Claudio Palumbo – Fa che mi spii dalle finestre (Autoproduzione)

Claudio Palumbo è un cantautore che va diritto al punto.
Una scrittura immediata, gettata in superficie su dei tronchi da levigare giorno per giorno con passione verso la musica d’autore che poco spazio trova in Italia e dove ancora i cantautori degli anni zero pensano di aver scoperto come gira il mondo senza sostanzialmente dire nulla.
Claudio ci mette passione e stile, il disco è completamente registrato in presa diretta chitarra acustica e voce senza chiedersi troppo, senza curare voce, arrangiamenti, è un impulso che esce dal cuore, la musica che piace a Noi, quella suonata e vissuta, magari lontana dai palchi che esce timida, ma che evidenzia un’esigenza di dire e di raccontare storie nuove, da nuovi punti di vista.
13 sono le tracce, il disco apre con la ballata “Egocentrismi” firmata dalle parole “Gran testa di cazzo mi saluta allo specchio”, bello il folk and roll di “Mi do del tu” con l’incipit “Tu che mi hai insegnato che un vaffanculo detto bene è come una poesia”; “Tutto quello che io voglio è una capra gialla che si illumini al buio” è il titolo della successiva canzone, forse il più originale mai letto .
Il disco scivola abbastanza simile in tutte le sue parti fino alla fine, lasciando sprazzi di cielo che fanno sorridere in numerose canzoni.
La prova nel complesso è una buona prova, lontana dai canoni standard del cd da classifica, ma molto vicina a una delle caratteristiche principali che si devono trovare in un cantautore cioè la capacità di raccontare.

Vanity – Occult you (Church Independent)

Mi inchino a tanta bravura. Mi inchino allo splendore di questo rock cupo, dark che strizza l’occhio alla new wave confinante con il grunge e l’alternative di Smashing Pumpkins, Tool , NIN, A Perfect Circle.
Ecco dov’era  Jimmy Chamberlain:  seduto alla batteria dei Vanity che con Occult You firmano una prova ricca di phatos, atmosfere  decadenti e chitarre maestose dove cavalcate immaginarie scendono e sono così forti da bruciarti gli occhi e lasciarti nella bocca un’arsura inimmaginabile, tanta è la paura di non uscire dai labirinti mentali creati dai quattro.
Un gruppo molto maturo sotto tutti i punti di vista, ogni parte fa la sua figura perché riesce a fondersi perfettamente.
L’inizio è affidato alla splendida “Sleeping stars” con avvio al cardiopalma dove al ritmo di BWBW i Vanity fondano elementi di polifonia corale.
A cambiare il passo con atmosfere da film horror della miglior fattura troviamo “Under Black Ice”, cambi di ritmo per “Ghosts” una track di Interpoliana memoria, ma direi molto più spinta e ricca di sfumature.
“Ruins” guarda avanti al gothic metal d’alta scuola mentre “Pagan Hearts” è un inno all’essere umano che cade davanti all’errore.
“Sun” ricorda i migliori Opeth mentre “Time’s new romance” fa da apripista all’elettronica strumentale di “Limbo”.
La title track è assaggio di spettacolarità pirotecnica che preannuncia la fine ad alto contenuto di “The wanderer”
Soffermarsi poi sulla cover è d’obbligo: un bambino dilaniato da una malattia che lo sta mutando, simbolo del cambiamento dei tempi rappresentato dagli U2 con un elmetto da soldato; mentre ora, se prima soldato, a che cosa sarà destinato?
Non ho altre parole, solo che questo può essere l’album dell’anno, io auguro lunga vita ai Vanity.

Michele Maraglino – I mediocri (La fame dischi)

 

Michele Maraglino fa di questo disco un libro pieno di quotidianità ragionata e soprattutto al di sopra di ogni tipo di  mediocrità.
Suonato con stile e  registrato magistralmente con echi di Cesare Basile e Pacifico e uscito per la nuova etichetta “La Fame dischi”, “I mediocri” si impone con suoni pop-rock compatti dove la chitarra acustica la fa da padrone e una voce al limite dell’urlato e del recitato lega basso, chitarra e batteria con l’unico scopo di creare alchimia musicale.
Le tematiche principali del disco ruotano attorno allo stato di apatia che pervade il cittadino medio, una vita fatta di piccole soddisfazioni, ma che non regalano la felicità, quella felicità ricercata, ma molto lontana dagli occhi di chi vede un futuro vicino, quasi landa deserta immensa e sola.
Ed è qui che il cantautore prende la sabbia di questo deserto e ne fa sangue vitale.
Canzoni  come “Verranno a dirti che c’è un muro sopra” o la bellissima “Taranto” sono eco di un mondo che ci aspetta se qualcosa non cambia; o ancora “Vienimi a cercare” dedicata alla terra che si fa uomo, un probabile amore aspettato, ma inafferato e “come se fosse facile…”.
In coda troviamo la classic-rock “L’aperitivo” che anticipa “Tutto come Prima” a sancire una fine  ineluttabile; quest’ultima ballata, molto riuscita, con un riff che si fa ricordare, chiude il disco creando un moto perpetuo che invoglia l’ascoltatore a premere nuovamente il tasto play.
Per Michele solo applausi, perchè ha saputo, a suo modo, rielaborare, scrivere e cantare con raffinatezza e con un certo stile personale, un mondo saturo di cantautori copia incolla e uno stile musicale purtroppo incanalato in una sola direzione.