Cupo è l’aggettivo che mi viene più spontaneo utilizzare per descrivere il nuovo progetto di Paolo Messere.
Quella cupezza che quasi a vista d’occhio si fa luce, un lontano crepuscolo che abbaglia ancora, per l’ultimo secondo, melodie che si lasciano trasportare, come un viaggiatore errante solcherebbe le onde del mare, sfiorando gli scogli impenetrabili dell’isola chiamata uomo.
Un disco ricco di atmosfera decadente dove il blues di “Nick Cave” si accavalla, in punta di piedi, al ramingo “Tom Waits”, dall’anima delicata, sensibile, imperscrutabile: pensiero moderno di un carillon del passato ancora funzionante.
I brani dimostrano una forte capacità di scrittura che accomuna la band “all’oltremanica” “Tom McRae”.
Dieci tracce per un album immacolato, dove l’ascoltatore può immergersi in temibili profondità senza voler ritornare, ma cercando una strada per una nuova vita.
Un LP che accontenterà i solitari carenti di quella musica che splende di luce propria, così difficile da trovare in questi tempi oscuri e propria come questa.