Gian Luca Mondo – Petali (Controrecords)

Un cantautore solitario, incline alla beatitudine e alla magnificenza dello spirito, adornato da paesaggi malinconici dove l’unica via di salvezza sembrano i fiori, dallo stelo lucente, abbagliante e sottoposto quest’ultimo al cadere inesorabile dei petali che come i giorni si apprestano a passare.

Un cantautore atipico Gianluca Mondo, un songwriter che si fa lui stesso parte di un blues cadenzato, rumoroso, al limite del pensiero terreno, per porsi in una costante ricerca tesa al futuro che deve ancora arrivare.

Accenni di Luce della centrale elettrica sovrapposti ai dolori di Capossela, imponendosi il desiderio di trovare e chiedersi cos’è l’amore e che logica o che aspirazioni sceglie per far si che diventi narrazione continua di racconti infiniti.

In tutto questo lavoro ascoltiamo anche echi di Dylan e Jimmie Rodgers per estrapolare e dare un senso profondo partendo dal luogo in cui tutto questo è nato.

12 tracce vissute e sudate, raccontando una vita fatta per immagini, partendo con il singolo Il dilemma del porcospino e finendo con Io te lei e lui;  narrando poesia intimista per cuori solitari.

Ecco allora che il vento si alza, si fa vivo e corre in noi; come attimo di freschezza nel raccogliere i frutti di una trilogia iniziata con Piume, passando per Perle e finendo con Petali: si chiude il triangolo partendo dal via, tra canzoni superbe e altre ancora da pubblicare in un viaggio emozionale dal delicato sapore.

 

 

UNA – Come in cielo così in terra (MArtelabel)

Marzia Stano si trasforma.

Ve la ricordate quando si lanciava come una rocker nella compianta band Jolaurlo?

Ora, per questa nuova avventura, la forma canzone si fa più introspettiva lasciando spazio al tempo passato e a ciò che si è raccolto, quasi che il tutto prendesse la forma di un diario segreto chiuso ben a chiave in cui nascondere tesori di inestimabile valore, celati dal bagliore di una finestra che si affaccia davanti al bosco della rinascita perpetua.

Ecco allora che la fenice si rialza e ricompone i pezzi perduti, riconquista la giusta parte nel panorama della musica italiana, questa volta nei panni di una cantantessa velatamente rock che abbraccia territori più soft e intimi.

Una Marzia Stano che ricorda Syria di Un’altra me, alle prese con sperimentazioni sonore in pomeriggi umidi di impegno sociale e testi affilati, mordenti, concretizzati: una tempesta, un fulmine che si apre al nuovo giorno che verrà.

Ecco allora che i toni si fanno d’atmosfera in Mario ti amo, un racconto di un bacio incompreso che in qualche modo racchiudeva lo sbocciare di un amore e poi l’Ilva e Taranto dal treno, la fila in segreteria in Fuori sede, l’ode alla letteratura in Professoressa, la precarietà del lavoro quotidiano nella sterile frase a cui siamo abituati del Non so…per poi portarci ad una Giornata complicata, la commozione di Camilla e Matteo per finire con Quel che manca.

Un disco pieno di vissuti e di storie che prendono forma lungo l’ascolto lasciando stupore e sorrisi nel volto di chi ascolta, un passaggio essenziale questo per capacità espressiva e forza rinvigorita, una stella che brilla di luce propria sopra la nostra penisola.

 

 

Decabox – Dissocialnetwork (VREC)

Protesta sociale che si insinua in un rock indipendente che trae linfa vitale da quella capacità che non è di tutti di riprendere temi legati alla vita quotidiana per trasformarli in modo preponderante, attraverso un suono convincente che a distanza di tre anni dall’ultima fatica si riempie di improvvisazioni sonore che trasportano, comprimono e con eleganza ti portano a costruire nuove realtà.

I Decabox in fin dei conti fanno un gran bel pop radiofonico, ma con tutte le carte in regola per essere alternativi e provocando grazie a testi che si discostano pienamente dal costrutto di una musica mordi e fuggi.

Infatti i nostri posseggono la capacità di stabilire relazioni, creare legami  e convincere grazie a 11 canzoni ben costruite e suonate che si spostano su territori rock adrenalinico per incanalare la poesia che li contraddistingue.

Si parte con il singolo Fingere che tutto sia, per finire con Tempo fa in un continuo sali e scendi di emozioni che da quello che posso capire gli amanti dei live possono solo confermare.

Letlo Vin – Songs for Takeda (autoproduzione)

Un disco solitario che parla di inquietudini passate, vissute e compresse in un album ricercato, dalle sonorità folk ammiccanti al pop d’oltreoceano e coadiuvato da terapie Iveriane passando per lo Springsteen solitario di The ghost of Tom Joad.

Letlo Vin si concede di passare su territori glaciali, riscaldando vibrazioni contorte per scendere a profondità inesplorate e toccando apici di concretezza con cori e controcori e una voce che si innesta gradatamente fondendosi nel migliore Tom McRae.

Songs for Takeda è un album che dichiaratamente esprime un concetto, l’addio di Takeda, messo in atto da tre parti che commuovono e con sospirato sollievo rendono la vicenda viva e vissuta.

Masterizzato da Nick Petersen, il genio che ha dato vita al Mastering di For Emma, Forever Ago di Bon Iver, il disco si presenta come un forte impegno al disincanto narrando passioni e racconti che conquistano fin dal primo ascolto.

Un album maturo e compiuto, che parla di addii o forse di felici ritorni, un ritorno alla pace dell’anima che raggiunge e completa, che si inerpica e scalda.

 

Limes – Slowflash (Autoproduzione)

I triestini Limes ci sanno fare e lo dimostrano nel loro secondo album, dopo l’esordio fortunato di Essential che li ha visti condividere il palco con artisti del calibro di Motel Connection e Mojomatics, i nostri confezionano un ottimo prodotto chiamato Slowflash.

Un mix, il loro, di brit pop che fonde e confonde Blur e Coldplay passando inevitabilmente per l’oscurità di una musica che ha le proprie radici negli anni ’80  dotata di quel carico di sfumature tipico della scena new wave con Cure su tutti a sbaragliare la strada.

E’ un disco introspettivo questo che proietta i tre a compiere l’impresa di creare un cerchio concentrico dove far partire un labirinto mentale che si appropria di suoni semplici, ma convincenti e dove la batteria portante si condensa dando forme ad un continuo cambio di espressione che si evince dalla sostanziale  necessità di dare quel tocco in più all’usuale già sentito.

Ecco allora che il tutto si apre in dilatazione con Plume passando velocemente alle sincope di Hunting Party, si apre la via per la ricercatezza sonora in Pressure Variation e cercando alberi sovrapposti in Wood, azzeccata poi la strumentale Noise’s Room che porta pian piano alla coda di Plume II.

Sperimentatori triestini crescono e questo album ne è la dimostrazione, un connubio di strumentale e cantato che ben si amalgama con il concetto del disco.

I confini ora non sono più segnati, non si possono paragonare a nessuno questi Limes, finalmente hanno trovato il cammino.

Contessa & The squires – Contessa & The Squires (Autoproduzione)

untitled

Puro e semplice rock and roll di derivazione psychobilly a dir si voglia, ma pur sempre di rock and roll si tratta.

I Contessa & The squires incanalano canzoni senza tempo per rendere il tutto ovattato e incastonato in un mix di sudore e balli energizzanti che colpiscono allo stomaco senza chiedersi tanti perché.

Un ep diretto suonato e risuonato, ascoltato e riascoltato che prende dallo spunto live un gran cavallo di battaglia che ricalca le orme del già sentito per impreziosire il tutto con note di personalità che ricordano per certi versi i The meteors affiancati alla spensieratezza di Miss Chain & Broken Heels passando per tutta l’ondata horrorifica newyorkese di fine anni ’80.

5 canzoni, ricche di citazioni cinematografiche e suoni ricercati, un bagliore prima della tempesta.

Un gruppo energicamente maturo e volteggiante che varrebbe la pena ascoltare dal vivo, per far si che le onde di vitalità si trasmettano da spettatore ad artista, in un’unica e continua corrente musicale.

The Crocs – Music is a gamebook (VREC)

Questo disco, che ho tra le mani, trasuda di internazionalità sospirata tra le onde del mare, un po’oceanica e un po’legata alla manica, quello stretto passaggio in cui note si insinuano increspando parole di innegabile candore emozionale che scuote e ripercuote lasciando facili poesie alle prese con il passare del tempo che scorre.

Un genere fresco e frizzantino questo dei The Crocs, band milanese, che nel loro nuovo album si conce di trasformare l’inerte in qualcosa di pulsante, dando vita alla macchina arrugginita dello spettacolo; apoteosi granitica in chitarre onnipresenti, costanti e lisergiche.

In questo disco si sente parlare molto il linguaggio moderno, l’orecchiabilità delle canzoni è quasi stupore che si intensifica traccia dopo traccia nelle parvenze mistiche di Linkin Park e The Rasmus, raccogliendo l’eredità degli Stereophinics  e ammiccando con semplicità ed efficacia  al raccogliere consensi tra la folla.

Una musica suonata, studiata ed equilibrata, mai banale, che si concentra sull’essere e non sull’apparire, dando senso alla completa forma.

Uncledog – Russian Roulette (VREC)

Sparati sulla luna i padovani Uncledog, si permettono di salire sul gradino dei vincitori grazie a questo primo vero e proprio lavoro dopo Face on the Floor, EP quest’ultimo registrato direttamente in California con Sylvia Massy già collaboratrice di RHCP, Tool e Black Crowes.

Tornati dal tour europeo che li ha visti suonare in Slovacchia, Russia, Finlandia e Spagna i nostri mettono assieme dieci tracce trasbordanti energia dove il suono rasenta la perfezione e dove l’album si concentra sulla possibilità di creare un concept vero e proprio sulla disillusione e l’abbandono, sulla tragicità della vita e sui sentimenti necessari come l’amicizia o l’amore verso la persona che ami.

In questo disco si assaporano richiami hard rock con una spruzzatina di prog, debitori di un suono, soprattutto nella parte dei synth, che rimanda a quel mood vintage, anni ’70, che strizza l’occhio al futuro imminente.

Canzoni che si fanno ascoltare e che rendono chiara l’idea di fondo, una roulette russa che poco concede, una vita che affonda affidata al caso, e che solo in pochi, con poche speranze riusciranno ad uscirne vincitori.

Sono pochi coloro che si salvano quindi, coloro che non abbandonano e forse è proprio questo il messaggio che gli Uncledog vogliono lanciare, mai arrendersi e voltare le spalle alla vita, mai gettare la spugna, ma è necessario procedere a testa alta verso l’oscuro, ignoto mondo, che ancora non conosciamo.