Antonio e l’angelo – Il parossismo della poetica limite (Autoproduzione)

Antonio e l’angelo è un progetto che vede coinvolti Carmine Cardamone testi, voce, chitarra e Gigi Guzzo alla batteria.
La naturalità del progetto si evince dalle note delle prime canzoni, niente basso, niente tastiera, pochi, se non totalmente assenti, interventi virtuosi non necessari quindi, in quanto i brani ricavano dalla loro matrice interna la bellezza finale.
Lo stile dell’album è legato al cantautorato italico delineato e fermo, ma spunti poetici li possiamo scovare in toto nell’immediatezza della proposta lungo le 11 tracce.
Un po’ Rino Gaetano nella voce, un po’ Ivan Graziani e Marlene Kuntz nella musica, i due regalano vibrata poesia accolta con calore e rielaborata efficacemente.
Bellissima la traccia 4 (Purtroppo non mi sono pervenuti i titoli delle canzoni…) e meraviglia anche nella n. 8 … “Io non ho eroi…” che parte con un strumentale crescendo di piano e chitarra scanditi dalla puntuale batteria .
Antonio e l’angelo o meglio Carmine e Gigi sanno che cosa vogliono e dove questo porterà.
A volte basta solo una chitarra e una batteria per comporre canzoni; lo hanno dimostrato i due  con “Il parossismo della poetica limite”  e mi auguro che questo sia un messaggio recepito non solo da tutti coloro che creano musica,  ma anche da chi la ascolta.

ThreeSecondKiss – Tastyville (AfricanTape)

La forma canzone che viene annientata, scomposta, contorta, scucita e ricucita, che lascia senza scampo e senza vie di fuga.
Inesorabile destino del trascorrere del tempo quello che miscela la chitarra, il basso e la batteria, attorno a una voce secca, sporca, che si chiede senza tante pretese che cosa fare di parole troppo morbide e smussate quando il mondo è così spigoloso.
Chitarre maledette si diceva un tempo e ancora l’annientamento del melodico la fa da padrone, non ricercato e non voluto, perchè non serve, perchè la musica è anche altro: sentimento, passione per qualcosa che non è sempre per tutti, ma solo per chi vuole ascoltare.
I ThreeSecondKiss confezionano un album che rispecchia tutto questo.
Il suo nome è Tastyville”.
Uscito per “Africantape” lo scrigno racchiude 9 canzoni, niente di più niente di meno, tra alternative di matrice tedesca e prog disarmonizzato.
Un gruppo che ama sonorità ’70, ma proiettato nel suono più underground del nuovo millennio.
Massimo, Sacha e Sergio sono ormai una sicurezza; realtà che riesce ad addentrarsi alla fonte del suono regalandoci di continuo sorprese in estensione come in “Vampirized” o nella “Starla Pumpkiana” in “Don’t dirty my heart”.
L’artwork merita una citazione, in copertina un quadro di “Ligabue”…Antonio, pittore solitario, sofferente e sconosciuto in vita che dimostra quanto la bellezza e il talento risiedano in chi tenta di creare il diverso nella quotidianità.
Applausi dunque al trio che nella sua continua ricerca abbandona il sentiero battuto per addentrarsi in foreste vergini e inesplorate.

Maria Devigili – Motori e Introspezioni (Autoproduzione)

Nell’idea risiede il seme che si farà grande germoglio nutrito dal tempo: e qui ci sono moltissime buone idee.
Maria Devigili regala un album confezionato a puntino, in tutti i sensi, dove i suoni sono curati e legati assieme dal filo della passione per la musica e allo stesso tempo per gli strumenti.
La cantautrice infatti oltre a suonare la chitarra si immedesima molto bene anche con il glockenspiel, mentre le parti affidate all’elettronica sono di Andrea Sologni e alle percussioni e alla batteria, oltre che a curare la copertina e l’artwork troviamo Stefano Orzes.
“Motori e Introspezioni”è un disco al primo ascolto che ti riporta alla Donà nazionale, per intenderci quella del primo periodo molto più ricercata che melodica.
La voce è incisiva e direi comunicativa, come i testi del resto ben legati tra loro dal filo del viaggio dentro se stessi.
Musicalmente ci sono echi della miglior musica leggera degli anni ’60 e ’70 assemblata da Carnival of Fools e dal Grunge sporco e immediato della scena di Seattle.
Le melodie sono ricercate considerando che la stessa cantautrice deve usare lo strumento della voce e quindi pochi accordi, anche con l’acustica in “L’istante”, e molti riff.
Il viaggio ha inizio con “DNA” il nostro essere da dove tutto parte passando per la bellissima e quasi utopica “Iperuranio”, “Il Paese” è un blues maledetto che più in là trova un omaggio a Battiato con “Aria di Rivoluzione” e “L’albatros” ricordando i versi del “maledetto” Baudelaire.
“Sulla via” è una ballata molto efficace: chitarra e batteria con leggera elettronica di sottofondo a …”rincorrere il riso che fugge dagli occhi”.
“Kadhy blues” ricorda De Andrè sia per temi trattati sia per quel cantautorato un po’ in levare un po’  allevato sulle sponde del Missisipi.
Mentre la scanzonata “Etre Vivant” chiude il disco con un sorriso di speranza.
Maria riesce a racchiudere e a far fuoriuscire tanti suoi sentimenti non comunicati, con questo album, regalando a chi ascolta qualcosa di non immediato, ma sicuramente incisivo dopo ulteriori ascolti.
Un lembo di terra baciato dal sole in una mattina di rosso Novembre.

Non violentate Jennifer – Non violentate Jennifer (Autoproduzione)

Non violentate Jennifer è il titolo della vivace autoproduzione dell’omonimo gruppo .

4 sono le canzoni, tratteggiate da un rock alternativo molto curato e ben cantato, mai banale.

I testi parlano di una civiltà decadente dove mancano istituzioni a garantire dignità in un paese diviso.

“Terza persona” ha l’onore di aprire le pagine di questa musica, anticipando la suadente “Nel paese degli umani” dove le campane suonano sempre un po’ per tutti. Il pianoforte un po’ clavicembalo fa la sua immensa figura con un basso gradevolmente tosto e calibrato.

“Tutto finisce all’alba” ha cadenze new-wave e come in quasi tutto il disco esiste l’esigenza di fare qualcosa di nuovo utilizzando la voce cavernosa e cantautorale. (Offlaga, Massimo Volume)

“Naufragheremo” chiude l’ep in maniera elegante: è come sentire “Il teatro degli orrori” al rallentatore.

Bella prova questa, che certamente attende aperture a un album completo, nell’attesa che queste idee mature confluiscano in un soddisfacente appagamento.

Alanjemaal – Dalla Ruggine (Autoprodotto)

Dalla Ruggine è il primo album del gruppo Alanjemaal, rimasto nel cassetto per più di 10 anni e uscito solo ora quando la musica sembrava già aver detto e dato tutto e quando ancora si osannano le hardcore band o i folkettoni del quartiere.

Registrato  e prodotto nel 2001 da Fabio Magistrali (Afterhours, Marta sui Tubi, Perturbazione) l’album è caratterizzato da partecipazioni illustri come i coniugi Gigi Giancursi e Elena Diana dei Perturbazione che al tempo registravano l’immenso “In circolo”.

La band gira l’Italia per 20 lunghi anni e alle spalle porta con se un bagaglio non indifferente di concerti e presenze in numerosi progetti, come il tributo ai Franti con la canzone “Prete, croce, sedia, morte”.

L’album in questione è caratterizzato da sonorità ricercate a volte pop-rock, a volte noise, a volte psicadeliche.

Molti sono i brani strumentali e quando subentra Alberto Casiraghi riesce a dare quel tocco di originalità al tutto condensandolo con spunti di cantautorato.

Il bagaglio tecnico è elevato, si ascolti anche la sola “Memoria eidetica”, bellissima poi “Le colpe degli altri” che lascia vaghi ??? ricordi dei “3000” bruchi.

Si passa velocemente dal piano di “Articolare proposizioni” a “Via Corelli ballata per animi notturni e in cerca di pace perpetua.

“Allucinazione ipnagogica” lascia spazio all’improvvisazione, mentre ci avviciniamo alle ultime note dell’album con “L’uomo piange un antico oceano”: canto evocativo per organetto da band islandese, voci di bambini e passi che si avvicinano.

Una gran prova, che nel corso del tempo ha acquisito valore, come un buon vino lasciato ad invecchiare per ricavarne solo la parte migliore.

Preti Pedofili – Faust (Autoproduzione)

Segui il detto antico di mio zio serpente; verrà certo un giorno in cui la tua somiglianza con Dio ti farà paura.

Questo è un disco oscuro.

Si entra in un mondo di certo non semplice. I preti pedofili, azzardando già nel nome, nel loro secondo EP Faust si rifanno liberamente al romanzo di Goethe.

Qui però c’è qualcosa in più, i tre foggiani si dedicano a denunciare una realtà molto ostile e spesso mascherata dalle finte preghiere.

Caronte traghetta anime in un universo cupo, suoni lisergici, claustrofobici, granitici, muri di chitarre pronte a distruggere l’apatia.

Morc e Manson che dialogano in queste quattro canzoni senza dimenticare le due strumentali di testa e di coda.

Un tunnel che parte dall’ “Impero” della forza dell’essere onnipotente fino al cambiamento in “La sera del 15 ottobre” passando per essere “Feccia” e accorgendosi di avere un corpo dilaniato dal tempo in “Streben” .

Spegniamo lo stereo e la voglia di reagire a tanta indifferenza persuade l’ascoltatore, che tornato da un mondo lontano riceve speranza per un diverso futuro; quasi un disco di denuncia, di protesta sessanttottina proiettata nel 2012.

4 Axid Butchers – Villa Gasuli (Audioglobe)

Indefinibili, a tratti eterei a tratti fondamentalmente punk.

Questi sono i 4 Axid Butchers, intro prolungate e cambi di ritmo repentino toccando Clash, Ramones e Police incoronati da batteria e basso che fanno il loro dovere, puntuali e precisi ricordando Editors e Interpol.

8 le tracce che compongono Villa Gasuli e altrettante sono le sperimentazioni che possiamo ascoltare in questo album.

Si passa dal punk rock alla new wave, dal reggae al pop raffinato.

Punto fondamentale del loro lavoro sono le voci: tutti i componenti cantano, intrecciando le loro doti canore in cori e stacchi temporali molto gradevoli e originali dimostrando capacità compositive e leggendo nella loro musica passaggi brillanti e lucenti.

Il loro mondo è un insieme di suoni coinvolgenti e chiari, netti, ma allo stesso tempo pronti a lasciarsi andare a ricercatezze indie.

Praticamente quasi sconosciuti in Italia, ma italiani di Brescia, hanno suonato più di 300 volte in giro per il mondo e sono stati i primi in Italia a fare un tour completo in Sud Africa.

Le canzoni sono un misto di acido e organico, potente e discostante, frutto di un lavoro e di una ricerca portata avanti fino ad oggi, al terzo album.

Si parte con Gasuli e i passaggi si fanno subsonichiani, ma l’organetto è una grande trovata quasi miracolosa che in un attimo ci porta alle atmosfere più dense di phatos e reggaeggianti di A globetrottersong fino alle chiare intenzioni di Let it burn che precede di due la bellissima e dialetteggiante El zogadur.

Forse questo è un disco per emigranti musicali, una scelta, una presa di posizione l’ essere stranieri anche nella musica che sicuramente paga; dimostrando qualità e ingegno invidiabili da qualsiasi band d’oltreoceano.