Snow in Damascus! – Unconscious Oracle (DGRecords/StoutMusic)

Apici raccolti ed esplosi in un disco maestoso e impressionante per una band italiota, un album che ha il profumo dell’internazionalità ad ogni nota e si sposa in maniera quasi maniacale con una ricerca ricca di soddisfazioni e protesa ad un futuro difficile da spiegare a parole. Gli Snow in Damascus! hanno, dal nulla, gettato al mondo musicale un disco cangiante, psichedelico nella sua trama folk intersecata all’elettronica, un insieme di canzoni elettrizzanti nella loro pacatezza, un fiume in piena necessario confermato da incursioni che dividono il mondo a causa di una sottile crepa. Una crepa da cui vedere l’esistenza in quattro dimensioni, ogni singolo momento, ogni singolo attimo vissuto qui dilatato in concentriche visioni a farla da padrone. Dalla title track fino a Make me blind i nostri ricordano le derivazioni neo folk di Bon Iver passando per i The Barr Brothers, dando forma ad una prova completa che dimostra capacità di osare e obiettivi da raggiungere in modo liberatorio. Mi auguro veramente di sentire parlare ancora di così tanta bellezza raccolta in un concentrato di autenticità così difficile da trovare.

Il Gentiluomo – Sole (Cane Nero Dischi)

Lo-fi ad alto tasso emozionale capace di stupire e di creare costantemente emozioni da cameretta che rendono a meraviglia atmosfere ovattate in un mondo fatto di giocattoli spezzati ed entrato a pieno diritto nell’età adulta tramite una ricerca sostanziale di sussurri, parole calibrate e melodie che di certo non passano inosservate. Erano Sole Serena e Costanza, ora però sono in tre con l’aggiunta di Simone alla batteria, per un progetto che trova nel pop più essenziale ed efficace un proprio trasporto, una chiave per entrare in un mondo che sfiora melliflue sostanze e si lascia intorpidire dal freddo della realtà, da tutto quel freddo che attanaglia e che priva l’uomo e soprattutto la donna di quell’essere umani oltre ogni categorizzazione. Figli di bronzo è una degna apertura per un disco davvero interessante sotto molteplici punti di vista. La semplicità di fondo si sposa a pennello con la bellezza dei testi, con la bellezza di canzoni che scorrono come l’acqua e si lasciano ascoltare. Il disco de Il gentiluomo è una chiara dichiarazione nei confronti dei sottili legami che uniscono le persone, è un provare a rispondere alle nostre domande guardando le cose che ci circondano in modo semplice e diretto, a tratti elegante, a tratti scomposto in una formula di certo originale.

Case di vetro – Bon Voyage (DreaminGorillaRecords/CutDownRecords)

Lavoro prettamente pop ben suonato e arrangiato che accoglie emozioni oltre cameretta e racconta di viaggi immaginari e nel contempo vissuti dove figure che ci appartengono sono le protagoniste dei racconti che viviamo, dei racconti a cui non possiamo rinunciare. Il disco dei Case di vetro è un album che ricorda le atmosfere dei romani Bosco con la voce di un Toffolo in splendida forma a parlare di tutto quello che abbiamo lasciato alle spalle e di tutto quello che possiamo ancora conquistare. Sono sette tracce che percorrono un ideale spaccato di vita che ci può sfiorare da vicino, attraverso un’elettronica di confine e un cantato in primo piano che si sposa molto bene con l’integrità del tutto a riscoprire forme e ad ottenere risultati che ammiccano al dream pop spaziale nei finali aprendo ad un post rock suonato e vibrato fino all’attesa che tutto possa ricominciare nuovamente. Bon Voyage è essenzialmente un diario di viaggio che vola alto e incornicia l’attimo che abbiamo vissuto intensamente. Citazioni e lavoro d’insieme sono punti fondamentali per il buon risultato della prova nella sua essenza totale.

124C41+ – ODE (Autoproduzione)

L'immagine può contenere: notte e spazio all'aperto

Viaggio dentro l’animo umano attraverso composizioni viscerali che ambiscono ad un collasso maniacale di forme e colori che lambiscono territori inesplorati e si identificano in suoni non interrotti, ma piuttosto protratti in un tempo, questo tempo. Venticinque minuti scarsi di abbandono e solitudine che intrecciano ambientazioni poetiche e lirismo d’avanguardia che lascia allo scoperto i nostri punti nevralgici e porta a casa un prova che esce dagli schemi e non si sottopone al piacere della massa, ma piuttosto trova una convincente esasperazione proprio nel momento in cui i suoni culminano in dissolvenza e anticipano i nostri sentimenti, lasciando posto al vuoto e creando un interesse per la strutturazione da ascoltare tutta d’un fiato per un disco che rappresenta il solitario errare umano nelle nubi della ragione e nelle apparizioni oniriche che ci appartengono in modo mutevole e cangiante.

Technoir – Nemui (Cane Nero Dischi)

L'immagine può contenere: 2 persone, persone sedute

Duo composito implementato da incrociatori sonori che mescolano stili ed elettronica d’autore nel ricreare atmosfere vibranti attese che rendono liquido il substrato musicale coadiuvato per l’occasione da una voce corposa che come tappeto sonoro si diletta in geometrie e bellezze sospinte tra il soul, l’r’n’b e il jazz, tra qualcosa di arcano e qualcosa di più moderno che in questo disco trova l’esatta complicità, l’esatto punto d’incontro. Il disco, fatto uscire nel 2016 in digitale in 3 EP, ora vede la luce attraverso la ricerca di un nuovo ecosistema che contribuisce alla composizione di pezzi che ricordano i saliscendi emozionali di Verdiana Raw e acquisiscono importanza di fondo proprio nella ricercatezza sonora ricreata ad arte che insegue un flusso da Augmented reality fino a Sides, passando per Elements Collide e Chimera, per suoni che ritrovano nell’invettiva del momento uno spazio vitale davvero impattante e che grazie all’elettronica di fondo riescono ad allargarsi sempre più verso un orizzonte di sostanza da raggiungere e far propria.

Petrolio – Di cosa si nasce (Etichette varie)

Petrolio lo senti avvicinarsi da lontano, da sotto i piedi che avanza in veste elettronica e sradica preconcetti per porsi nei confronti di un assoluto morente ad intessere trame di abbandono, di dolore, di buio che circonda una prova dove il silenzio o la calma di un pianoforte sono maggiormente discostanti di tutto quello che ci gira attorno, una prova solista quella di Petrolio moniker di Enrico Cerrato, un prova che trasuda potenza che si esprime in modo esemplare passando da un industrial ad un ambient d’ampio respiro, quasi fossero i suoni della terra, le ombre discostanti assuefatte dalla paranoia collettiva e quella strana sensazione di vita che viene via via ad esaurirsi, ad incombere nell’incedere spassionato di tempeste e fulmini cercando una via d’uscita nel labirinto della nostra ragione, ma scoprendo alla fin fine che siamo fatti di molecole pronte a disgregarsi al suolo, tra la materia e l’infinito ecco Di cosa si nasce a fare luce dove luce non c’è.

Montauk – Vacanza/Gabbia (LABELLASCHEGGIA)

L'immagine può contenere: cielo, albero e spazio all'aperto

Punk di risveglio post o pre estivo che a dir si voglia incentrato su vacanze e affini, dove la stretta morsa della gabbia routiniana attesta le difficoltà di far parte di una società di per sé malata e accentrata nei confronti di un filo occidentalismo che annienta i costumi, annienta la bellezza e nel suo senso profondo annienta le libertà in nome di un progresso a specchio, un progresso fotocopia che vede nell’omologazione un’ancora di salvezza presumibilmente certa.

Montauk è una spiaggia guarda caso, Montauk è anche la rabbia però nei confronti di questo sistema e in queste canzoni, tredici per l’esattezza, le parole si sciolgono al sole in un soft hardcore prudente mescolato ad un pizzico di cantautorato nella ricerca testuale immagazzinando pezzi che si susseguono rapidamente e legati da un filo rosso che porta l’ascoltatore ad aprire gli occhi nei confronti di ciò che fa più male.

Da Privata a La neve si passa con facilità da una situazione ad un’altra tenendo a fuoco però quella necessaria guerra quotidiana che ha per nemico un bagliore effimero di velata importanza ritrovato per l’occasione grazie ad una rivolta musicale che parte proprio dal prendere atto che alla fine tutto ciò che è tangibile dura solo un istante.

Felix Lalù – Coltellate d’affetto (DGRecords/Riff Records/La Ostia)

Felix Lalù è uno strampalato cantautore che vive tra i veleni delle mele genuine e dopo una dose massiccia  di diserbanti e altre amenità se ne esce con una prova dal sapore intima cameretta dove la componente fanciullesca è essenziale per stabilire e rimarcare un’idea, un concetto che non è altro che il vivere quotidiano in alta quota in grado di proiettare nel cielo fotografie virato seppia di una semplicità disarmante, sincera e certamente utile per capire il pensiero di queste follie in musica.

Si raccontano le vite di paese e con sarcasmo ed ironia si parla del mondo e di come gira, da un punto di vista quasi letterario, un brain storming di pensieri a tempesta che non illudono e non scendono a compromessi, ma sono lo specchio dei nostri giorni, visti con gli occhi di chi vive la vita nelle difficoltà quotidiane, tra chitarre dimenticate nei fossi ed energia lasciata sotto il pavimento, per un cantautorato dimesso, ma di sicuro effetto.

Numerosi sono gli ospiti presenti ad accompagnare il nostro, da Jacopo Broseghin dei The Bastard Sons Of Dioniso, passando per il reverendo Jhonny Mox, Elli De Mon, Candirù, Simone Floresta, Gianni Mascotti, Phill Reynolds, Michael Pancher e Mirco Marconi per una musica che fa riflettere con il sorriso sulle labbra, in memoria dei tempi andati e di quelli che verranno.

These Radical Sheep – Soundtrack for breakfast (Autoproduzione)

Il colore dei Beatles trasportato ai giorni nostri, quel colore allucinato e contorto che ci fa sognare, ci fa atterrare in mondi lontanissimi e ricco di proiezioni sonore, quelle proiezioni sonore che chiedono al cantautorato di andare oltre, incontrando il rock e il pop d’autore, confezionando una prova varia e autentica.

I These Radical Sheep sono una band che non bada a compromessi e ama alla follia quello che fa, nascono a Padova e decidono fin da subito di suonare un indie folk pop intelligente, contaminato certamente, ma anche carico di originalità e apporto personale, che non guasta di certo, ma che permette all’ascoltatore di entrare in modo discreto nel mondo creato appositamente dal gruppo, un mondo colorato e strampalato, che ci racconta e si fa raccontare tramite otto canzoni, otto modi diversi di svegliarsi e di vivere la mattina.

Si passa da A morning per la lucentezza di Soleada e poi via via a rincorrere il giorno lungo strade infinite in pezzi come Colors o This Life e chiudendo il cerchio con Grey.

Riportando un genere non più in auge, i nostri si relegano un posto tra gli estimatori del passato, un passato che ha messo le radici alla musica moderna e grazie a queste costruzioni sonore riesce a vivere ancora una volta, il pianoforte in primo piano e quella batteria presente, ma non invasiva, danno un senso al tutto di svogliato relax, in un continuo di capacità espressiva ben calibrata, che non sfigura, ma anzi si impossessa del tempo per farlo un po’ anche nostro.