Bluoltremarte – Spomenik (VDM Sound)

Bluoltremarte - Spomenik - copertinaElettrici quanto basta per rendere teso il cavo più alto in cui far posare uccelli in volo; un riposo che sconvolge , un riposo che riporta in vita il suono agli albori, granitico e puro, raccolto da razzi che si stagliano nel cielo e coinvolgono con una forte esplosione di rock, anche il più lontano degli ascoltatori.

Perchè di rock stiamo parlando, e questi “Bluoltremarte” lo sanno fare con una certa grinta e caparbietà che l’associazione viene quasi spontanea a gruppi della scena come “Il teatro degli orrori”, ma anche “Elettrofandango”, passando per le chitarre di “Tesio” in Catartica.

I quattro vengono dalla provincia romana, carica di quel suono grezzo, ma allo stesso tempo puro che regala distorsioni prive di virtuosismi i quali servono solamente a confondere le idee creando un genere ricco di stereotipi collettivi.

Il suono deve essere incanalato e soprattutto controllato per esplodere con vigore in simbiosi con la voce che si insinua creando un tutt’uno: testa e cuore in un unico attimo di pace.

Ecco allora che possiamo ascoltare pezzi come la bellissima “Oltremarte” passando per atmosfere post grunge in “Tragica commedia” e lasciando spazio alla rarefatta “L’ora in cui”.

Dopo la strumentale “Spomenik” il disco riparte aggressivo con il crescendo di “Vortice” e “Folkloro” e chiudendo le danze con “Ossido” che ammicca al suono dei fratelli “Ferrari” di “Solo un grande sasso”.

9 tracce, niente di più, una conquista in crescendo di sonorità usate con buon gusto e capacità narrativa, una novità che mi auguro riesca ad allargare il loro cerchio d’azione trasformando in realtà la loro capacità di essere rock all’interno di un “territorio Italia” che poi tanto rock non è.

The Crystal Session – The Crystal Session (Seahorse Recording)

Immergersi nelle ombre paradisiache di un’eclissi che si sta per svelare.

Un attimo di luce coperta dalle vanità appese ad uno specchio per sempre o quasi.

Una ricerca attenta e soddisfacente alla cura elettronica che trasmette caparbie trasformazioni degne di catenelle acquose che ti penetrano per non lasciarti mai, per non lasciarti sperare, per non lasciarti uscire da quel sogno voluto e prolungato, sottostimato e poco gentile qual’è il sogno della vita.

I “The Crystal Session” sanno aprire nuovi confini, far nascere atmosfera lontana dal tempo, ma vicina al cuore, con una musica che si inabissa nell’animo più nero per regalare attimi di luce sotterranea, arricchita da stranezze strumentali e impreziosita da un’evocativa perla vocale.

Marinella Dipalma e Francesco De Palma giocano a interpretare una sorta di Radiohead, legata da un filo sottile con Air e con la scena più sotterranea di Cocteau Twins.

Un gioco meraviglioso che incanta grazie a pezzi come “Hyperion” e “Narcolepshymn” passando per “Raven” e la miracolosa nordica “Opalescent”.

Un disco composto magistralmente e suonato altrettanto magistralmente che sottolinea la maturità di questo duo che tutti potrebbero invidiarci.

Grande prova questa: un passaggio dalle tenebre alla luce, un ricordo di un passato attraverso un fantasma opalescente.

La parola persa – Tutta vita! (Autoproduzione)

Descrivere questi quattro personaggi dall’accento tipicamente romano è molto difficile, se non impossibile.

Sembra di ascoltare una vecchia radio a manovella in cui tutte le molle presenti al proprio interno sono pronte a scoppiare, ingranaggi oliati alla perfezione per dare un mix strampalato al mondo che circonda “La parola persa”.

“Tutta vita!” è il loro primo album in cui diversi generi si amalgamano per creare una perfetta commistione tra “NoBraino”, Elio e soci e i primi “Marta su i tubi”

Gli accostamenti sono del tutto inusuali anche tra gli strumenti: contaminazioni di fiati, musica mediterranea e tribe sound che non possono che farti scuotere piede, testa e cuore all’infinito, fino a raggiungere un esasperato finale che ti crea un bisogno di ricominciare di nuovo la corsa verso una musica senza tempo.

Gli accostamenti dei suoni e delle parole sembrano posti in uno spazio privo di appigli e punti di riferimento, invece dopo più ascolti riesci a concentrarti su un qualcosa che con difficoltà si sottrae alle fatiche della mente.

Come dicono loro: “bisogna unire i puntini” solo così si possono comprendere gli arcani misteri dietro a pezzi come il mega singolone “Il sesso tricolore” fino a “Va tutto bene” passando per l’ammaliante “El tango del florista notturno”.

Un prendersi non troppo sul serio questo, che ha fatto si che la musica creata dalla “Parola persa” sia incanalatrice di nuova linfa e da esempio per una fantasia sempre in evoluzione, verso nuove strade.

Massimo Coppola – Sinceri oroscopi (Silent Groove)

coverMassimo Coppola prende qualsiasi tipo di melodia per trasformarla in qualcosa di dolce, pacato, sensibile al tatto e legato al ricordo, al pensiero di una passeggiata sul lungomare guardando lontano e tentando di scorgere orizzonti sempre nuovi.

La ricerca estetica è importante lungo il suo percorso in quanto il cantautore utilizza in modo disinvolto il vocabolario italiano passando senza quasi accorgersene a canzoni con cantato in inglese influenzate in gran parte da quell’atmosfera fiabesca e romantico – gotica che si trova imprigionata tra i palazzi di Praga, sua città attuale.

14 tracce tra musica colta e raffinata, elegante e leggiadra, quasi a ricoprire di luce tutto ciò che circonda il suo immaginario, tra giardini incantati, amori in fiore e canzoni che difficilmente possiamo dimenticare e che entrano in modo inaspettato nella mente di chi ascolta; merito di una forte capacità nello scrivere e comporre melodie orecchiabili e sincere.

Un cantautore ricco di sfumature e diciamo anche a tutto tondo, in grado di spaziare da un genere all’altro, creando attorno a se un costrutto di fantasia reale dove immergersi e lasciarsi abbandonare.

Ottima prova questa dove la pace ha vinto sul rumore, la grazia sul logorio quotidiano.

Staré Mesto – Punto di Fuga (I dischi del minollo)

Adrenalina pura intrecciata a liriche cantautorali che si lasciano trasportare dal vento della tempesta che tutto prende, tutto si porta via, rabbia lisergica in foglie che si preoccupa di lasciare una traccia, un gesto, un segno di riconoscenza verso ciò che è stato prendendo spunto dalla scuola italiana anni ’90, in primis Marlene Kuntz per intrecciare CSI a Federico Fiumani meditativo come non mai, per non lasciare scampo al reale e ricucendo pezzi di immaginazione sospesa.

Gli Staré Mesto sono tutto questo, poesia catartica in galoppate elettriche che fanno scorrere nelle vene echi di pensose poesie lasciate in balia di un mare in burrasca che chiede di essere inglobato in una luna a ponente che tocca il cielo per sempre.

Illusione, frustrazione, rabbia quasi agonia nera che porta ad una chiusura del proprio essere e al silenzioso vivere quotidiano nell’apatia più totale.

I quattro conoscono la formula per uscire dal tunnel, sospeso per sempre, in un cammino ineluttabile che lungo le 8 tracce si consolida come non mai partendo con le grida sincopate di “Thalia” per arrivare in breve tempo a “insaguinare i prati” in “Racconto di Primavera”, uno spettacolo da poter osservare davanti ad uno schermo bianco dove il tutto è il vuoto di se medesimo.

Poi le canzoni si trascinano in un vortice di speranza, bellissima “Cielo d’Africa” dei Diaframma, reinterpretata per l’occasione.

Solidi, compatti reali; una purezza difficile da scorgere, difficile da trovare intorno a Noi: questi Staré Mesto attingono al passato per donare parole intrecciate in continuo divenire, in grado di trovare un punto di fuga, un punto da dove poter ripartire.

Nicola Sartori – Cantattore (Cabezon Records)

Un pugno in faccia questo del veronese Nicola Sartori, un pugno in faccia alla desolazione che ci circonda assumendo la forma di materia viva che diventa elemento di protesta.

Emblematica la copertina con quel simbolo monetario che forse risulta troppo  presente, in maniera quasi preponderante, nella vita di tutti i giorni e che va ad intaccare in modo troppo importante arti come il cinema e la musica, ricondotte quindi a un dio denaro che le snaturalizza e le uccide giorno dopo giorno.

Un cantattore onesto, diretto, essenziale nella sua complessa bellezza, accompagnato da numerosi strumenti che ricreano un’atmosfera lounge e delicata dove il pop si mescola, al rock, passando per malinconie blues in fusione al jazz spazzolato di fine secolo.

Esili farfalle si posano su queste 11 melodie ricordando a tratti Tenco a tratti il più attuale Samuele Bersani passando per il romano Niccolò Fabi, senza dimenticare Marco Notari, a cui Nicola rende omaggio nel cantato.

Un disco fatto quindi di impressioni, di vissuti, di affascinanti melodrammi quotidiani dove poter attingere linfa per poter proseguire verso nuove realtà.

Una cavalcata nello spazio terreno, in punta di piedi, tra tasti bianchi e neri, infinità bellissima e immacolata in una sorpresa che ci ricorderemo ancora per molto tempo.

Laika Vendetta / Elefanti in fuga (Rossocorvo)

laika 2 coverPassi pesanti nella nebbia, un enorme massa muscolare grigia si sposta per travolgere tutto al proprio passaggio, senza lasciare traccia di cos’è stato, di cosa si è costruito nel corso del tempo, tra sacrifici e sorrisi, tra inquietudini e paure, tra amarezza e speranza.

La band di Teramo, al loro nuovo disco, racchiude, lungo le dieci tracce, le prospettive di una vita migliore gridata fino a rompere le rocce di un’esistenza costipata ai margini delle tensioni quotidiane; un concentrato di chitarre dal sottosuolo per un cantato che non delude, ma che riesce ad arrivare a colpire il bersaglio con una certa facilità, portando con sè testi di protesta, di amore, di sogni migliori.

Verso mete lontane vagano i cinque, che si spogliano della loro inquietudine per ripredersi un triste ricordo di una fotografia sbiadita per trasformarlo in idea luminosa e tutto questo è il riassunto del disco che si  fa portavoce nella bellissima e commovente title track che in crescendo di violino finisce per armonizzare e colorare anche i vetri più oscuri.

Un disco dolce amaro, che ci farà compagnia per interi mesi, grazie all’accoppiata vincente rabbia-malinconia che non ha mai smesso di pulsare nei nostri cuori.

March division – Post Meridian Soul (Autoproduzione)

Post Meridian Soul - March DivisionA tratti si percepiscono nuvole che avanzano portando con se altri percorsi, come fossero scarpe attaccate al suolo che si divincolano dal fragore della terra sotto ai loro piedi, cercando un reale mutare del caso verso giorni migliori.

Pop sintetizzato suonato molto bene, con accortezze degne di chi fa musica da molto tempo, conoscendo in modo infinitesimale il rapporto mente-azione nello schiacciare e manipolare i suoni fino a farli piegare secondo le proprie volontà.

Una musica, questa dei “March divison”, elegante quanto basta per dare un senso di internazionalità poco comune alle produzioni locali.

Un fenomeno indie quindi, contagiato dalle influenze brit, che solo ascoltando la voce di Andy Vitali fa pensare ad un “Liam Gallagher” in piena forma.

Sei brani che riconducono all’essenza dell’elettronica, un’elettronica non invasiva, ma che entra in modo quasi furtivo e silenzioso all’origine del tutto, fino a trovare la propria forza in pezzi come il singolo in freedownload nel loro sito “Right on my way”, passando per la Arcadiana in fuoco “Dowtown devil” e toccando apici di sincope prolungata con “Sell-by date”.

Dischi capaci di una produzione così meticolosa sono molto difficili da scovare: pura energia sintetizzata per regalare emozioni in continuo mutare.

E poi non perdetevi il video del loro primo singolo, ne restereste stupiti.

http://www.youtube.com/watch?v=TMuaxybKyCQ

Blessed child opera – The darkest sea (Seahorse recording)

Cupo è l’aggettivo che mi viene più spontaneo utilizzare per descrivere il nuovo progetto di Paolo Messere.

Quella cupezza che quasi a vista d’occhio si fa luce, un lontano crepuscolo che abbaglia ancora, per l’ultimo secondo, melodie che si lasciano trasportare, come un viaggiatore errante solcherebbe le onde del mare, sfiorando gli scogli impenetrabili dell’isola chiamata uomo.

Un disco ricco di atmosfera decadente dove il blues di “Nick Cave” si accavalla, in punta di piedi, al ramingo “Tom Waits”, dall’anima delicata, sensibile, imperscrutabile: pensiero moderno di un carillon del passato ancora funzionante.

I brani dimostrano una forte capacità di scrittura che accomuna la band “all’oltremanica” “Tom McRae”.

Dieci tracce per un album immacolato, dove l’ascoltatore può immergersi in temibili profondità senza voler ritornare, ma cercando una strada per una nuova vita.

Un LP che accontenterà i solitari carenti di quella musica che splende di luce propria, così difficile da trovare in questi tempi oscuri e propria come questa.

 

Suntiago – Spop (Autoproduzione)

Suntiago, in bilico tra Verdena e Muse, testi viscerali legati ai primi Afterhours e echi di sogni mai svelati in tredici tracce che scavano nel profondo dell’inconscio, fino a escogitare una via per uscirne, una via dolorosa, una via faticosa, ricca di sinistri racconti distorti e parole gridate al vento che colpisce violentemente anche gli alberi più lontani.

Un disco che racchiude al proprio interno chitarre galoppanti, che assieme ad una perfetta sessione ritmica, intersecano un cantato graffiante lasciando molto spazio all’improvvisazione funky e alla leggerezza che accompagna canzoni come “Africa”.

Un concentrato di melodie che si lasciano ascoltare e ti fanno pensare a quanto elevato sia il livello di preparazione di questa band che spazia facilmente tra diversi di generi e in grado di trasformare canzoni di nicchia in ritornelli a ripetizione che si lasciano ricordare e fanno ben sperare partendo dall’ indie rock per arrivare quasi ad una jam session ben studiata.

“Seguimi” è poesia allo stato puro che si lascia trasportare dalla frenetica “John Bonham” per raggiungere attimi di psichedelia sonora con “L’opinione”, meraviglia di cori floreali in “In giù” per finire con l’innovativa “Ogni rinuncia”.

Un album poliedrico e ricco di sfumature, quattro ragazzi romani dal forte carattere che riassumono in meno di un’ora tutto ciò che si può volere da una grande indie rock band. Da applausi.