Eugenio Rodondi – D’un tratto (Phonarchia Dischi)

Il nuovo di Rodondi è uno schiaffo alla realtà che ci circonda. In modo sghembo e stralunato il cantautore torinese raccoglie le vicissitudini del momento, il vivere quotidiano per programmare a tavolino una prova dal sapore dolce amore dove amori, disillusioni, coppie disturbate, appigli per un futuro migliore, sono alla base per questo disco che effettivamente ha il sapore di un tempo andato, abbandonando la poetica folky non sense dei cantautori odierni per arrivare al punto grazie a strati di verismo che si fondono e confondono con i fatti che ci circondano. D’un tratto è un insieme di poesie gridate alla luna, sussurrate al caldo tepore estivo, immagazzinate a dovere nella nostra memoria e cesellate fino ad ottenere un risultato che nel suo insieme nasconde qualcosa di speciale. Dai Beatles passando per Lucio Battisti fino a Buffalo Springfield il nostro intraprende un viaggio in una realtà capace di imbrigliare le relazioni, rilasciandole sotto forma di racconto e centellinando ogni singola parola.

Twang – Nulla si può controllare (Autoproduzione)

album NULLA SI PUO' CONTROLLARE - TWANG

Quattro pezzi che sono la summa di un costrutto da cui partire per intavolare partenze blues e arrivare a ballate beat che strizzano l’occhio agli anni ’60 e si concedono in un dileguarsi metafisico e quasi psichedelico adombrando il mondo circostante e costringendo elementi in dissoluzione a fare la loro entrata trionfale. Sporco garage e nel contempo raffinato pervade la breve prova dei Twang, band torinese che con il loro primo disco sanno trasmettere energia in tutte le direzioni, partendo con Neanche un colpo e finendo con Maschera con il il chiaro intento di svelare una sottile e leggere parte di universo che ci sta attorno e che ci rappresenta, giocando un po’ con le parole, ma arrivando al punto in direzione quasi ostinata e contraria. Muri che levitano in distruzione e un martello e un giratubi in copertina a segnare una buona prova d’esordio che merita l’espansione naturale in un full legth che spero non si faccia attendere. I nostri sono sulla giusta strada.

Spectre – 1984 movies (Indastria Records)

Ponte sonoro tra anni ’80 e suoni più moderni legati alle influenze inevitabili di band come Daft Punk che per l’occasione investono appieno il dj e produttore di musica elettronica  torinese Spectre, all’anagrafe Aldo Sulotto che in questa breve visione di sodalizi con il passato ci regala attimi di vita inglobata in suoni elettronici ben conditi da sferzate di tech house per un gusto electro pop capace di far smuovere qualcosa dal nostro dentro, quel qualcosa che al ritmo della musica è intrinsecamente sinonimo di libertà. Ci sono i suoni del passato si, ma c’è anche tanta sperimentazione sonora che entra dalle cuffie ed esce ad incrociare il pavimento. Un insieme di suoni sintetizzati a dovere che convergono in una nostalgia di fondo che fa scuola per approccio, ma anche per  sostanza in evoluzione che non smette di stupire e che grazie a questi cinque pezzi segna nell’etere un nuovo traguardo di manipolazione sonora.

Ella – Dentro (Autoproduzione)

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Dentro al mondo di Ella c’è un universo da scoprire e comprendere attraverso un cantautorato che convince e si dona fin dall’inizio regalando una musica allo stato emozionale che è un po’ ripercorrere le tappe e le vicende nascoste e racchiuse in un diario fatto di pensieri che prendono via via forma e attraverso un amore che si consuma tentano di riprendersi l’abbandonato e di cercare un proprio posto dove poter stare. Il disco d’esordio di Ella, cantautrice torinese, riesce nell’intento di buttare su disco registrazioni che ricoprono spazi intimi, riempiono il vuoto e si fanno largo nelle vicissitudini quotidiane, attraverso una musica d’autore cangiante e colorata che ricorda per certi versi le italiche Marina Rei e Paola Turci trasportate però attraverso una giovane identità che esprime freschezza contagiosa grazie ad una serie di brani che si sposano bene con i tempi in cui viviamo da Quando io e te saremo grandi fino alla speranza di Finché il vento soffierà passando per la rivisitazione di Cuore Matto di Little Tony per l’occasione rimaneggiata in chiave elettronica questo disco fa della manipolazione digitale stessa un punto sospeso importante capace di regalare emozioni continue.

Dulcamara – Indiana (INRI/Metatron)

Suoni di notti stellate e fuoco intorno, introspezioni sonore che viaggiano e creano fantasie e rituali che abbracciano con forma costante un mondo polveroso di vita da sorseggiare ed esteriorizzare in estemporanee fotografie virate seppia che sembrano uscite da un’altra epoca, loro sono i Dulcamara, guidati da Mattia Zani, una band che incrocia in modo essenziale la poesie e il folk nord americano con la canzone d’autore italiana; tanto per fare un esempio moderno prendete il For Emma di Bon Iver e impastatelo a dovere con un pizzico di Bonnie Prince Billy e di Iron & Wine, il tutto cantato però in italiano in una prova notturna che racconta di amori e di bisogno di partire, di viaggi tra foreste di illusioni, di viaggi tra i boschi dell’anima, ricoprendo un ruolo essenziale proprio nei testi che guardano oltre l’orizzonte e non si accontentano, ma trovano una dimensione onirica nell’amara realtà di tutti i giorni, perpetuando una prova che getta i propri punti di forza in canzoni che portano con sé un fascino indiscutibile da Rituale, Luce di frontiera, Sogni lucidi, Labirinti immaginari fino alla reprise dei costrutti di Terminal per un disco che ha l’odore della notte, l’odore di quello che non c’è più e  il profumo della ricerca del sostanziale nostro essere quotidiano.

Diecicento35 – Il piano B (Autoproduzione)

Ad un primo impatto ho detto: no un altro gruppo che fa rock con una cantante scopiazzando qua e là gli anni ’90, poi ascoltandoli bene i Diecicento35 mi hanno letteralmente stupito e inglobato nel loro mondo dove nulla è banale, anzi la forma canzone, i testi, vengono studiati a tavolino e la musica è complementare ad un percorso fatto di discesa e ascesa, curve sinusoidali si affacciano al vivere in continuo cambiamento e grazie ad un suono fresco, ma ricercato, i nostri compiono l’impresa, per nulla facile in questi anni, di confezionare un disco di matrice puramente rock con un valore aggiunto certamente notevole e dal forte sapore espressivo, grazie ad un comparto tecnico e strumentale ineccepibile e grazie anche ad una sofferenza, mescolata alla rabbia, che traspare dai testi per poesie tuffate nel quotidiano in grado di destabilizzare e confrontarsi con una ricerca stilistica marcata che si muove tra gli inizi sostenuti di Amarinverni, passando per la bellissima Respiro meglio fino a scendere agli spaccati di vita di Non conviene e Matrimoni, ad accogliere nel finale il vento del cambiamento in Passerà, per un disco che raccoglie delle grandi sonorità, ma soprattutto una forte capacità espressiva che racconta una poesia alternative schiaffata nel mondo del pop.

The Circle – How to control the clouds (Prismopaco Records/Costello’s)

Come controllare le nuvole, tra sbalzi umorali e tempeste in arrivo, i nostri torinesi The Circle ce lo spiegano, confezionando un ottimo lavoro rock dal gusto internazionale capace di concentrare gli spazi angusti in esplosioni pop che colorano l’aria e abbracciano tempestivamente le orme caratteriali dei primi 2000, facilmente accessibili a delay che diventano per l’occasione un marchio di fabbrica a ristabilire un giusto equilibrio tra introspezioni d’animo ed energia pronta ad uscire in qualsiasi momento, facile viene il paragone con i britannici Coldplay, sia per stile che per orecchiabilità della proposta, in cerca di una fase sempre attiva di sperimentazione, simili per certi versi a quel  X&Y che ha visto la band capitanata da Chris Martin porsi tra un crocevia che lega passato con il futuro; i nostri però, in questa prova, si propongono attraverso una forte dose di personalità e coraggio, dentro ad un mondo che è in continuo e veloce sviluppo, loro sono lì a raccontarlo e lo fanno attraverso pezzi come Shadows, The Endless Sky, Love don’t cry per un disco che ha una modernità impattante di fondo pronta ad esplodere in ogni momento per colorare un mondo che ha bisogno ancora di luce.

Bea Zanin – A Torino come va (Libellula/Audioglobe)

Dopo l’omonimo ep autoprodotto del 2014 la vicentina di origini, ma torinese d’adozione, Bea Zanin, già violoncellista con Daniele Celona, Bianco e Luca Morino, solo per citarne alcuni, compie l’impresa di creare e dare vita ad un album multistrato in grado di essere diretto e nel contempo anche riflessivo, la nostra si abbandona a pensieri cittadini che inglobano l’energia di una città in costante e continuo cambiamento, raccontando di amori, disillusioni e speranze anticonformiste che superano la prova del già sentito per consegnare all’ascoltatore una poesia urbana deflagrante e nel contempo elegante, capace di coniugare le atmosfere elettroniche degli anni ’80 e ’90 in maniera sopraffina, tra ispirazioni analogiche e potenza espressiva cesellata a dovere da Diego Perrone già con Niagara, Medusa e Caparezza  la nostra si abbandona da Plaza Victoire, fino a Ci conosciamo già, passando per Ho nostalgia e Anni, in un disco suddiviso volutamente in tre capitoli: De Urbe/De Universitate, Ottimista mal ciapà e Musii o l’amore, tre capitoli che rispecchiano passati di vita che come un’illusione costante riescono a renderci più vivi e forse anche un po’ più liberi.

GOMMA – USCIAMO!ORA! (Libellula Label/Audioglobe)

E’ il momento di togliere la testa dalla sabbia e uscire allo scoperto, è il momento di fare il salto artistico e di qualità, perché qui la qualità è tanta e si respira in ogni traccia di questo EP dei GOMMA, duo bolognese giovanissimo all’anagrafe, 41 anni in due, in grado di ridare un senso alla parola pop fin dalle prime battute riscoprendo la bellezza della semplicità, dei testi diretti che si raccontano e si fanno raccontare e di quella capacità di immediatezza invidiabile e carica di sorprese per un piccolo disco che ha il sapore dell’estate, dei tavolini da bar posizionati lungo i quartieri storici delle città e porta con sé quel profumo post adolescenziale stratificato a chitarrine acustiche da spiaggia che non si chiedono troppo ma fanno un gran figurone intessendo piccole trame elettroniche ben studiate e soppesate in grado di esaltare il risultato finale in un’unica e grande festa che si muove molto bene in pezzi come la title track Usciamo!Ora! passando per Stasera, attraverso le apparenze ingannevoli di La pelle umana è tutta uguale, fino a ricongiungersi nel finale con un’ingenuità che fa scuola con Sapore per un disco che ha, come unico punto negativo, se lo si può definire tale, quello di essere uscito con l’inizio dell’Autunno.

LOSBURLA – “Stupefacente!” (INRI/Ala Bianca)

Il ritorno di LOSBURLA è uno schiaffo al passato, è uno schiaffo verista che racchiude una compressione immediata, sporca, che non lascia spazio alle velleità e alle inutilità, ma si concentra con rinnovata forza nel creare una costante sovrapposizione di vita reale e viscerale, dove il cantato acquista vigore in primo piano, abbandonando i registri del primo disco per compiere un salto quasi nel vuoto, fino a cogliere le profondità più nascoste del genere umano.

Questo è un disco senza peli sulla lingua, è un disco difficile, ma dal forte carattere contenutistico, una prova che raccoglie le difficoltà dei nostri tempi, per poi spararle a raffica, una dopo l’altra, in pezzi come Le promesse, Il tuo cane veste Prada, Tutti uguali e I cittadini sono liberi, a rimarcare con forza quel senso di vera appartenenza al nostro essere più profondo, al nostro essere vita oltre ogni forma di consuetudine.

Roberto Sburlati confeziona con Carmelo Pipitone dei Marta sui Tubi e Davide Paolini un disco che trasforma l’amarezza in reazione, abbandonando il rimpianto e concentrando il grande desiderio di apparire, in un qualcosa di più dimesso, quasi leggero, dove la leggerezza è materia di gran pregio costruita per esaltare l’anima delle canzoni stesse.