Andrea Carboni – Due [] (Autoproduzione)

Ci troviamo al cospetto di una meraviglia sonora.

Il cantautore approccia lo stile, legato il tutto da una parabola ascendente e elegante, dal gusto romantico e irrinunciabilmente nostalgico.

Ascoltando andrea-carboniAndrea Carboni non possiamo rimanere indifferenti ci sono i La Crus, Afterhours, Paolo Benvegnù e quel cantautorato-rock tanto caro al mood impegnato e fantasioso allo stesso tempo che incanala energia e underground pronto a sprigionarsi ad ogni singola nota.

Andrea è poliedrico musicista che in questa ultima prova è affiancato dalla capacità di Rodrigo D’Erasmo (Muse, Afterhours) nel fondere archi sovraincisi mentre la parte dei fiati è assegnata a Enrico Gabrielli (Afterhours, Calibro 35, Mariposa e altre decine di collaborazioni) altro musicista dallo stile imprevedibile e surreale.

12 in tutto sono le tracce millesimate nelle parole e nella sostanza che non concede spazi di disapprovazione, un lavoro dalla dinamica fresca e coinvolgente, un disco legato al ricordo, alla penna che scrive parole su diari segreti fintanto che il colore non si esaurisce lasciando in fondo una sola e piccola macchia d’inchiostro.

“L’amoredopodomani” è già un piccolo riassunto del disco “Ricordi ogni tanto del nostro amore che anche se non è mai stato detto sapeva di un fiore”.

“Lento” è ballata rock con voce semi distorta che si fa muro contro la società.

“Vinceremograzie” è canzone contro sogni da uccidere e ricreare come nei migliori film e dove il sequel di “Dove sarai” fa da trait d’union all’emblema dell’avere solo ciò che si vede.

“Mille” abbraccia la parte più sostenuta del disco mentre “La migliore che ci sia” ricorda i Marlene di “Senza peso” , la pioggia si fa sassi che cadono dal cielo ricoprendo ciò che è inutile.

Alla strumentale “Rango” segue “Magari” canzone che racconta di chi fugge perchè ha vissuto troppo senza sapere dove la strada porta: “Magari mi piacerà, magari respirerò lo stesso…magari mi sono sbagliato sempre e forse questa vita non è mia”.

“Leinonsachisonoio” scivola come incroci di Brondi e Prince Billy mentre (Magari) è poesia notturna e silenziosa.

Il disco regala le ultime due ballate: “Il male minore” strizza l’occhio al Corgan migliore mentre “Bam” è buonanotte calda e avvolgente.

Nessuno può pretendere senza dare, nessuno può ricevere amore senza donarlo, il sole forse ci raggiungerà domani e noi attenderemo, perchè nessuno è più solo dopo l’ascolto di questo disco.

 

 

http://www.andreacarboni.it/?audio=due

Persian Pelican – How to prevent a cold (Autoproduzione)

Un abum che deriva dal compimento di un progetto straordinario coordinato da chitarre e strumenti acustici che segnano un inevitabile riordino interno e pulizia spirituale atte a indicare un percorso chiaro verso la via del cantautorato d’atmosfera e dalle parole che non sono lasciate al caso, ma che creano verità assolute sul mondo in decadenza dell’amore.

E’ un sussurro continuopersian_pelican_250_250 quello di Andrea Pulcini, un mescolare accordi a voci dimesse e sincere, un creare assieme agli altri Persian Pelican un’idea di accuratezza e completezza che a fatica si trova in album di gruppi italiani, ma che grazie al cantato in inglese trova vita propria e una visione di intenti sicuramente di ampio respiro.

Sembra un gioco semplice tante volte scrivere canzoni di questo tipo, ma è qui che la gente comune si sbaglia, questo è un genere alquanto difficile in quanto bisogna saper comunicare utilizzando la forma quasi scarna della canzone, pochi strumenti, ma dosati a dovere, creano quella magia che non si riesce a ricreare in altra musica.

Ecco che in pezzi come la title track o come “Glass fragments in the soup” ciò che precedentemente veniva spiegato ora prende forma: un’idea di sostanza stilisticamente essenziale, ma emozionante.

L’album poi si sofferma sul lato ironico del vivere l’amore, perchè questo in fin dei conti è un disco passionale che riflette un’indole tragica capace di trasformarsi, nei minuti, in triste fine sempre più tangibile.

Canzoni come “Dorothy” ne sono l’esempio “and there is a smile of love and there is a smile of deceit and there is a hummer”: pura decadenza coronata da cori e rumori sterzati.

Un disco di cori e malinconia, un discho di chitarre Hinsoniane e leggerezza nascosta fino a

profondità temibili.

Un disco cesellato con il cuore di chi riconosce la strada da percorrere custodendone tutto ciò che è utile e allo stesso tempo un percorrere a ritroso la via battuta per capire l’incompreso.

Un album in sostanza per chi cerca nuove strade nella semplicità e per chi non sa aspettare l’attesa di un nuovo giorno.

 

The Washing Machine – Bigmuff Supersolo Ufo (Dreamingorillarecords)

Disorientamento e ritmi al cardiopalma: sono tornati i the Washing Machine.

Trio basso, batteria, chitarra e non solo che miscela suoni granitici a cambi di ritmo improvvisi con cantato in italiano/inglese per un genere che in Italia manca da un po’ di tempo.

Ricordano molto per certi versi i primi Verdena dell’omonimo album con influenze di In Requiem, i testi sono però molto più scanzonati anche se nascondono al proprio interno angoscia verso un qualcosa che non è concreto, una direzione che non esiste mai.

I tre Daniele Signorello, Eleonora Fornelli e Simone Brunzu sanno utilizzare sapientemente i loro strumenti con aggiunta di piano e mellotron, d’obbligo per evidenziare profondamente melodico e svalvolate amplificate da chitarre distorte.

La traccia d’apertura “Per il mio nome” a cercare spezie per mischiare l’abitudine…in “Campionessa” il peso della sconfitta umana, “Big Youth” tocca melodie Bluriane, mentre “Il diluvio” porta scrosci d’acqua in una stanza umida.

“Piggy alive misheard tunes” ricorda gli Smashing di “Pisces Iscariot” nonché punte di Giorni Verdi”.

“La filastrocca di Annaviola” porta con se tracce di TARM e apre la strada ai cambi di ritmo di “Contronatura” collante perfetto per “Prospettive esitenziali per la gioventù cadetta I e II” inno alla dispersione di coscienze e al non governo non solo politico, ma anche dell’anima.

Chiusura per “Blackout Radio” dark song per palati raffinati.

I The Washing Machine intascano un’ottima prova, non banale e creativa al punto che la maturità del gruppo si evidenzia in tutte le 10 tracce e questo, possiamo dirlo, non è di certo solo un premio di consolazione.

Lorenzo Lambiase – Lupi e Vergini (Modern Life / Audioglobe)

Il giovane Lorenzo Lambiase, romano, classe 1981, ci regala, dopo il primo album La Cena, un disco di lirismo esistenziale, questo, dove il cantautore riesce a raccontare momenti di storia vissuta sapendo sperimentare sapientemente gli strumenti a disposizione.

Lupi e vergini è il contrasto di un’esistenza reale, ci sono elementi quali il trascorrere del tempo, l’abisso e la risalita, la vita dopo la morte e la coscienza che lascia spazio alla negatività a tratti dell’esistenza.

Dalla cover sembra di fare un tuffo nei paesaggi umbri o toscani, tanta è l’immaginazione che viene a crearsi nella mente di chi ascolta.

A volte il tutto suona cupo come nella TitleTrack, a volte ci si può imbattere nel Moltheni più intimista o nei Tiromancino più elettronici anche se Lorenzo in più passaggi strizza l’occhio al miglior cantautorato di sempre.

“Ho visto troppa gente stupida nuotare contro il vento” canta in Contro il vento mentre in Sulla riva si fa portatore di un grido quasi disperato e allo stesso tempo scandito da dolci parole di preghiera “Ma il rumore dei miei pensieri è più forte, non riesco a respirare”.

Periferia è canzone ricercata, fluida, sperimentale con stile e anche qui il tema del tempo dall’incedere inesorabile “Ho aspettato troppi anni, ho aspettato inutilmente”.

In Gospel sembra di sentire il miglior Tom Mcrae, mentre La strada ricorda molto gli Snow Patrol.

Solo rievoca Touristiane memorie del computer oxfordiano per eccellenza mentre La grande rivolta , canzone di sette minuti, chiude con ricercata misura, il viaggio.

Il cantautore romano, in questa prova, mette sul tavolo tutte le doti di polistrumentista e ricercatore.Essenziale, ma ricco di sfumature risulta l’intero album che nella sua omogeneità regala un cerchio quasi perfetto dove fiaba e realtà si incontrano e scontrano  in un unico mondo.

Claudio Palumbo – Fa che mi spii dalle finestre (Autoproduzione)

Claudio Palumbo è un cantautore che va diritto al punto.
Una scrittura immediata, gettata in superficie su dei tronchi da levigare giorno per giorno con passione verso la musica d’autore che poco spazio trova in Italia e dove ancora i cantautori degli anni zero pensano di aver scoperto come gira il mondo senza sostanzialmente dire nulla.
Claudio ci mette passione e stile, il disco è completamente registrato in presa diretta chitarra acustica e voce senza chiedersi troppo, senza curare voce, arrangiamenti, è un impulso che esce dal cuore, la musica che piace a Noi, quella suonata e vissuta, magari lontana dai palchi che esce timida, ma che evidenzia un’esigenza di dire e di raccontare storie nuove, da nuovi punti di vista.
13 sono le tracce, il disco apre con la ballata “Egocentrismi” firmata dalle parole “Gran testa di cazzo mi saluta allo specchio”, bello il folk and roll di “Mi do del tu” con l’incipit “Tu che mi hai insegnato che un vaffanculo detto bene è come una poesia”; “Tutto quello che io voglio è una capra gialla che si illumini al buio” è il titolo della successiva canzone, forse il più originale mai letto .
Il disco scivola abbastanza simile in tutte le sue parti fino alla fine, lasciando sprazzi di cielo che fanno sorridere in numerose canzoni.
La prova nel complesso è una buona prova, lontana dai canoni standard del cd da classifica, ma molto vicina a una delle caratteristiche principali che si devono trovare in un cantautore cioè la capacità di raccontare.

Michele Maraglino – I mediocri (La fame dischi)

 

Michele Maraglino fa di questo disco un libro pieno di quotidianità ragionata e soprattutto al di sopra di ogni tipo di  mediocrità.
Suonato con stile e  registrato magistralmente con echi di Cesare Basile e Pacifico e uscito per la nuova etichetta “La Fame dischi”, “I mediocri” si impone con suoni pop-rock compatti dove la chitarra acustica la fa da padrone e una voce al limite dell’urlato e del recitato lega basso, chitarra e batteria con l’unico scopo di creare alchimia musicale.
Le tematiche principali del disco ruotano attorno allo stato di apatia che pervade il cittadino medio, una vita fatta di piccole soddisfazioni, ma che non regalano la felicità, quella felicità ricercata, ma molto lontana dagli occhi di chi vede un futuro vicino, quasi landa deserta immensa e sola.
Ed è qui che il cantautore prende la sabbia di questo deserto e ne fa sangue vitale.
Canzoni  come “Verranno a dirti che c’è un muro sopra” o la bellissima “Taranto” sono eco di un mondo che ci aspetta se qualcosa non cambia; o ancora “Vienimi a cercare” dedicata alla terra che si fa uomo, un probabile amore aspettato, ma inafferato e “come se fosse facile…”.
In coda troviamo la classic-rock “L’aperitivo” che anticipa “Tutto come Prima” a sancire una fine  ineluttabile; quest’ultima ballata, molto riuscita, con un riff che si fa ricordare, chiude il disco creando un moto perpetuo che invoglia l’ascoltatore a premere nuovamente il tasto play.
Per Michele solo applausi, perchè ha saputo, a suo modo, rielaborare, scrivere e cantare con raffinatezza e con un certo stile personale, un mondo saturo di cantautori copia incolla e uno stile musicale purtroppo incanalato in una sola direzione.

Honeybird e the birdies – You should Reproduce (Trovarobato)

E’ come entrare e essere risucchiati.

Accolti in un bellissimo inverno caloroso e ritmato, maglioni sempre presenti che regalano quella morbidezza di cui uno ha bisogno e allo stesso tempo quell’essere spigoloso, freddo, ma magicamente perfetto, invitante, il non uscire dal calore principale che ci ha portati ad essere quello che siamo.

Tutto questo lo possiamo trovare nel nuovo lavoro degli Honeybird e the Birdies, impossibili da etichettare e altrettanto folli e alchemici.

Una voce maschile Federico, due le voci femminili Paola e Monique, incroci con Molko e Bjork, ma moltiplicate all’ennesima potenza, quasi indescrivibili, tanto le trovate geniali in questo disco sono evidenti.

Dalla Bossanova, ai ritmi caraibici, dal rock dei Beatles al pop più radiofonico di Lisa Hanningan il trio regala, una dietro l’altra, canzoni originalissime e ricche di trasporto, non sempre facili al primo ascolto, ma sicuramente che guadagnano punti con ripetute esecuzioni.

Gli strumenti utilizzati sono innumerevoli: dal charango alla chitarra, dal berimbau al cajon, dall’ukulele alla diamonica senza dimenticare sintetizzatori vari.

Sinceramente una gran prova da studio che vede anche la presenza di Enrico Gabrielli nelle vesti di produttore e musicista in alcuni brani; un album che ci farà ricordare il calore estivo anche davanti a questo lungo inverno e ci farà vedere il mare fissando il muro di casa.

http://honeybird.net/

Twiggy è morta – Credo mi citeranno per danni (HitBit Records)

Twiggy è morta: che sorpresa!.

Il gruppo sta esplodendo nel Lazio affiancato da band come i Thegiornalisti o i Sad side project.

Già premiati al M.E.I come gruppo indipendente, si distinguono in questo mini-album con quattro canzoni al cardiopalma dove il ritorno alle origini, del rock poetico, la fa da padrone.

Tra i primi Marlene Kuntz e i Placebo, passando per Afterhours e Editors questo quartetto che vede Paolo Annesi alla voce e chitarra, Valerio Cascone al basso, Andrea La Scala alla chitarra, Simone Macram alla batteria, sfodera pezzi orecchiabili e allo stesso tempo originali.

Quello però che colpisce di Twiggy è l’agente, ciò che li fa vivere, che li rende protagonisti e cioè la necessità di dare all’arte la sua collocazione.

Se prima nascevano gruppi come Modena City Ramblers, Diaframma, Verdena, Moltheni ora con band come Lo stato sociale, I cani, Dente la musica da slogan vince sul resto, distruggendo la poesia, quella vera, lasciando poco spazio alla comunicazione e alle emozioni in musica.

L’ep parte con il Parossismo del cuore canzone premiata al Circolo degli artisti di Roma.

I suoni si intrecciano a ripetizioni Kuntziane di Lieve armonia, il testo un concentrato di futuro irraggiungibile: cosa sentono nello stomaco le farfalle innamorate? Sui loro volti l’anteprima di sgomenti e fucilate.

Seconda traccia: Crepapelle, un pezzo di gran atmosfera.

Un grido di disperazione prosciuga inferni che si congelano al freddo: Noi non scivoleremo più a frantumare i ricordi come fossimo ancora due amanti

Legno, la canzone successiva, richiama al pessimismo cosmico di Pessoa e Bukowski, l’essere nient’altro che legno secco, spezzato, che porta l’ascoltatore all’esigenza di muoversi dal proprio stato larvale per esplodere in farfalla.

L’album si chiude con A bocca aperta, una voce sussurrata, richiami poetici di Sottili linee bianche e chitarre Interpoliane che incorniciano un brano forse di poco spessore, ma che lascia ampi spazi all’improvvisazione sonora.

Certamente questo è un gruppo da ascoltare per i prossimi mesi, nell’attesa di un album vero e proprio; intanto mi “accontento” di aver ascoltato una tra le più belle novità musicali che offre il panorama italiano in questo periodo.

Confusional Quartet (Hell Yeah/Goodfellas)

Che suono.

Che elettricità.

Che energia.

Dire che il Confusional Quartet è semplicemente un gruppo che stanco di aspettare i tempi del cambiamento, si è messo a creare nuovi suoni, è riduttivo.

L’ascoltatore in questo album di prog, new wave, indie rock, samba, jazz, bossanova elettrizzata e chi più ne ha più ne metta, è coinvolto in un vortice di suoni potenti e dirompenti.

Questi giovincelli non più giovani portano con sé ancora la necessità di fare musica ad alti livelli.

A tratti PFM a tratti Eterea PBB, tra i primi Devo e gli Area, si possono scoprire echi di rinascita in quella Bologna confusionaria dove tutto è nato.

Il Confusional Quartet è nato nel 1977 e tra il 1979 e il 1981 realizza alcuni album e tanti live, collaborando con l’Italian Records di Oderso Rubini. Poi il silenzio fino al 2011.

Ora però sono tornati con una nuova band: la musica si è fatta più matura e vissuta, meno ironica e più incisiva, dove tutto è possibile, dove l’inesplorato non esiste e dove vince la cura dei suoni e dei ritmi che conducono a spazi di creatività infinita.

La formazione con Lucio Ardito al basso, Gianni Cuochi alla batteria, Enrico Serotti alla chitarra e Marco Bertoni alle tastiere è accompagnata al mixer da Giugno Ragno Favero (Teatro degli Orrori, One Dimensional Man).

Ricordo che non c’è il cantante nel Confusional Quartet.

Non una sola parola in queste canzoni.

A cosa servono poi le parole?

Buon Ascolto.

Fusch! – Corinto (Jestrai)

Chi sono i Fusch e da quale pianeta provengono?

Forse non abitano così tanto lontano, sono una band lombarda di diversa estrazione che trova un punto di incontro, per questo primo album, Corinto, in quel di Bergamo.

Alla voce troviamo Amaury Cambuzat già Ulan Bator e Faust, Pier Mecca già Fiub, Mario Moleri e Mariateresa Regazzoni, mamma dei fratelli Ferrari, qui in veste di tastierista tra synth e rhodes.

L’album è un concentrato di suoni profondi e oscuri, dove la voce di Amaury, anche se quasi mai presente, tocca lentamente gli animi di chi ascolta, aprendo voragini incolmabili.

Nel disco troviamo la migliore new-wave, con virate sonore e dissonore, mescolate alle novità indie dell’ultimo periodo.

Baustelle, Verdena, Marlene Kuntz, Afterhours avvolti da suoni siderali, spogliati di qualsiasi parola, quasi inutile, quasi a dire non serve, io ti posso sfiorare anche solo facendoti ascoltare sovraincisioni di sintetizzatori vibranti cenere di una città inglese di fine ottocento.

Tanta è la bravura dei musicisti che ti sanno accompagnare in un viaggio tra le nuvole dove tutto può trasformarsi di colpo per lasciare spazio a ciò che è veramente importante.

Con Tropical Fish assistiamo a una cavalcata solare, mentre in Sento i suoni di fondo sono manipolati, looppati, estrapolati e condotti a Liquida in maniera egregia passando per la speranza in Girasole e trovando i Led Zappelin che stringono la mano ai Cure in Medicina Rossa.

Disco che lascia aperta la strada a nuove forme di sperimentazioni e che getta solide basi per creazioni future potendo pensare che in fin dei conti Corinto non è poi così lontana.