Gonzaga – Tutto è guerra (Autoproduzione)

Gonzaga è un nome che suona bene, vuoi per il legame diretto con un qualcosa del passato che fu e vuoi per un’assonanza con qualcosa di famigliare, che ti è vicino, che fa parte dell’arte nel senso più stretto del termine e che in qualche modo fa da ponte tra passato e futuro.

I nostri però non provengono da Mantova, ma dalla Toscana e fanno del rock una sorta di svolta verso la sperimentazione sonora che con gran classe direi io, si avvicina a territori indie con venature pop nella forma canzone, fatta di strutture ben definite, ma che al proprio interno racchiude una potenza devastante che stupisce per energia e capacità di creare pezzi orecchiabili che si possono amare già dal primo ascolto.

L’elettronica è usata con parsimonia, quasi fosse un lontano tappeto sonoro, le chitarre invece sono fragorose e incanalano un suono riconducibile alla band creando uno stile che sicuramente, con gli anni, diventerà marchio indelebile.

Un disco che già dal titolo fa presagire contenuti, sono rari gli artisti che possono permettersi di creare un qualcosa di esteticamente bello e convincente e associare al tutto parole taglienti che si conficcano nella carne e raccontano di un’Italia alla deriva.

Il Paese delle apparenze dove tutto è osannato e portato sul palmo di una mano, lassù in alto, in cerca di un cielo migliore, anche se poi ciò che si coglie dal disco è un’amarezza di fondo che si ascolta in pezzi memorabili come Minotauro, Tragedie annunciate, la stessa Tutto è guerra con quell’intro che ti accarezza e poi via via tra le magie fanciullesche di Abracadabra e il finale affidato a Odio tutte le parole e Niente è più come prima.

Un album che finalmente riesce a intrappolare l’energia dei Ministri con la sperimentazione dei Verdena, passando per la scena indie americana e concedendo di fatto una prova che apre le porte a molte strade; un gran disco, tra i più riusciti del 2015, augurandomi di sentire parlare ancora di loro, magari in un’Italia diversa, magari in un’Italia migliore.

 

Noon – Noon (Autoproduzione)

Questo è un disco per fiori forti che stanno sbocciando, lasciando la neve al suolo per ricondurti a qualcosa di più vero, in stato emozionale, contorte visioni del futuro, li in mezzo ad un campo tra la terra e il sole, in mezzo a  quei fiori che stanno per crescere.

Sono i Noon e con questo primo ep ci fotografano all’interno di paesaggi nordici dove le incursioni sonore post rock cantate in italiano, si stagliano al suolo con reminiscenza affamate di Camilla che incontrano i milanesi Les Enfants per ricreare un mondo prima sommerso, quattro racconti di vita che si dipanano su ciò che ora non abbiamo più, su ciò che ancora è lontano, su quello che ancora speriamo di avere.

Titoli criptici citando i non lontani musicalmente Sigur Ros e trovandosi uno spazio vitale in cui vivere tra pop emozionale e rock in divenire cha fa di questo mini album un grande trampolino di lancio per soddisfazioni future.

Valdaro è citazionismo puro, è il Battisti che corre a fari spenti nella notte è annientamento delle aspirazioni, Scatola #1 racchiude un mondo quotidiano pieno di attimi e di paure, Cerbero è traghettare le anime all’inferno o forse ci siamo già? Chiude il disco Duluth con echi primordiali di poesia sussurrata che sia apre fragorosa nel finale.

Un disco dalle forti ambizioni che rende necessario un approfondimento per questa band, gruppo che  possiede tutte le carte in regola per entrare a pieno titolo nelle future migliori proposte della nostra penisola, coniugando la sofferenza con il divenire, l’introspezione con l’amore.

ThreeSecondKiss – Tastyville (AfricanTape)

La forma canzone che viene annientata, scomposta, contorta, scucita e ricucita, che lascia senza scampo e senza vie di fuga.
Inesorabile destino del trascorrere del tempo quello che miscela la chitarra, il basso e la batteria, attorno a una voce secca, sporca, che si chiede senza tante pretese che cosa fare di parole troppo morbide e smussate quando il mondo è così spigoloso.
Chitarre maledette si diceva un tempo e ancora l’annientamento del melodico la fa da padrone, non ricercato e non voluto, perchè non serve, perchè la musica è anche altro: sentimento, passione per qualcosa che non è sempre per tutti, ma solo per chi vuole ascoltare.
I ThreeSecondKiss confezionano un album che rispecchia tutto questo.
Il suo nome è Tastyville”.
Uscito per “Africantape” lo scrigno racchiude 9 canzoni, niente di più niente di meno, tra alternative di matrice tedesca e prog disarmonizzato.
Un gruppo che ama sonorità ’70, ma proiettato nel suono più underground del nuovo millennio.
Massimo, Sacha e Sergio sono ormai una sicurezza; realtà che riesce ad addentrarsi alla fonte del suono regalandoci di continuo sorprese in estensione come in “Vampirized” o nella “Starla Pumpkiana” in “Don’t dirty my heart”.
L’artwork merita una citazione, in copertina un quadro di “Ligabue”…Antonio, pittore solitario, sofferente e sconosciuto in vita che dimostra quanto la bellezza e il talento risiedano in chi tenta di creare il diverso nella quotidianità.
Applausi dunque al trio che nella sua continua ricerca abbandona il sentiero battuto per addentrarsi in foreste vergini e inesplorate.