Preti Pedofili – L’age d’or (Toten Schwan)

Follia totale, energia gridata, maciullata al suolo, odore di decomposizione incarnata in laceranti superstizioni.

Giovani emblemi sonori che si rappresentano perspicaci e sul spunto di capire una nuova via, una nuova deflagrante compromissione verso un mondo ancora che non li vuole.

I “Preti Pedofili” noi di IndiePerCui li conosciamo, li ascoltiamo e non possiamo che rimanere stupiti ogni volta che il loro supporto fisico giunge nella cassetta della posta e inalterato come sempre l’ascolto si lascia comprimere come un pugno dentro allo stomaco, come un passato che nasconde le più crude realtà di chi cerca di dimenticare, ma non dimentica.

10 tracce niente di più niente di meno, Emidio Clementi impazzito si dipinge di rosso e gira per un paese fantasma dove alle porte socchiuse si aggiungono giorni in cui la luce sembra essere solo un pensiero lontano di una menta paranoica e ossessivamente adatta a vivere con un misero sacco di monete giuste giuste per acquistare il pane e qualche amenità a cui non si può rinunciare.

Le amenità sono importanti invece, ciò che è diventato inutile in Italia è alla base della nostra cultura e i 3 foggiani lo conoscono benissimo: sanno a cosa si può rinunciare e a cosa no.

I “Preti Pedofili” sono arrivati, aprite le porte al loro suono e ai loro testi, ma non fermatevi all’apparenza, sarebbe un grosso errore, potrete pentirvene un giorno.

Fuochi di Paglia – Ménage a trois (Labella)

“I fuochi di paglia” sono un gruppo che già dal  primo ascolto non può far altro che farti innamorare.

3 folli  questi, folli in cerca di divertimento tra parole e testi sconquassati e allegria disincantata che regalano pomeriggi di lunga ironia esistenziale dove ognuno può riconoscersi nei testi raccontati, nelle storie vissute, tra amori persi in mare e precariato, tra crisi musicale e ironia sul “Bel Paese”, contagiosa quanto basta per racchiudere al proprio interno tutto ciò che serve per rendere un disco appetibile e di sicuro gusto.

Sul piano sonoro gli arrangiamenti sono lineari con una voce in primo piano che ricorda il “Luca Bassanese” degli esordi mentre la musicalità raggiunge apici sonori in pezzi come “PacMan”: in questo disco sembra quasi di ascoltare delle rivisitazioni di pezzi pubblicitari anni ’80 con appiglio funky, in veste asciutta  e acustica quasi scarna dove l’essenzialità è sancita in ogni secondo, ogni minuto; quell’essenzialità che va diretta al punto senza troppi orpelli che farebbero di queste canzoni solo opere da ammirare.

Noi invece le vogliamo toccare queste opere, manipolarle, ricostruirle secondo il nostro concetto di bellezza, ecco allora che pezzi come “Carciofo da pinzimonio” o “Ogni cantautore” sono l’emblema di una scoperta trascina-masse mentre canzoni come “Parvenu” e la finale “La ballata di Maria” mescolano CCCP al tribe-rock.

Un disco intenso, pieno di carattere e che certamente ci farà scordare le preoccupazioni quotidiane, o meglio, potremmo vedere quest’ultime in un’ottica diversa e più costruttiva sperando che questo gruppo e i 3 fuochi che lo compongono, possano essere ripagati di così bel pulito lavoro.