Rebelde Black Machine – Rebelde Black Machine (Autoproduzione)

Lisergici quasi fossero cannoni sparati all’impazzata che all’improvviso si ritrovano nel complesso spazio-vita che non regala sconti e di certo non trova adatte le mezze misure nelle classificazioni di genere.

Un gruppo padovano che si sta facendo spazio tra le miriadi musicali del territorio, capace di registrare un EP di quattro canzoni: granitico, essenziale e che convince sin dalle prime note.

Il nostro power trio è composto da Andrea Marigo, Davide Orietti e Guido Scapoli e si caratterizza per suoni sporchi, accattivanti, ma al contempo il tutto viene condito da momenti di puro post rock che armonizza sali scendi sonori ricordando i primi Verdena e Pixies su tutti, incanalando una rabbia giovane, assopita da tempo e pronta ad esplodere in qualsiasi situazione si presenti.

C’è molto grunge in questi quattro pezzi che abbandonano la melodia e il riff facile per condensare le parti ritmiche in cambi di tempo inaspettati e di puro effetto.

C’è molto suono inglese, soprattutto nella forma canora, che porta ad alti livelli la forma canzone, fra tutte la chiusura dedicata a Dream Machine.

Un piccolo disco che promette e convince, che porta con sé la capacità di uscire da un contesto provinciale facendolo nel migliore dei modi.

Cato – Cato (Autoproduzione)

 

Cantautore aperto ad un progetto ampio che si divincola in modo preponderante da ciò che potrebbe essere solitudine cercando di assimilare l’impossibile, incanalandolo in un destino del tutto solare, sperimentando novità udibili, cavalcate elettriche e liriche che parlano del disincanto e dell’amore sperato, cercato, incompreso e vissuto quasi fosse essere unica sostanza vitale che ci tiene in vita.

Ecco allora che la proposta sonora si fa leggiadra con sferzate elettriche che ricordano quel Grace di Jeff Buckley tanto arcano e misterioso quanto pop e così vicino al mondo di tutti che perle immacolate di così elevata caratura non si  possono scordare tanto facilmente.

Un saliscendi emotivo che Roberto Picinali conclude al meglio cercando una linearità di stile quasi fosse un quadro d’autore che è in continua e perenne ricerca di una propria strada, lontano dalle forme di mercificazione che la musica soventemente è portata a seguire e lontana dal mondo globale e uniformato.

Copertina psichedelica in sguazzi d’artista, otto tracce immaginarie e reali, che partono con i ritmi di Accendimi e finiscono con la suadente Princess.

Un disco complementare, vero e reale, un assimilarsi di onde prolungate in un eterno raccontare di storie e impressioni che non finiscono mai.

The Moon – Waiting for yourself (Seahorse Recordings)

Spensierati britannici d’oltremanica che mescolano carte uscite negli anni ’90 per travolgerti con un suono ben congegnato e studiato, incorporando elementi validi e risonanti all’interno di un format decisamente brit che valorizza, stupisce e concretizza.

Qualche anno fa i friulani The Moon erano venuti alla ribalta confezionando la sigla del programma di RaiRadio1 “Demo”, poi lasciati a sperimentare in studio i nostri ne escono, dopo il fortunato Lunatics, con questo nuovo Waiting for yourself.

Strutture stilistiche di grande levatura che riprendono un genere ormai trito e ritrito, rispolverandolo e caratterizzandolo in modo originale creando un ponte, una diretta via tra i magici sixties e il post grunge dei primi ’90.

Si possono ascoltare Beatles e Blur che vanno a prendersi direttamente nello stesso pub un buon goccio di alcol dimenticando problemi della vita e fantasticando sui giorni a venire.

Canzoni caratterizzate da numerose pause e ripartenze che anche grazie a semplici accordi fanno ripartire il tutto con una marcia in più ed un sorriso tra le labbra, provare per credere If today Comes o il mega singolo Make it in the easy way you know.

Un disco fresco, estivo, che valerebbe l’acquisto di un bel maggiolone cabrio da poter sfruttare nella bella stagione tra strade collinari e città semi deserte.

 

Jokifocu – Avere Ventanni (Autoproduzione)

Convinti che si possa ancora imparare i nostri Jokifocu dopo infinite ore spese a fare del rock alternativo la loro base d’appoggio, si intestardiscono nel creare un vero e proprio concept sulla spensierata giovinezza, un altro album da aggiungere ai precedenti, divincolandosi in maniera prepoderante e scegliendo la strada della completa autarchia.

I pratesi si muovono bene e sembra interessare loro quel tipo di nicchia che solo ai veri ricercatori è destinata a svelarsi, quasi fosse un quadro spettacolare che si cela negli anfratti degli abissi.

Ecco allora che i brani si dipanano con appeal energico e maleodorante, di puro rock rumoroso che innesca principi di causa da cui partire e lasciar spazio alla pura e semplice immaginazione.

Poderose cavalcate sonore si stagliano in pezzi come Carmina suonata direttamente in cantina, Una vita da campioni è poesia sonora che si pone in un divenire costante che prepara il cammino per la distorta Il crollo della borsa; si passa poi alla portentosa ballata Due dinosauri che intravede compagnia con Cielo di glassa.

Un disco che rilancia l’alternative, facendo nel loro stile un vero e proprio marchio di fabbrica, aprite dunque le vostre porte a questa prodezza sonora, non ve ne pentirete.

Musicanti di Grema – Musicanti di Grema (Irma Records)

Un gran bel pop radiofonico con sonorità tipicamente indie che si divincolano in maniera esemplare alla ricerca di uno stile particolare, unico, che abbraccia cantautorato e melodia, brit pop con tanto di cori e distorsioni in elettroniche derivate.

Un percorso che parte con Pollicino a far da linea d’ombra che si può superare indicando la direzione essenziale da seguire e da poter mantenere cercando istruzioni che non sono presenti, ma che si incorporano ad una canzone ironica, capace di rallegrare anche le giornate più oscure e fredde, quasi fosse un disco per ogni tipo di stagione.

A dispetto delle previsioni atmosferiche i nostri quattro parmensi confezionano un album che risulta essere sorpresa per le nostre orecchie, una bibita fresca in una giornata di sole.

Il loro stile a tratti risulta debitore di un approccio legato all’ammicamento, alla canzone facile, tesa alla ricerca di schiere sempre più ampie che possono apprezzare questa musica anche se la loro peculiarità però sta: nel non accontentarsi della canzone radiofonica, ma di cercare di essere se stessi lungo tutte le 12 tracce, dimostrando gran capacità compositiva e cura nei particolari.

Ecco allora che le canzoni scivolano via creando un viaggio uniforme dove la natura dei sentimenti è l’interrogativo vibrante per i quattro ragazzi.

Un album da ascoltare in loop quest’estate, un sorriso di stupore di certo, sul nostro viso, non mancherà.

Les trois tetons – Songs about Lou (Autoproduzione)

Un viaggio in verticale suddiviso in due atti, un cammino di maturità che si compie nella speranza del cambiamento, nel domani che vertiginosamente si innesta in ognuno di noi per dimostrare che ancora il rock’n roll è vivo e possiede un’anima, incarnata nella complessità della band ligure Les trois tetons e del loro quarto album in studio Songs about Lou.

Dentro a questo concept album si divincolano in maniera molto interessante lo Springsteen dei primi tempi, affiancato alla malinconica nostalgia di Tom Waits e alle sferzate elettriche di Rolling Stones tanto per citarne alcuni.

Quel rock prettamente americano che in qualche modo raggiunge attimi di complicità esistenziale nelle melodie del violino suonate per l’occasione da Fabio Biale e dalle sfumature di R.E.M d’annata ad aprire nuove strade nel vecchio alternative targato ’90.

Un disco che suona omogeneo nella sua interezza parlando dell’immaginario Lou e delle sue avventure, in un continuo crescendo emozionale che si concretizza nella seconda parte del disco.

Un album ben congegnato e strutturato, canzone dopo canzone, verso un’entroterra fatto di passioni e confronti quasi fosse uno specchio del passato affacciato sul presente, dove i nostri si fanno portabandiera.

coreAcore – Lottoventisette (Lottoventisette)

coreAcore racchiude quella bellezza di un cantautorato puro, semplice e arrangiato con splendida calma e capacità espressiva che si trasforma grazie all’intervento perentorio di una voce unica: quella di Claudia Delli Ficorelli.

Una grande famiglia di amici, attori, musicisti che fa perno attorno al defunto  Califano e a Francesco di Giacomo , scomparso tragicamente, senza dimenticare Vinicio Marchioni e Michele Cocozza rispettivamente protagonista e realizzatore  del video L’amore è ‘n’ incidente.

Lottoventisette è un disco di una malinconia espressiva che si denuda passo dopo passo in un continuo crescendo di sapori, entusiasmi e vita vissuta, pronta a contendere quel sapore incompreso tante volte di una Roma lucente, ma allo stesso tempo segreta, divincolata dalla nomea di capitale per riscoprire le proprie radici in un contorno  dialettale privo di confini.

Passo dopo passo si esplorano le dieci canzoni: cinque originali e cinque rivisitate, che aprono strade a nuove interpretazioni sonore toccando vertici di una musica d’autore sopraffina e delicata che riesce a sfiorare il cielo e a far vibrare l’aria di positività sostenuta da parole che con grande difficoltà si possono scordare, su tutte : I pini di Roma e Angeli agli angoli.

Un album di pensieri su carta che riscopre le proprie origini dimenticando il presente per gettarsi ad occhi chiusi in un passato fatto di piccole cose  e grandi soddisfazioni.

Ylium – Empire of light (Seahorse Recordings)

Sei seduto comodamente sul tuo divano e ti appresti a compiere un viaggio interplanetario tra galassie e posti remoti che nessun uomo vivente è riuscito ad incontrare e a perpcepire lungo il corso della storia.

Arrivano gli Ylium, band veneta, che al loro album d’esordio riescono a trasportare l’ascoltatore lungo spazi dirompenti e indefiniti che abbracciano il trip hop e le ritmiche asciutte e condensate in un sali scendi da brivido, costruendo un intricato intreccio di parole e suoni che si esprimono gradatamene lungo le otto tracce che compongono il disco.

L’apertura è divincolata da un sodalizio che si si fa arte lasciando i ricordi più immediati alla mente che paragona i nostri a Massive Attack, Atom for peace e via discorrendo, discostandosi invece dai nomi citati per necessità di ampliare l’offerta sonora quasi fosse un’esigenza intrinseca, che parte dal cuore, anche se il tutto viene guidato da una macchina.

Sperimentali quindi in pezzi dal notevole spessore artistico come The sequence o nel mirabile indie di A Bit bad, passando per l’elettronica finale di Skeptical.

Un concentrato sonoro che raggruppa i migliori Radiohead da Kid A in poi, mettendo al primo posto la passione contaminante nei confronti di una realtà che è in continua evoluzione come del resto lo sono gli apparecchi in grado di generare nuovi viaggi cosmici.

Un gruppo maturo, preparato tecnicamente e con un disco da esportare in tutto il mondo, senza paura di ricevere critiche e a mio avviso con una marcia in più rispetto alle altre proposte underground di genere.

Glass Cosmos – Disguise of the species (Autoproduzione)

Magritte e la fotografia: lanciata in copertina una donna pesce,  in trappola, pescata e riciclata, usata e abbandonata; come se i sentimenti non fossero più materia del vivere quotidiano, ma soltanto il risultato di un’immobile decomposizione.

4 amici che suonano assieme da tre anni e che decidono di dare vita ad un disco di alternative rock che attinge la propria matrice di fondo in una post new wave articolata da suoni dirompenti e calcolati, accompagnati da melodie post grunge in un incontro irrinunciabile di quello che è diventato il genere per eccellenza da qualche anno a questa parte.

I nostri si giocano una carta importante, vincendo una scommessa con loro stessi e con tutti quei gruppi che in qualche modo tentano di scimmiottare Editors, Interpol e Placebo su tutti; i Glass Cosmos oltre ad essere degli ottimi musicisti incanalano decine e decine di ascolti disseminati in diversi territori per fondere il loro vissuto in un disco che abbraccia suoni già sentiti, ma allo stesso tempo pieni di quell’energia matura che colpisce già dal primo ascolto.

Meraviglioso il singolo Chrono che ha già fatto carica di ascolti sulle piattaforme più conosciute del web, concludendo un album da riascoltare più volte per poterlo apprendere e rielaborare sotto altri punti di vista.

Nonostante sia per loro il primo full length, questo Disguise of the species brilla di luce propria quasi stesse ad indicare, dopo il mare, una nuova strada da seguire.

Super Tempo – 29 (Go Down Records)

A loro non frega un cazzo di niente se la chitarra suona bene o suona male, a loro non interessa se la batteria o il basso sono gli ultimi modelli di Tama o Fender vintage precision e giù di lì.

Loro sono i Super Tempo, a cui piace correre al rallentatore lungo una spiaggia disseminata di gran g*****a, uno sguardo, un incrocio e poi via a manetta assaporando quel pensiero punk ribelle trasportato nel 2.0 in cui viviamo, un sodalizio perfetto che non tramonta, ma si ricopre di tatuaggi colorati e di long drink da amaca perpetua.

I tre ragazzacci veneti prendono la vita in maniera spensierata e leggera relegando il tutto ad un unico abbraccio post punk che si imbratta di power pop, quel tanto che basta per far scorrere 14 canzoni immediate, spudorate, intuitive e allo stesso tempo improvvisate.

Sezione ritmica che non fa una piega e che percorre una sua strada diritta e ben battuta, accompagnata dal graffiare delle chitarrine gainizzate e da un basso che sostiene egregiamente la scena.

Disco pulito, che si fa bere come acqua fresca d’estate, finalmente un po’ di sole in queste giornate di [mostra tutto]