-LIVE REPORT- Inexorable Tour – Giulio Casale/Alessandro Grazian – 24/01/20 – Circolo Quadro – Cittadella (PD)

Vieni vieni vieni, vieni dentro e credi…ho seguito questo consiglio, ho seguito queste parole, sono andato ad ascoltare Giulio Casale e Alessandro Grazian nel tour Inexorable. Un tour che continua imperterrito dopo l’uscita dell’omonimo disco, per VREC, lo scorso anno. Tappa a Cittadella, in provincia di Padova, al Circolo Quadro. Locale intimo. Un posto dove si ascolta musica di qualità in pieno centro. Non è da tutti, non è poco.

Ritorno a vedere dal vivo Giulio Casale dopo tipo sedici anni. Lo avevo perso di vista, mio malgrado. Nel lontano 2004 c’erano ancora gli Estra e i pezzi del mio diventare adulto ora di tutto quel tempo rimane un cantautore che sa condensare teatralità, forma canzone, rock e pop in una voce davvero unica nel panorama della musica italiana.

Di gente ce n’è. Ci sono persone che sanno le canzoni, le conoscono a memoria. Io mi sono perso tipo un sacco di dischi da solista e una marea di altre cose, ma c’è sempre tempo per recuperare. Tra l’altro sono in compagnia dell’amico Vittorio. Uno che di musica se ne intende parecchio. Uno di quelli che conosce tutti i testi del cantautore di origine trevigiana ed è sempre disponibile ad aiutare il rompi scatole di turno e cioè io nel rispondere a domande sui titoli dei brani e i rispettivi album d’appartenenza.

La coppia Casale/Grazian fa la sua gran figura. Arrangiamenti elettronici in loop si alternano all’uso di chitarra acustica ed elettrica. Alessandro Grazian, ricordiamolo, oltre che cantautore solista vellutato e sopraffino è qui in veste anche di arrangiatore di pregne melodie che abbracciano un ambient atmosferico che guarda a visioni nordiche intessute di un qualcosa di misterioso e irraggiungibile. La voce invece di Giulio Casale si muove nelle profondità più nascoste a raccontare, a scavare questa e altre vite. Soltanto un video, Senza direzione, la cover di Orpheus di David Sylvian, la stessa Vieni sono episodi di rara bellezza e intensità che difficilmente scorderò.

Un concerto segreto e custodito. Un concerto pieno di riflessioni interiori per uno dei cantautori che l’Italia ha ancora bisogno di avere. La poetica con Giulio Casale non risulta celata, ma piuttosto ammanta la sfera intima e visionaria, la accende e la rende indimenticabile, proprio come quelle canzoni che mi porto dentro da quasi vent’anni, proprio come gli attimi che devo recuperare. Alla ricerca di un tempo perduto fatto di vissuti, di emozioni e di (ri)scoperte come quelle di stasera.

Testo di Marco Zordan

Foto di Vittorio Dal Ben


-LIVE REPORT- Un uomo e la sua tempesta – Glen Hansard / Mark Geary – Anfiteatro del Vittoriale – Gardone Riviera – 26/07/19

Anni di lotta e conquiste, anni spesi a raccogliere il sudore del tempo migliore con una forza e speranza uniche. Con quella capacità imprevedibile, ma meditata, di attendere il momento propizio, il momento giusto per essere e diventare qualcuno attraverso una piena maturità artistica più unica che rara. Glen Hansard è tutto questo. Quarantanove anni, in attività dal 1983 e solo da qualche tempo conosciuto ai più, non solo per una splendida canzone/colonna sonora, vincitrice di un premio Oscar, per il film Once, ma anche per una serie di album capaci di portare autenticità all’interno di un mondo, come quello del cantautorato, surclassato spesso da fenomeni di moda, transitori ed effimeri.

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Ultima serata per il Festival Tener-a-mente, perla di rara bellezza che da anni vede in cartellone nomi del panorama indipendente e non racchiusi in una cornice invidiabile, eterea e alquanto suggestiva. Ultima serata di festa stupefacente e sentita. Venire al Vittoriale per un concerto è un’esperienza che consiglio a tutti, davvero.

Sul palco, ad aprire Mark Geary, talento conterraneo dello stesso Glen Hansard. Gente di Dublino per intenderci. Un cantastorie raffinato ed elegante, simpatico accompagnato da un duo italiano d’eccezione, lui li chiama amici. Un cantautore  che sa reggere il palco e nel contempo magnetizza il pubblico snocciolando pensieri, quotidianità, avventure o più semplicemente vita.

A seguire l’altro irlandese. Quello che ha iniziato come artista di strada a tredici anni per poi proseguire con i The Frames,  i The Swell Season e raccogliendo dalla polvere del giorno un’essenza unica che si snocciola grazie ad una voce che conquista, ti sussurra e piano ti accoglie per poi portarti verso altre latitudini e terre da scoprire. Una persona semplice, abituata a parlare da sempre con la gente e a stare con la gente.

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Un uomo che raccoglie l’eredità dei grandi del passato per trasformarla e consegnarcela stasera con la capacità di chi ha vissuto momenti che si possono solo raccontare. World music, jazz, rock e blues mescolati assieme. Dallo Springsteen migliore al primo Bob Dylan, passando per l’inglese Tom Mcrae Glen Hansard e band suonano vecchie e nuove canzoni creando un rapporto unico e invidiabile con il pubblico. Bird of Sorrow, When your mind’s made up, Don’t settle, Falling slowly, The closing door sono solo alcune gemme di rara intensità che hanno saputo dare profondità ad un concerto ricco d’atmosfera, energia e bisogno continuo di parlare con il mondo circostante.

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Uno spettacolo ad alti livelli fatto da persone che riempiono di bellezza il mondo. Suoni mescolati a dovere e quell’essenzialità pura che nasconde le rughe del tempo, ma parte proprio da queste per segnare un cammino, un incedere costante di aspettative, desideri e promesse. Una nave poi su di un lago infinito. Un anfiteatro galleggiante che anche stanotte ci ha accolti e ci ha resi a tratti immobili e silenziosi, a tratti scatenati e con l’essenza primordiale della musica nelle vene. Una nave, laggiù, ora che diventa ricordo da custodire e portare a casa. C’è tempo e possiamo ancora scegliere la nostra direzione.

Foto: Giovanni Vanoglio

Report: Marco Zordan


 

-LIVE REPORT- Thom Yorke – Tommorow’s Modern Boxes Tour – 17/07/19 – Villa Manin Passariano di Codroipo (UD)

Bombarde sonore che ti arrivano dentro e difficilmente ti lasciano attraversando decenni di musica sperimentale raccolta e imbrigliata ad arte per regalare sostanziali riferimenti con un mondo in dissolvenza, ma così vicino a noi.

Thom Yorke ha sempre fatto quello che ha voluto. Con i Radiohead e anche da solista. In solitaria si perde il senso unitario di una band per lasciare posto alle interiorizzazioni in elettronica di un apparato lisergico di riferimento in grado di esplodere grazie a contraccolpi sonori intensissimi e davvero importanti. A Villa Manin quel senso unitario, a tratti eterogeneo, diventa simultaneità da assaporare.

Ad aprire il concerto Andrea Belfi, compositore, polistrumentista italiano, ma residente a Berlino, voluto da Thom Yorke e soci per aprire i live del loro tour europeo. Trenta minuti di ambient musicale capaci di percorrere, con energia maniacalmente calcolata, un viaggio sonoro che si sposta a varie latitudini toccando a tratti un post rock d’avanguardia sposato ad arte con un’elettronica jazz di confine. Ineccepibile dal punto di vista tecnico e nella cura dei suoni.

A seguire Thom Yorke. Il musicista, conosciuto ai più per essere il cantante, chitarrista e pianista della band in attività più importante del mondo, i Radiohead. Thom si dimena, fissa il pubblico, a raffica concede canzoni serrate. Sul palco con lui ai campionamenti, alle tastiere e all’elettronica il sempre fidato produttore, dai tempi di My Iron Lung EP, Nigel Godrich mentre l’arte visiva viene affidata a Tarik Barri che canalizza uno show difficile da dimenticare.

Singoloni dei vecchi album si alternano alla nuova fatica Anima, un volere alzare l’asticella della qualità sempre più alto, lassù dove pochi sanno arrivare. Incrociatori trip hop si mescolano ad un funk profuso nell’etere, innovazione dance legata al filo mutevole dell’improvvisazione, versatilità e pura necessità di comunicare un senso claustrofobico di abbandono e riscoperta.

Il cantante inglese, con il nuovo disco portato dal vivo, magnetizza il pubblico grazie ad uno spettacolo fatto di proiezioni visivamente canalizzate in flussi di coscienza che creano un tutt’uno con la musica circostante. Il Tomorrow’s modern boxes tour prosegue in un susseguirsi emozionale davvero imprevedibile e discostante. Due ore di concerto, nella splendida Villa Manin, imbrigliate queste in un’altra dimensione per un’estensione profonda e interiore del nostro io abitata da persone capaci di percepire l’arte come costruzione possibile di mondi futuri.

-LIVE REPORT- Esterina – Canzoni per esseri umani Tour – 10/03/19 – Cohen Verona

Svuotati e scarnificati del tutto o quasi questa sera al Cohen di Verona ci sono gli Esterina in versione duo acustico a presentare, in parte, il nuovo disco Canzoni per esseri umani. Fabio Angeli alla voce e alla chitarra. Massimiliano Grasso al glockenspiel, pianoforte, fisarmonica e cori per un concerto indispensabile oggi più che mai.

Esterina è il suono della bonifica, è la musica tra le più nascoste, segrete e nel contempo meglio conservate del panorama indipendente italiano. Suoni concentrici riempiono un locale in gran parte attento. Suoni che rimproverano parole e parole che accarezzano gesti si fanno largo tra il chiacchiericcio moderno e patinato. Frasi che sovrastano e abbagliano, racchiudendo all’interno di canzoni, di una bellezza immacolata, un senso necessario che si trasforma in stupore e inarrivabile solitudine. I brani degli Esterina si conficcano nello stomaco, non cercano mezze misure, ma piuttosto in questo post rock acustico concentrano esigenze e rimandi a una vita pienamente vissuta che nel suo lato dolce amaro coglie la radice più profonda ed essenziale di tutte le nostre esistenze.

C’è l’odore della terra, lo senti l’odore che ti penetra tra i quartieri di questa città. C’è il profumo e l’essenzialità degli ultimi di questo tempo. Il profumo di chi suda, di chi con coraggio trova una strada da seguire sempre e comunque, senza arrendersi mai, scavando nella carne vie d’uscita.

Le canzoni nuove come Chiamarsi, Santo amore degli abissi, Cometa, Esterno notte si alternano a brani passati da Dio ti salvi, Puta, Stesse barche, Canzonetta passando per La tua voce, Fero e una travolgente bombarda al fulmicotone fatta da Come vuoi che sia nel finale.

Gli Esterina conquistano. Valeva la pena fare tutta questa strada. Un’occasione unica per vedere una piccola parte di una grande realtà lontana da qualsivoglia forma di marketing mediatico, comunicativo, di facciata. Una band che ha riempito un locale attento, un locale così difficile da trovare di questi tempi. Uno spazio che ha saputo ospitare, di sua iniziativa, un segreto nascosto tra le pagine reali di questa nostra realtà virtuale. Un segreto nascosto capace di raccogliere canzoni che si possono toccare, vedere e accarezzare. Canzoni per esseri umani rappresentate in una forma e in una dimensione intima capace di donare nuova speranza e nuovi ricordi da custodire tra le cose migliori. Bravi davvero. 


-LIVE REPORT- Baustelle – Gran Teatro Geox – Padova 27/04/18

La qualità si respira sui palchi polverosi sporcati dal tempo che passa segnando un’evoluzione all’insegna dei modi desueti e del volere andare in direzione contraria pur calpestando il pop digerito nel corso degli anni e trasformato in musica d’autore per poi essere ricucito, sventrato ancora e incollato per non buttare via niente, per raccogliere le cose migliori modificandole a proprio piacimento in un pensiero in musica che non ha fine, almeno per il momento.

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La musica percepita dei Baustelle oltre che ricca di rimandi e di citazionismo è prima di tutto uno spaccato di vita capace di raccontare istantanee e momenti che si fanno piena comunicazione proprio durante i live, durante quella comunione con l’ascoltatore attento e complice di essere davanti ad un gruppo di classe e di stile, mai banale e convincente.

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Stasera qui a Padova siamo in tanti, il Gran Teatro Geox ospita per l’occasione la tappa finale, della prima parte del tour di L’amore e la violenza Vol.2 ennesima fatica della band toscana che chiude il percorso iniziato lo scorso anno con il primo frammento sostanzioso del Vol.1 e che segna una svolta rispetto al precedente Fantasma, album orchestrale, introspettivo e dalle tinte che si muovono dilatate da un bianco accecante ad un nero notte inoltrata.

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Ad aprire il concerto Andrea Poggio, con la sua elettronica minimale, un po’ Battiato e un po’ creatura nordica a ricordare Erlend Oye dei Kings of Convenience in una musica piena di rimandi a qualcosa di passato, ma nel contempo tangibile e prezioso ai nostri giorni. Bravo davvero. A seguire i Baustelle e quel nome a posteriori illuminato al neon che oramai è diventato un marchio di fabbrica per i nostri e che abbaglia di luce una band che ha fatto del palcoscenico un punto d’approdo e che li vede sempre più protagonisti di una scena che hanno contribuito a creare e a mantenere.  Il comparto sonoro e strumentale è qualcosa di favoloso, i suoni sono vintage, hanno l’odore del tempo, sono calibrati a dovere e il risultato non delude le aspettative, anzi mette in risalto voci e sovrapposizioni tra Francesco e Rachele in pezzi che comprendono per la maggior parte estrapolazioni delle ultime due fatiche. L’iniziale Violenza, Amanda Lear, L’amore è negativo, Il Vangelo di Giovanni, Perdere Giovanna sono solo alcune delle più riuscite canzoni di una serata che ha visto, in una seconda parte del concerto, l’apertura a pezzi più vecchi, ma impressionanti  e sentiti dal pubblico come Nessuno, I Provinciali, Monumentale o la sempre attuale La guerra è finita.

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I Baustelle hanno raggiunto una maturità artistica ineguagliabile, complice il fatto di essere liberi di creare composizioni che non devono per forza accontentare tutti, ma che piuttosto fanno del passato una radice imprescindibile da cui partire per trasformare architetture abitudinarie e vicine all’orecchio dell’ascoltatore in qualcosa di spiazzante e avvincente, mai banale, ma piuttosto necessario per comprendere appieno una poetica contemporanea e vitale destinata ad occupare un posto d’onore nel panorama della musica italiana.

Testo: Marco Zordan

Foto: Pietro Rizzato

-LIVE REPORT- Edda – Graziosa utopia tour – 03/11/17 – CSC San Vito di Leguzzano (VI)

A due passi da casa eppure è da una vita che non ci vado il CSC di San Vito di Leguzzano si propone di essere sempre un passo in più e all’avanguardia su progetti, suoni e musiche catalizzate e provenienti da qualsivoglia angolo del mondo. Un’occasione per tornarci, un’occasione per vedere i cambiamenti e ascoltare in questo angolo sperduto dell’Alto vicentino della musica d’autore essenziale, raffinata e importante.

Edda non ha bisogno di molte presentazioni, dopo sei album con i Ritmo Tribale e quattro da solista è qui per presentarci i pezzi che compongono quella bellezza inarrivabile di Graziosa Utopia, quinto disco in studio del cantautore milanese conosciuto ai più per quel cantato tanto particolare quanto incisivo e capace di rappresentare al meglio un tipo di poetica di certo non ermetica, ma immediata e senza fronzoli che accosta parole non sense con velata introspezione che si fa desiderio di conoscenza, vanificando l’attesa e mettendo al centro, spesso, il tema della sessualità sincera, il lato femminile più vero, senza la paura di dimostrare un senso di appartenenza con il proprio essere che fa grande un artista oltre ogni luogo e soprattutto oltre ogni aspettativa.

Si suona tardi purtroppo, fuori dagli orari previsti e questa è un po’ una pecca che hanno la stragrande maggioranza dei locali di musica live in Italia, se ci fosse la possibilità di ascoltare musica ad orari decenti finito il concerto il pubblico potrebbe decidere se andare o restare vista, come in questo caso, la rivoluzione interna del CSC che permette di sedersi comodamente nei tavolini del baretto per sorseggiare e chiacchierare.

Ad aprire il concerto gli Zagreb, già recensiti anche su queste pagine, con un set davvero tirato ed energico, tra Ministri, FASK e Majakovich per canzoni che scorrono alla velocità della luce e si stampano tra le pareti della stanza e le orecchie degli ascoltatori, bravi davvero.

Con Edda sopra al palco le canzoni scendono a meraviglia, si aprono a dovere rispetto alla versione ufficiale e la potenza sonora è ben calibrata per dare al tutto l’idea di un salotto domestico amplificato eccezionalmente. Gli arrangiamenti, come nel disco, sono un qualcosa di inaspettato e vitale, merito dei musicisti che sapientemente creano architetture sonore che si inerpicano fino a conglobare nelle bizzarrie vocali del nostro, si citano i Radiohead giustamente tra arpeggi chitarristici di In Rainbows per passare ai pianoforti di Kid A, anche se il tutto prende spesso risvolti punk anarchici e liberatori. Vicine sentiamo inoltre le parole del cantautore capace di depositare nell’aria frammenti di emozioni che il pubblico presente sa percepire e portare con sé nel luogo più lontano o vicino che ama. Pezzi come Spaziale, Signora, Zigulì, Il santo e il capriolo d’apertura sono tra i momenti più incisivi di una ricerca artistica difficile da spiegare a parole e sempre intessuta di quella viscerale essenza che fa preziosa ogni singola nota e fa trasparire di onestà i numerosi inframezzi parlati riconducibili ad una passione che si fa narrazione di vita vera.

Edda si conferma come uno dei cantautori più talentuosi e tangibili della nostra penisola, un musicista dotato di una poetica astratta e nel contempo reale, accompagnato da una semplicità disarmante che lo rende grande e unico nella sua interiore timidezza. Sul palco sembra di vedere un personaggio felliniano o ancora meglio un Ligabue pittore che imbraccia una Stratocaster nera pronto a riempire di colori naif le strade che ci inglobano dal di fuori.  All’anagrafe Stefano Rampoldi nel suo essere costantemente alle prese con i propri demoni interiori è riuscito anche questa volta a regalarci in musica stati d’animo specchiati nella vita quotidiana, raccontando ciò che ci ferisce, ciò che ci fa paura, ciò che ci consuma dentro, ma soprattutto ciò che ci rende liberi di amare di nuovo.

 

 

 

Live Report – Editors + The Cult – Pistoia Blues – 06/07/17

Doppio live completo e soprattutto eterogeneo in quel di Pistoia che per l’occasione trova un velato connubio tra il rock del passato, quello classico partito dall’oscurità dei primi anni ’80, ricordando la dark wave a approdando a territori hard rock impattanti rappresentati da i The Cult per arrivare a suoni mescolati all’elettronica e all’uso smodato di effetti e sintetizzatori che gli Editors hanno saputo rinvigorire a dovere per dare giusto equilibrio tra sperimentazione e canzone pop. Prerogativa necessaria questa e alquanto sentita negli ultimi due dischi della band di Stafford, capitanata da Tom Smith che per scelta abbandona una cupezza d’animo e introspezione interiore per dare vita, anche in chiave live ad uno spettacolo dal forte appeal emozionale.

I suoni escono dagli amplificatori ancora quando il buio tarda ad arrivare, I The Cult sono granitici, carichi e sicuri che il pubblico accorso per loro non sia da meno, fanno un live ricco di classici intramontabili come l’intro Wild Flower, Rain, She sall sanctuary e Fire Woman, uno show di un’ora e mezza che porta, gran parte della gente presente, ad un tuffo indietro nel tempo con il frontman Ian Astbury che coinvolge il pubblico, suona il cembalo e conduce attraverso suoni fatti di puro rock pesante mescolato da assoli di psichedelia contagiosi che pongono in primo piano Billy Duffy e il suo armamentario di sei corde esplosive.

Cambio palco ed entrano in scena gli Editors, enormi ventole fanno da scenografia e le luci si fondono in un set davvero importante e sentito, sono rari i gruppi che riescono a creare un connubio unico con chi li ascolta e questa sera è successo al Pistoia Blues con loro, a dimostrarlo sono le generazioni passate e giunte per i The Cult che si muovono compulsivamente ai ritmi incalzanti della band inglese più recente, strappando applausi sinceri e di trasporto ad ogni canzone. Tom Smith è un personaggio strano, canta, si muove e si contorce, non si ferma un secondo se non quando suona il piano, i suoi gesti trasportano e la sua voce proietta potenza controllata in ogni singolo pezzo. Sugar, Munich, Blood, An End Has a Start, The Racing rats, A ton of love, Papillon sono solo alcuni dei più lucidi esempi che si percepiscono ancora a giorni di distanza.

Quello a cui si è potuto assistere Giovedì 6 Luglio, in questo meraviglioso Festival dal contesto davvero unico, è stato un insieme di concerti che hanno saputo coniugare passato e presente senza rinunciare a nulla dal punto di vista compositivo e di qualità, i The Cult che proseguono i loro live sicuri di aver posato, da decenni, solide fondamenta tra i loro fan e gli Editors così preziosi e imponenti che rispetto agli esordi, comunque convincenti, ora come ora fanno paura.

Setlist Editors

Cold
Sugar
Munich
Blood
Hallelujah
Eat Raw Meat = Blood Drool
Life Is a Fear
An End Has a Start
Smokers Outside the Hospital Doors
Two Hearted Spider
Magazine
No Sound but the Wind
Ocean of Night
All the Kings
The Racing Rats
Nothing

BIS

The Pulse
A Ton of Love
Marching Orders
Papillon

Setlist The Cult

Wild Flower
Rain
Dark Energy
Peace Dog
Lil’ Devil
Birds of Paradise
Nirvana
Deeply Ordered Chaos
The Phoenix
Sweet Soul Sister
She Sells Sanctuary
Fire Woman

BIS

King Contrary Man
Love Removal Machine

Foto e Articolo: Marco Zordan

-LIVE REPORT- Perturbazione/Nove metri quadri tour – Parole a confine/Caltrano(VI) – 01/04/17

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Dalle mie parti il Festival Parole a Confine è sempre e comunque sinonimo di qualità vuoi per le proposte passate vuoi per la ricerca che non si ferma alle apparenze cercando sempre di rimanere su quel filo che si muove suadente tra indie e non in nome della buona musica che anche quest’anno caratterizza la rassegna culturale in questione.

Di cultura stiamo parlando, parola che nel vicentino e immagino nella provincia italiana, generalmente viene associata alla sagra paesana e alla difesa delle tradizioni, ma che in questo caso si stacca prepotentemente dalle consuetudini per dare vita ad una serie di eventi che inglobano un pensiero condiviso e di ampio respiro, necessario questo ad aprire le nostre porte a qualcosa di diverso e nel contempo essenziale.

Cultura è un po’ come ritornare alle abitudini domestiche, quelle di tutti i giorni, quando apri il frigorifero per prenderti qualcosa, accendi la luce per leggere meglio, guardi un film o strimpelli con il tuo strumento, è la dimensione domestica quella che fa la differenza, quella che trasforma un monolocale ai confini con la realtà in un’essenzialità magica e riempita per l’occasione di storie, di emozioni e di gratitudine per il tempo passato e per quello a venire tra ciò che ci siamo lasciati alle spalle e tutto quello che deve ancora succedere.

Ecco allora i Perturbazione, band di Rivoli, provincia di Torino che per l’occasione è ospite in quel di Caltrano, provincia di Vicenza, a portare sul palco la ventennale carriera e l’ultima fatica Le storie che ci raccontiamo, primo disco in quattro dopo l’uscita degli storici Gigi Giancursi e Elena Diana, un album in parte immediato e diretto, dal suono corposo, dove l’orecchiabilità di fondo rientra nella dimensione della band pur mantenendo una profondità da concept citando il regista indiano Shekhar Kapur e il suo discorso sul nostro essere le storie che ci raccontiamo: potenzialità che definiscono la nostra esistenza.

Quello di Caltrano però è un concerto intimo, sentito e vissuto, le canzoni scorrono intensificando la sintonia dei quattro nella loro stanza, nella loro sala prove che per l’occasione diventa un palco, un palco per raccontarsi. Dieci anni dopo apre il tutto per poi proseguire con le riuscitissime Leggere parole, Primo, Del Nostro tempo rubato tra le altre e poi ancora a caricare con la sanremese L’unica per lasciare spazio alla poesia senza tempo di Agosto e di Per te che non ho conosciuto fino al finale con la sorpresa popolare veneta Nina di Gualtiero Bertelli e il cuore aperto di I complicati pretesti del come.

Stupisce l’attenzione del pubblico in sala, stupiscono gli applausi provenienti dalle tante orecchie pensanti presenti. I Perturbazione continuano ad essere il perfetto equilibrio tra canzone pop e poesia in musica, merito di Cristiano, Alex e Rossano, merito di Tommaso, cantante della band che riesce a farti entrare nella canzone che starai per ascoltare, dando significato alle parole, ai testi, esprimendo un’introspezione malinconica e nel contempo generosa che alla fine porta con sé, ricordando il citato Morrissey, una luce che non si spegnerà mai.

Testo: Marco Zordan

Foto: Riccardo Panozzo

Setlist:

  1. Dieci anni dopo
  2. Dipende da te
  3. I baci vietati
  4. Leggere parole
  5. Battiti per minuto
  6. Cinico
  7. Primo
  8. Del nostro tempo rubato
  9. Trentenni
  10. Portami via di qua, sto male
  11. Ti aspettavo già
  12. L’unica
  13. Buongiorno buonafortuna
  14. Agosto
  15. Nel mio scrigno
  16. Per te che non ho conosciuto
  17. Encore: Nina
  18. Le storie che ci raccontiamo
  19. Encore 2: I complicati pretesti del come

-LIVE REPORT- Afterhours – Castelfranco Veneto (TV) 17/03/17

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Locale disco liscio in quel di Castelfranco (TV) che per l’occasione ospita il concerto di una delle più rappresentative rock band che abbiamo nella nostra penisola dagli ’90 ad oggi, un live che vede di scena l’ultimo album della band milanese, Folfiri o Folfox, già recensito su queste pagine e che ha trovato, con piacere, un ritorno ad una musica viscerale, senza perdere la vena orecchiabile e diretta per suoni che si innestano a creare qualcosa di magico che resta lì sospeso e in bilico tra la vita e la morte.

Gli Afterhours, inutile dirlo, sono sempre e comunque sinonimo di garanzia, vuoi per la capacità di Manuel e famiglia di restare sul palco, vuoi per una cura musicale davvero notevole e invidiabile che ci troviamo alla fine dei conti, davanti a musicisti di grande talento e caratura, già presenti in band che hanno fatto la loro parte nella storia del rock nostrano degli ultimi anni e che dimostrano, come questa sera, la loro bravura nel ricreare dal vivo un disco stratificato, composito ed essenziale nel suo insieme.

Ad aprire il concerto il cantautore Andrea Biagioni, voce intensa, musiche e testi sofferti per nostalgici paesaggi da Terra d’Albione che non passano inosservati ma delineano una garanzia commovente che fa presa grazie a note acustiche e tanta sostanza espressa nelle composizioni che fanno parte dell’EP Il mare dentro, disco quasi interamente composto da cover, ma che evidenzia le capacità del cantautore/interprete toscano di delineare con bellezza d’insieme la totalità degli elementi che compongono la sua persona.

Afterhours eccoli sul palco, affiatati e intensi, capitanati dal carismatico Manuel Agnelli per un live impeccabile che attinge tutta la propria forza vitale dalle composizioni dell’ultimo disco più i classici senza tempo che oramai fanno parte degli ascolti necessari per comprendere cos’è e cos’è stato il rock in Italia. Una musica abrasiva e contorta che lascia spazio a ballate di rara intensità dove le parole e la voce graffiante del frontman sono coadiuvate dalla presenza indispensabile di Dell’Era al basso, D’Erasmo al violino, Iriondo e Pilia alle chitarre e Rondanini alla batteria, musicisti capaci di dare il giusto proseguo ad una band che si è saputa evolvere anche dopo i cambi di line up degli ultimi anni.

Ne esce un concerto davanti ad un pubblico carico e consapevole di essere davanti ad una band dal forte impatto emozionale che dopo i tentennamenti degli ultimi dischi ritorna in gran spolvero a segnare il cammino in rock troppe volte ultimamente soppiantato dal folk non sense italiano, lasciando presagire una maturità non solo estetica e d’insieme, ma dai forti contenuti intrinseci dove la poesia si trasforma in rabbia, una rabbia capace di cullare le nostre molteplici realtà.

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Foto: Raffaella Vismara

Set List:
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LIVE REPORT – Paolo Cattaneo – Una piccola tregua tour – Teatro fonderia aperta Verona – 05/03/17

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Da una Fonderia didattica unica in Italia viene ricavato un luogo ideale, nel cuore pulsante di Verona, per mettere in scena e rappresentare l’arte nella sua più totale diversificazione attraverso forme moderne e sempre nuove, attraverso una ricerca costante che stasera vede la musica d’autore essere al centro di un percorso che trova proprio in questo spazio, il luogo ideale per raffigurare il bello nella sua forma più alta, mai effimera o legata alle mode del momento, ma piuttosto una forma concreta lontana dalle mercificazioni artistiche in sintonia con il tempo che portiamo singolarmente nel nostro dentro.

Paolo Cattaneo, con il tour di sei date che posticipa il disco Una piccola tregua, uscito a Novembre 2016, si cimenta attraverso un set d’atmosfera in bilico con le introspezioni dell’animo umano e capace attraverso giochi di luce soffusa di convogliare energie in sintonia con il numeroso pubblico accorso per la serata costruendo architetture di rara intensità che proprio nella dimensione acustico-elettronica trovano il proprio percorso di uscita dopo un album così importante per la musica italiana degli ultimi anni.

Ad accompagnare il nostro nella difficile impresa di tradurre in modo empatico le emozioni intercettate nel disco ci sono musicisti di grande levatura con esperienze più o meno importanti nella musica indipendente e non italiana, da Fidel Fogaroli alle tastiere, ad Andrea Lombardini al basso, passando per Andrea Ponzoni all’elettronica fino alle chitarre e ai cori di Nicola Panteghini il tutto sotto il controllo dei suoni curati da Ronnie Amighetti per una prova d’insieme capace di dare un senso assolutamente percepibile a quella serie di emozioni che in Una piccola tregua sono come un fiume di bellezza mai gridata, ma regalata e concessa in dosi misurate.

Ciò che ne esce è un live che sfiora la perfezione, dove canzoni del nuovo e dei vecchi dischi si alternano in un concerto meraviglia e dove i suoni sono in funzione di un momento magico difficile da replicare e che di certo sono la dimostrazione reale che tante volte la qualità non è sinonimo di dischi venduti o di passaggi radiofonici azzeccati, ma piuttosto una ricerca che trascende il materiale per avvicinarsi ad una dimensione onirica che trova nella bellezza del sogno un ponte con la realtà che ci circonda e dove le parole acquisiscono significato proprio quando sono lì lì per svanire tra l’amore per le cose belle e i momenti che portiamo con noi.

Setlist

  1. Se io fossi un uomo
  2. Il miracolo
  3. Mi aspetto di tutto
  4. 2905-Trasparente
  5. Non ho rabbia non ho pietà
  6. Ho chiuso gli occhi
  7. Come per miracolo
  8. Se qui per me
  9. Bandiera
  10. Due età un tempo
  11. Confessioni per vivere
  12. Sottile universo
  13. Tarda pure
  14. Il gioco
  15. L’uomo sul filo