tossico, di nero crepuscolare.

Ecco allora che il disco omogeneo è un anfratto di quella oscurità che ci appartiene e ci rende partecipi di una vita incompresa e governata da altri, di una vita al limite che ha bisogno di essere riscoperta.

E la notte lo inghiotte inesorabile.