Bakemono – A lullaby for the death (29R / Sciroppo Dischi)

Canzoni da ascoltare con le coperte sopra al naso, canzoni che ti cullano e lasciano desiderare mondi lontani e inarrivabili, capaci di entrare nella materia del sogno attraverso un’arte astratta che si concepisce come tale proprio quando sentiamo da lontano provenire un suono di chitarra acustica a scaldare le pareti domestiche prima che diventi buio. Il progetto del cantautore Bakemono si amplia e si amplifica grazie ad un’edizione curata dalla fotografa romana Sofia Bucci, un’edizione elegante e sopraffina che scardina i costrutti del passato per dare senso e valore al materico, alla percezione di un qualcosa che va oltre il mero scaricare un file mp3. Per la ristampa del primo disco di Bakemono infatti sono presenti, all’interno del packaging, numerose fotografie, un poster con un racconto e altre succose scoperte capaci di dare senso maggiore ad un album introspettivo che incorpora l’importanza di un Damien Rice migliore e l’esigenza di un Tom Mcrae di raccontare la propria fine del mondo rimanendo comodamente seduti sul proprio divano di casa, attraversando in contemporanea immaginifici paesaggi come nella bellissima Please, please leave me alone a segnare tracce che si perdono nella potenza emotiva di un dolce sogno.

Il branco – Non fate caso al sorriso (LDM)

album Non fate caso al sorriso - Il Branco

Suoni che si divincolano in sintetizzatori in primo piano che intessono melodie cantabili e capaci di penetrare la carne e rimanere lì sospese tra l’odio e l’amore in cerca di una via da seguire per sostenere esistenze al limite e qui cantate per ricordare da dove proveniamo e dove vogliamo andare, dando un senso maggiore alla canzone pop rispetto al punk cantautorale degli inizi e segnando un confine malleabile tra passato e presente. Una produzione più curata certo, rispetto alla precedente che sospinge la band alzando il tiro, marcando il territorio in formule già sentite si, ma sempre in grado di trasmettere un’energia innovativa capace di aprirsi a nuovi sviluppi grazie a tormentoni come Via Boncompagni o Ultimo appello fino a quella Canzone che nel finale chiude il disco e riappacifica in parte gli animi, tra l’illusione e la realtà in un mondo onirico in perenne decadenza.  Il branco è tornato raccontando storie di periferia che ci riguardano da vicino, riappropriandosi di spazi perduti e alla ricerca di nuova terra da poter coltivare, Il Branco è tornato: aprite i cancelli della vostra malata quotidianità.

Three Horns – Jackie (Autoproduzione)

album Jackie EP - Three Horns

Opera prima di impatto scenico che si esprime attraverso i primi piani di un rock che attinge linfa vitale da tutta la produzione degli anni ’90 intascando la lezione del grunge di Seattle per passare ad uno stoner più recente, pur mantenendo di fondo un sostanziale equilibrio tra passato e presente in nome di una musica ricca di citazioni e rimandi al mondo del cinema e carica di quella personalità intrinseca che permette di stabilire con coscienza i punti di forza di questo disco. Certo la formula è già stata sentita più e più volte, ma soprattutto in questo album c’è tanta adrenalina e responsabilità nel raccontare vicende che ci assomigliano che ci riguardano da vicino e predispongono costrutti che prima di tutto sono intenzioni per dare un senso e un valore ad una musica d’insieme che proprio attraverso la coralità  e la godibilità tout court trova dalla propria parte un’arma vincente da sfoderare per permettere all’ascoltatore di entrare in questo mondo onirico e decostruito ad arte.

124C41+ – ODE (Autoproduzione)

L'immagine può contenere: notte e spazio all'aperto

Viaggio dentro l’animo umano attraverso composizioni viscerali che ambiscono ad un collasso maniacale di forme e colori che lambiscono territori inesplorati e si identificano in suoni non interrotti, ma piuttosto protratti in un tempo, questo tempo. Venticinque minuti scarsi di abbandono e solitudine che intrecciano ambientazioni poetiche e lirismo d’avanguardia che lascia allo scoperto i nostri punti nevralgici e porta a casa un prova che esce dagli schemi e non si sottopone al piacere della massa, ma piuttosto trova una convincente esasperazione proprio nel momento in cui i suoni culminano in dissolvenza e anticipano i nostri sentimenti, lasciando posto al vuoto e creando un interesse per la strutturazione da ascoltare tutta d’un fiato per un disco che rappresenta il solitario errare umano nelle nubi della ragione e nelle apparizioni oniriche che ci appartengono in modo mutevole e cangiante.

Krang – Comfort zone (DG Records/Cane Nero dischi)

album Comfort Zone - KRANG

Centrifuga di un Moby alle prese con le sovrapposizioni moderne per un disco concentrato che parla attraverso la musica degli anni ’90 con fare e appeal vintage, mettendo sempre e comunque in primo piano la melodia e cercando di restare aggrappati al filo sottile che lega il passato con il presente. I Krang sono un duo elettro-pop proveniente da Como, un combo in grado di manipolare nuove forme e sostanze per creare all’unisono un suono d’insieme originale ottenuto da batteria e voce disarticolate a dovere, dando vita a forme di ballo ossessive che prevalgono nella bellezza di un pop che coinvolge l’ascoltatore e lo fa entrare all’interno di queste cinque tracce che lasciano le inutilità da parte e consentono di farci entrare in un mondo brillante e innovativo frutto di esperienze e sperimentazioni, frutto di una caparbietà intrinseca e ben esposta che proprio grazie alle manipolazioni del disco in questione riesce in tutta la sua potenza espressiva a ricercare la strada da seguire oltre ogni aspettativa.

Technoir – Nemui (Cane Nero Dischi)

L'immagine può contenere: 2 persone, persone sedute

Duo composito implementato da incrociatori sonori che mescolano stili ed elettronica d’autore nel ricreare atmosfere vibranti attese che rendono liquido il substrato musicale coadiuvato per l’occasione da una voce corposa che come tappeto sonoro si diletta in geometrie e bellezze sospinte tra il soul, l’r’n’b e il jazz, tra qualcosa di arcano e qualcosa di più moderno che in questo disco trova l’esatta complicità, l’esatto punto d’incontro. Il disco, fatto uscire nel 2016 in digitale in 3 EP, ora vede la luce attraverso la ricerca di un nuovo ecosistema che contribuisce alla composizione di pezzi che ricordano i saliscendi emozionali di Verdiana Raw e acquisiscono importanza di fondo proprio nella ricercatezza sonora ricreata ad arte che insegue un flusso da Augmented reality fino a Sides, passando per Elements Collide e Chimera, per suoni che ritrovano nell’invettiva del momento uno spazio vitale davvero impattante e che grazie all’elettronica di fondo riescono ad allargarsi sempre più verso un orizzonte di sostanza da raggiungere e far propria.

Eugenio in via di gioia – Tutti su per terra (Libellula)

Continua la ricerca sonora di una delle band live più promettenti del nostro panorama, continua la ricerca in nome di un costante richiamo a tutto ciò che ci fa ballare, ci fa scuotere dentro e nel contempo ci fa riflettere in nome di un qualcosa che risiede dentro di noi e si affaccia prepotentemente nella realtà di tutti i giorni. Gli Eugenio in via di Gioia sono tornati con un album corale davvero curato, merito di Fabio De Rizzo, già con Dimartino e Niccolò Carnesi, merito di Marco Libanore e merito anche di questo gruppo che ha fatto della vivacità in musica una chiave per sfondare porte aperte attraverso un suono d’autore davvero particolare. Una band indissolubilmente legata al cantautorato quindi, ma con lo sguardo proteso a creare un disco collocato ai giorni nostri dove umano, natura e tecnologia si incontrano e si scontrano, sottolineando condizioni e rivoluzioni cantate a squarciagola attraverso uno spaccato neo folk che ben si sposa con la modernità, curandone particolari e intessendo trame perdute in nome di un amore nei confronti dei  legami che si fa sentire e si fa percepire lungo tutte le nove tracce che compongono il disco. Ciò che ne esce da tutto questo sono canzoni da imparare a memoria, dove la banalità è sostituita dalla bellezza e dove i giochi della quotidianità si soffermano a riflettere sull’essenza stessa dei rapporti umani.

Senzabenza – Pop from hell (RocketMan Records)

E’ il periodo dei ritorni e i Sensabenza non sono da meno. La band di Latina ritorna con un suono alquanto fresco e ricco di rimandi nei confronti di tutto ciò che li ha caratterizzati nel corso del tempo grazie ad un disco di stampo prettamente punk sferzato qua e là da incursioni garage rock sbarazzino e accompagnato da refrain di puro effetto che facilmente entrano nella testa e a fatica se ne vanno conquistando dal primo ascolto. Nel disco sono presenti numerosi ospiti di band che hanno fatto la storia di genere in Italia come Derozer, Rappresaglia, Latte+, Punkreas e Shandon a rincarare una potenza di fondo che si esprime nell’immediatezza di pezzi che non lasciano scampo, non lasciano respirare, ma che si concentrano nell’attesa e nell’attimo prima della deflagrazione in uno show dentro lo show che in chiave live sarà pronto a ridare quella potenza respirabile nel disco e così tanto attesa da rimanerne abbagliati.

One horse band – Let’s Gallop! (Autoproduzione)

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Disco d’esordio per la one man band milanese, One horse band che sporca le canzoni di un blues atmosferico capace di infondere continuità ad una scia di ripresa cominciata qualche tempo fa che vede come protagonista dello show una chitarra, una vecchia batteria e una voce graffiante in grado di far ripercorrere in un solo istante la storia del blues e le varie influenze che lo stesso ha subito nel corso del tempo, per un disco questo che incrocia il Mississippi ai Navigli e fa diventare un garage rock qualcosa di più compiacente e meritatamente vissuto. Gli spiriti affini sono molti, ma un’essenzialità di fondo la possiamo scovare nei suoni di Tony la Muerte e di Elli de mon ad intensificare momenti di lucidità con assordante desiderio di trasformare il tutto in purezza di rumore dalla dichiarazione d’intenti iniziali Declaration of intent, fino al procedere nel finale di Altare per un disco che racchiude un animo oscuro e in decomposizione, un animo che affronta la realtà a testa alta, senza paura e senza vincoli precostituiti.

Unòrsominòre – Analisi Logica Ep/Una valle che brucia (diNotte Records)

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A sorpresa inaspettata, senza dire nulla e con un botto tenuto nel taschino escono insieme e all’unisono due dischi di Unòrsominòre: Analisi logica, piccolo Ep, ma potente per contenuti e Una valle che brucia, full length di rara bellezza e introspezione. Sono due lavori che si completano, sembra quasi nell’uno di trovare spiegazione e approfondimento per l’ampliamento musicale dell’altro tanto è verbosa e presente quella linea netta di demarcazione che ci costringe a far rientrare il tutto all’interno di una musica di qualità, magari non adatta a tutti, ma capace di scardinare logiche precostituite per una visione e un’analisi della realtà così complessa e stratificata da rimanerne in qualche modo colpiti. Analisi Logica si apre con la lunghissima O tempora, vivido spaccato dei nostri giorni, quassi una summa dell’intero lavoro, un’analisi tristemente veritiera che lascia posto alle citazioni di épater le bourgeois, sporca e convincente, per terminare con la già ascoltata “pezzali” a rimarcare l’uso smodato del nostro fervido ego in nome di una realtà che valorizza l’avere piuttosto che l’essere. Una valle che brucia invece è un’opera di per sé straniante, la copertina è l’esemplificazione del concetto su cui ruota attorno l’intero disco. Siamo su territori scarni, aridi e quasi nebbiosi dove la luce in fondo al tunnel è solo miraggio per menti che pensano che il futuro davanti sia fatto di elementi imposti, menti che non lottano, menti che subiscono l’assuefazione dei mezzi di comunicazione di massa, il tutto condito da un minimal rock cantautorale di bellezza solida capace di incrociare le alienazioni dei Radiohead, le melodie dei Non voglio che Clara e le sperimentazioni di Beck a rimarcare concetti, uno dopo l’altro, a sputarci in faccia l’assordante posizione che uno deve guadagnarsi per fermare questa deriva, sottolineando ancora una volta che la verità non sta di certo nel mezzo.