Tic Tac Bianconiglio – Il volto di Lewis (Autoproduzione)

Discendere in un abisso discostante popolato da creature oscure, un concentrato di profondità da cui fuggire, ma che inesorabilmente ci consegnano la verità che non riusciamo a comprendere.

I Tic tac bianconiglio con questo nuovo disco ci rendono partecipi di un esperimento che porta a riflettere sul lato più oscuro della nostra anima, ci porta a guardare dentro allo specchio della nostra vita per vedere se ancora qualcosa resta, se ancora quel che sembra è effettivamente l’essenziale.

Una voce malata quella di Cristina Tirella che ci fa entrare in un vortice di tensione pronto ad esplodere in incursioni sonore di chitarre in deflagrazione cosmica suonate da Armando Greco ricordando post rock, con piglio new wave, nell’oscurità buia della caverna dell’anima.

Ispirato al mondo di Alice di Carroll questo disco è una discesa negli abissi più profondi di ognuno di noi, una continua ricerca atta alla purezza e alla bellezza, rivolta a scoprire quello che ancora riteniamo profano in un bagliore continuo di luce.

PUNTInESPANSIONE – L’Essere Perfetto (U.d.u. Records/Audioglobe)

L’essere perfetto è ciò che la società ci impone, ciò che la società richiede per entrare a pieno titolo in un costrutto sociale che ci vuole omologati e schierati al volere di qualcuno che si trova sopra di Noi per dirigerci e imporci le proprie idee.

I PUNTInESPANSIONE al loro terzo disco raccontano proprio questo, raccontano di un qualcuno che dirige i movimenti della macchina dove noi siamo spettatori e non protagonisti, raccontano quindi un’esigenza che urla al mondo la propria sicurezza nel ritornare padroni di noi stessi, delle nostre paure, dei nostri fallimenti e dei nostri tentativi per essere migliori.

Un ritornare al centro che viene narrato con piglio elettronico e rock stoppato incrociando con energia virulenta RATM e Foo Fighters tra il cantato Caposseliano e i colori del combat folk della Bandabardò.

Una commistione sincera di generi e prove che sbarcano toccando territori inospitali da dove poter rinascere e ricostruirsi in un continuo cerchio che si chiama sopravvivenza.

Un misto quindi di generi che si intrecciano e ci consegnano una prova magistralmente suonata, aiutati dalla presenza di Gaetano Camporeale e Antonio Porcelli, tastierista e tecnico del suoni di Caparezza, i nostri parlano di amara quotidianità senza scadere nel banale e nel già sentito, ma sapendo usufruire del tempo in modo razionale.

Si parte con Animale Social Network per passare velocemente alla surreale Noir, si ascolta poi Per diventare un re, dedicata ad un sindacalista che non c’è più, raggiungendo attimi di rock viscerale in Lasciato qui e finendo con la meraviglia Succederà.

Un disco che mira all’essenza, che ci pone tante domande e ci lascia con delle risposte che ognuno di Noi ha bisogno di comprendere, un’esigenza profonda che parte solo dopo il risveglio del nostro cervello, perché sarebbe poi come rendere omaggio alla mente risvegliata, che è approdata sull’altra sponda libera dalla sofferenza.

Ah…dimenticavo, l’essere perfetto non esiste.

 

Olla – A serious talk (Libellula/Audioglobe)

Lounge club di periferia che si staglia inesorabile alle ballate elettroniche ed emozionali che creano circolarità ad emblema di uno stato autunnale che cade e avvolge come foglia in un concreto divenire acustico, sincopato e leggermente darkeggiante, motivo di sfogo e di racconto, narrazione fresca tra futuro e cambi di stagione, narrazione il cui fulcro è intriso di vita.

Un cuore quindi che palpita e ci consegna questo gruppo al loro esordio discografico, una band che sa di pioggia, quella che ti accarezza nelle giornate estive, un bagliore di pop emozionale che sopraggiunge a noi stendendo a gran voce la concorrenza che avanza quasi ad imporsi come portatori di un suono che li rende unici e ricercatori di concretezza.

Canzoni bene elaborate costruite attorno a sali scendi sonori dove in egual misura si parla del domani, tra l’importanza del restare grazie al coraggio di combattere per non rischiare di attraversare territori di disillusione e con la paura di rimanere in un mondo privo di certezze.

Quasi un cantautorato elettronico quello degli Olla che canzone dopo canzone convince e si confronta tra pezzi tirati e lievi incursioni pop a coronare il tutto, partendo con The future e finendo con The Fly off; ribadendo quindi il concetto per cui tutto ruota: il restare.

Restare e non abbandonarsi, restare e comprendere, capire ed esplorare in poche parole vivere come non lo si è fatto mai, vivere come fosse l’ultimo giorno, ora.

Eugenio Rodondi – Ocra (Phonarchia Dischi/Audioglobe)

Questo disco sa di terra, di sabbia, quella che calpesti nelle giornate al mare, bagnata leggermente da secchielli sparuti e poco interessati a dare linfa vitale ad un terreno troppo caldo per essere compreso.

Eugenio Rodondi al suo secondo disco si appassiona al cantautorato febbricitante che esce direttamente da un film di Morricone, tra pietre scaldate al sole e lucertole che cercano un leggero refrigerio all’ombra di qualche foglia d’erba.

Il cantautore torinese sancisce definitivamente la propria maturità con un progetto artistico che spicca per talento e capacità vocale, la prima forse a farsi notare, tra ballate ironiche e meditative come solo il migliore Tom Waits sa confezionare.

Un album che tocca i campi, i cieli azzurri e i prati, che parla in prima persona della difficoltà di trovare un posto di lavoro, quest’ultimo preda quotidianamente di classismo sociale, dimenticando la vera essenza del tutto, tra ignoranza e un mondo fatto di finzione.

Una prova quindi che denota carattere solare e riflessivo, colto e mai banale, un risveglio  naturale che sa di giallo carico, tra note di acustica a marcare un territorio fatto di colpi di scena e sostanza.

Quasi come essere dentro ad un film quindi, dove i protagonisti siamo noi alle prese con i piccoli e quotidiani misteri della vita che per quanto piccoli alle volte sembrano inconcepibili.

La monarchia – Parliamo dieci lingue ma non sappiamo dirci addio (Dischi Soviet/Audioglobe)

Dirompenti esplosioni sonore che si implementano in un rock vissuto, concentrato e disteso fino ad entrarti nella pelle e non lasciarti più.

Un vortice che non da pace, dove armonia si sposa elegantemente con le incursioni sonore di Elettrofandango e Teatro degli orrori fino a completare e a dare speranza, cercando innovazioni sonore dove l’innovazione è parola dimenticata.

Loro sono La monarchia e nell’esprimere un concetto si fanno portatori di un suono aggressivo e pungente sottolineando le difficoltà della vita, gridandole e facendole nostre: intensità di colori sbiaditi, pronte a riaccendersi, implementare energia e sovrastare i piccoli e inutili nascondigli che ci creiamo per vivere.

Un album fresco e folgorante questo loro primo full length, parliamo un sacco di lingue noi, siamo studiosi e cultori di materie, siamo geni del vivere, ma non sappiamo comunicare, non sappiamo parlare e dirci cosa è veramente importante, cosa veramente conta.

Ecco allora che il tutto nasce dalla solitudine per qualcosa, Ti vedo è l’esemplificazione del tutto, poi la bellezza di Porpora e Novembre a sancire e a chiudere un disco che nel profondo parla di Noi e dei nostri bisogni.

Un album che stupisce e incrementa, scioglie e condensa fino ad entrarti nelle viscere per esplodere in luce.

La febbre del venerdì 13 – La febbre del venerdì 13 (Dischi Soviet Studio)

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Chitarra acustica in primo piano e tanto tanto rock alternativo degli anni ’90 che si incrocia perfettamente con il sapore vintage di ballate sospirate quanto attese, richieste e divincolate dalla noia quotidiana, che regalano brio introspettivo e bellissime immagini che si stagliano nella mente di chi ascolta, chiedendone ancora, sempre di nuove.

Quello di La febbre del venerdì 13 è un disco che sposa perfettamente sonorità american alternative con il cantato in italiano sospeso tra testi di spessore conditi da una forza onirica del tutto particolare e del tutto nuova.

Questi pezzi parlano però anche di oscurità, parlano di viaggi infiniti lungo autostrade notturne, dove le uniche luci disponibili ai nostri occhi sono quelle delle stazioni di servizio, pronte ad accogliere auto e viandanti assetati.

Un desiderio improvviso e febbricitante di trasformare un pensiero in realtà, così Babbo Ciaimani ex Les Brucalifs incanala pensieri per dare un senso ad un album tutto suo, lontano da logiche di compravendita, ma quasi uno sfogo di introspezione sonora.

Ecco allora che i testi lasciano spazio ad incursioni psichedeliche ricordando per certi versi i Pumpkins più orecchiabili, incrociatori cubici e interstellari di volume spaziale.

Un disco carico e riflessivo allo stesso tempo che di certo non passerà inosservato negli abissi sonori del substrato italico regalando al nostro corpo, ascolto dopo ascolto, quella piccola parte di Noi che si è persa nel tempo.

Edoardo Chiesa – Canzoni sull’alternativa (DgRecords/L’Alienogatto)

Edoardo Chiesa è un cantautore che va oltre il concetto di cantautorato e si presta a snocciolare otto pezzi che si rifanno ad un costrutto che tende ad essere opposizione all’alternativa, un generale ricambio di codici che si fanno via via sempre più essenziali.

Forse è tempo di cambiare e di dare un senso diverso al tempo, lasciare in disparte, gran parte delle creazioni italiane di questi ultimi anni e ritornare a fare le cose in modo più classico, dal sapore retrovintage, un modo per ritornare alle origini.

Canzoni sull’alternativa porta all’interno già un pensiero che è veicolo di costruzione di un nuovo modo di pensare, si apre con il botto con l’alternativa e via via si scrollano di dosso dissapori passati ascoltando un blues ben suonato e calibrato, gestito e autogestito, meraviglie sonore che abbracciano testi di velata introspezione e forte capacità visionaria.

Un disco pieno di spunti e di riadattamenti, quasi fosse un circolo da cui non poter uscire e dove le parole acquistano valenza sia nelle intenzioni che nei risultati.

Una cover che viene direttamente da una scatola di cioccolatini, successivamente colorata e pronta a contenere piccole dolcezze un po’amare, come dolce/amara è la vita che Edoardo Chiesa vuole cantare, tra alti e bassi, salite e discese da superare e da vivere.

Le capre a sonagli – Il fauno (Hashtag)

Blues mescolato a tratti convincenti ad un rock gutturale che abbraccia un Capossela indiavolato e pronto a sputare in faccia ad una realtà stretta ed impraticabile.

Divenire sonoro che ci porta all’interno di un religioso ambiente reso inospitale dalla sporcizia che si calpesta, quasi fosse sinonimo di una vita da cambiare, da rendere più nostra e percepibile dal calore umano.

Ecco allora che le diversificazioni blues si stagliano altalenanti ricordando approcci animaleschi e imbracciando le chitarre di T.Bone Walker che spadroneggiando graffiando con uno stile innovativo e sicuramente di forte impatto.

Una voce dal profondo poi fa tutto il resto, esprime, si contorce, ama in una rapida ascesa discesa verso ciò che non conosciamo, verso ciò che non è più nostro.

Un disco che suona strampalato, un concept sul lato oscuro, ma anche ironico di ognuno di noi, un attacco al potere religioso mai conclamato, ma velato da sottile humor nero, in procinto di affrontare catastrofi ben peggiori.

 

INKETHA – Re8orn (Autoproduzione)

Eugenio Persico in arte Inketha convince con questo disco che parla della necessità di affrontare l’esistenza in modo diverso dove in un momento di caos si sente la necessità di fare ordine nella propria mente cercando di creare, attraverso un concept album, una serie di pensieri importanti che analizzano la nostra cultura e il nostro vivere, soffermandosi su ciò che ha bisogno di una trasformazione che parte dall’interno che parte da noi.

Ispirato da mostri sacri della chitarra il nostro mescola le carte in tavola in una formula bizzarra ma pragmatica tra Petrucci, Satriani, Hendrix, ma anche tra post grunge di A perfect circle, Tool e dai nostrani Afetrhours e Marlene Kuntz degli esordi che utilizzavano distorsioni psichedeliche per farci entrare in mondi a noi sconosciuti e tutti da scoprire.

Eugenio persico si pone questa necessità e appieno compie il miracolo sonoro contemplando e trasformando generi in un continuo stupore di meraviglia.

Si lascia andare inoltre nella reinterpretazione di Up Patriots to Arms di Battiato stupenda analisi di un mondo che ci vuole in ginocchio, tenendo testa tranquillamente e con disinvoltura al gruppo di Boosta e Co.

Un piccolo gioiellino, questo album, che ci promette un nuovo inizio, una nuova rinascita dal grigio fumo di città lacerate al suolo al verde fiorito di distese di prati.

Luca Bretta – Disconnesso ((R)esisto Records)

Abbandonarsi all’elettronica pop convincente quanto basta per dare una sferzata di vivacità nella scena musicale se così si può definire pop italiana, arrangiamenti ben calibrati, spirito di iniziativa molto e altrettante capacità di disintossicare l’etere con canzoni pungenti da un vivace sound composto e composito che si fa reale e dimostrabile grazie ad una solida base ritmica.

Le intenzioni del giovane Luca sono molte 14 tracce in un disco: 10 inediti e 4 bonus tracks uscite solo nella rete e che hanno conquistato il pubblico di numerosi concorsi musicali e canori quali Festival di Castrocaro, Corona SocialIce Tour e Festival Show, nonché con il pezzo Studio a FE diventata il simbolo della vita universitaria ferrarese.

Un disco di canzonette non troppo canzonette che colpiscono per la vivacità e la cura, il buon gusto e soprattutto l’autoironia, essere pop non significa di certo essere commerciali, questa è una musica che può piacere a tutti e che comunque si ritaglia un margine di indipendenza nell’autoproduzione e nella ricerca continua di nuovi sbocchi e strade da seguire.

A livello musicale tocchiamo i vertici di Subsonica e di tutte quelle band che usano l’elettronica per far muovere non solo i piedi, ma anche le menti.

Un disco solido e divertente, pungente quanto basta per incanalare energie nell’attesa che questa musica esploda come fiore a Primavera.