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Alberto Nemo stupisce nella ricerca che si estende agli albori del nostro venire al mondo. Stupisce per bisogno essenziale di andare fino in fondo, scovando imperterrito i punti più nascosti di questo strano presente, cercando l’anima di tutte le cose, quelle migliori, quelle che davvero contano. Un musicista poliedrico che ha fatto del proprio stile vocale un marchio di fabbrica nel corso degli innumerevoli album prodotti. Un musicista che non ha paura di osare in questa epoca fatta di facili refrain e melodie fugaci e facilmente dimenticabili. Analizzeremo, in parte, su queste pagine, i tre ultimi lavori del nostro che in qualche modo potrebbero costituire un trait d’union con il lavoro svolto fin’ora, pur garantendo una sorta di eterogeneità interiore che stupisce ascolto su ascolto.
Olim è un lavoro struggente che varca le soglie dell’infinito. Un disco etereo che si muove tra minimalismo e ambient. Registrato a 432 Hz e destinato ad essere utilizzato nella musicoterapia, l’ultima creatura del nostro è simbiosi con la natura circostante che riesce nell’intento di dare un senso mistico alla comunicazione in un circuito continuo, un loop che scardina la materia per alzare infinite ragioni e infinite strade all’interno di una ricerca che diventa spazialità matura e cangiante.
Alberto Nemo stupisce nella ricerca che si estende agli albori del nostro venire al mondo. Stupisce per bisogno essenziale di andare fino in fondo, scovando imperterrito i punti più nascosti di questo strano presente, cercando l’anima di tutte le cose, quelle migliori, quelle che davvero contano. Un musicista poliedrico che ha fatto del proprio stile vocale un marchio di fabbrica nel corso degli innumerevoli album prodotti. Un musicista che non ha paura di osare in questa epoca fatta di facili refrain e melodie fugaci e facilmente dimenticabili. Analizzeremo, in parte, su queste pagine, i tre ultimi lavori del nostro che in qualche modo potrebbero costituire un trait d’union con il lavoro svolto fin’ora, pur garantendo una sorta di eterogeneità interiore che stupisce ascolto su ascolto.
Smania, il penultimo disco è l’esplosione di luce che ci attende oltre il confine. Suoni marcatamente elettronici si fondono con una psichedelia intrinseca fatta di bombarde sonore e canzoni che entrano e trafiggono la carne. Pezzi impavidi infondono alla sperimentazione un senso vivo e necessario, un senso scandito dal tempo che ricorda le incursioni di Moby alle prese con l’ostentato bisogno di crescita spirituale e interiore. Massive Attack in simbiosi per un qualcosa alla portata di tutti, ma maledettamente contorto.
Alberto Nemo stupisce nella ricerca che si estende agli albori del nostro venire al mondo. Stupisce per bisogno essenziale di andare fino in fondo, scovando imperterrito i punti più nascosti di questo strano presente, cercando l’anima di tutte le cose, quelle migliori, quelle che davvero contano. Un musicista poliedrico che ha fatto del proprio stile vocale un marchio di fabbrica nel corso degli innumerevoli album prodotti. Un musicista che non ha paura di osare in questa epoca fatta di facili refrain e melodie fugaci e facilmente dimenticabili. Analizzeremo, in parte, su queste pagine, i tre ultimi lavori del nostro che in qualche modo potrebbero costituire un trait d’union con il lavoro svolto fin’ora, pur garantendo una sorta di eterogeneità interiore che stupisce ascolto su ascolto.
Vapaus, il settimo disco del polistrumentista e il primo che andremo ad analizzare, è una sorta di bolla di limpida profondità, dove l’accensione sonora si estende attraverso canali neuronali che non passano inosservati, ma creano collisioni d’insieme mescolando momenti meditativi con quel qualcosa che ci lega alle sensazioni terrene di un trip- hop condensato a dovere e utilizzato per creare e garantire una coerenza di fondo davvero invidiabile. Il lavoro forse più soppesato e coerente che si muove da Genopoli fino a Cadal in versione live. Un disco capace di perpetuare arte e bellezza primordiale nella stessa forma contenuta.
Alberto Nemo stupisce nella ricerca che si estende agli albori del nostro venire al mondo. Stupisce per bisogno essenziale di andare fino in fondo, scovando imperterrito i punti più nascosti di questo strano presente, cercando l’anima di tutte le cose, quelle migliori, quelle che davvero contano. Un musicista poliedrico che ha fatto del proprio stile vocale un marchio di fabbrica nel corso degli innumerevoli album prodotti. Un musicista che non ha paura di osare in questa epoca fatta di facili refrain e melodie fugaci e facilmente dimenticabili. Analizzeremo, in parte, su queste pagine, i tre ultimi lavori del nostro che in qualche modo potrebbero costituire un trait d’union con il lavoro svolto fin’ora, pur garantendo una sorta di eterogeneità interiore che stupisce ascolto su ascolto.
Vapaus, il settimo disco del polistrumentista è una sorta di bolla di limpida profondità, dove l’accensione sonora si estende attraverso canali neuronali che non passano inosservati, ma creano collisioni d’insieme mescolando momenti meditativi con quel qualcosa che ci lega alle sensazioni terrene di un trip- hop condensato a dovere e utilizzato per creare e garantire una coerenza di fondo davvero invidiabile. Il lavoro forse più soppesato e coerente che si muove da Genopoli fino a Cadal in versione live. Un disco capace di perpetuare arte e bellezza primordiale nella stessa forma contenuta.
Smania, il disco successivo è l’esplosione di luce che ci attende oltre il confine. Suoni marcatamente elettronici si fondono con una psichedelia intrinseca fatta di bombarde sonore e canzoni che entrano e trafiggono la carne. Pezzi impavidi infondono alla sperimentazione un senso vivo e necessario, un senso scandito dal tempo che ricorda le incursioni di Moby alle prese con l’ostentato bisogno di crescita spirituale e interiore. Massive Attack in simbiosi per un qualcosa alla portata di tutti, ma maledettamente contorto.
Olim è un lavoro struggente che varca le soglie dell’infinito. Un disco etereo che si muove tra minimalismo e ambient. Registrato a 432 Hz e destinato ad essere utilizzato nella musicoterapia, l’ultima creatura del nostro è simbiosi con la natura circostante che riesce nell’intento di dare un senso mistico alla comunicazione in un circuito continuo, un loop che scardina la materia per alzare infinite ragioni e infinite strade all’interno di una ricerca che diventa spazialità matura e cangiante.
Alberto Nemo elabora gli ultimi tre dischi della sua carriera partendo da punti in comune, attingendo dal proprio io un bisogno di comunicare oltre ogni manifestazione tangibile. Tre dischi che non sono un prodotto, ma una vera e propria scia d’esistenza raccolta in continuo mutamento.
Nessuna parola è lasciata al caso nel disco di Silek, un progetto musicale stratificato e urbano quanto basta per parlare ad alta voce di amore, spazialità, vita vissuta alla ricerca continua di un posto nel mondo da occupare. Un assetto quindi principalmente rap contaminato dall’elettronica, dal rock, dal jazz un progetto impattante che dona senso preponderante alle cose che ci circondano. Undici è la ricerca della rima che diventa impronta sociale e diventa cultura da espatriare raccontando di una società malata e distanziandosi dal mondo intorno attraverso pezzi che affondano direttamente nella nostra realtà. Index, Pugni chiusi, Sottosopra, la stessa title track, Underdog sono solo alcuni momenti davvero incisivi dell’intera produzione. Undici è un disco di rilievo e di collaborazioni, un insieme di tracce che raccolgono la polvere del tempo per sedimentarla all’interno della nostra vita per poi riconsegnarla con tecnica evidente all’interno del nostro io. Undici è un racconto di vita che va giustamente sottolineato in una quotidianità tante volta asettica e priva di sentimenti.
Ruvide montagne da scalare si inerpicano attraverso strade senza uscita e pronte a raccontare, con innata potenza, un mondo da rifare, un passato da sconfiggere, un futuro da cogliere e percepire fino in fondo. Guai è un disco di duro rock, un album che non ricerca le mezze misure, ma piuttosto intavola con l’ascoltatore un rapporto di simbiosi che va oltre le apparenze e grazie ad un cantato in italiano intraprende percorsi di puro godimento sonoro che si sposano egregiamente con la nostra lingua. La Methamorfosi dà vita ad una prova intensa dove sprazzi di cielo azzurro riescono a diventare in poco tempo grigi per lasciare spazio alla tempesta che avvolge i nostri pensieri, la nostra anima, il nostro venire al mondo. Canzoni come Guai, Verme, La pioggia distruggono per poi ricostruire, trasformano l’ombra in una sorta di luce, abbandonando l’inutilità del momento e convincendo ascolto su ascolto.
Pezzi incorporati nella vita attraverso un’elettronica d’insieme che scardina e fagocita rilassando momenti e intersecando a dovere bisogni che si fondono con l’ambiente circostante, con tutto ciò che portiamo dentro al nostro cuore. Il discone di Human Being racchiude il segreto di una musica che muta, cambia forma e apparentemente consola anche se porta con sé il profumo di un’esigenza sempre nuova di apparire attraverso le fessure del tempo, attraverso la finestra che inquadra la nostra relazione con l’altro, attraverso un correre a pieni polmoni lungo i percorsi che ci riserva la vita giorno dopo giorno. Sono sette tracce quelle del nostro, sette canzoni, pezzi di storie, pezzi di viaggio che si muovono tra suoni significativi come Action and feel, Caos, Slow down. Atmosfera e sostanza quindi per il nostro, dal Nord interiore un album che attraversa decadi di sensazioni per ristabilire coerenza in superficie e introspezione meravigliosa a non finire nel profondo del proprio essere.
Incursioni sghembe per un’elettronica di confine melliflua e scanzonata che ripercorre, con crescendo costante, uno stile che diventa personale, soggettivo e alquanto impattante. La proposta di Daniele Faraotti, nel suo disco English Aphasia, è un concentrato autorale di malinconiche visioni attanagliate in ubriacature che si affacciano al mondo targato novanta in cerca di appigli solidi e sicuri. Quello che il nostro ci regala è una prova alquanto introspettiva che ricorda Blur contaminati dall’italiano Trivo in una ricerca disinibita di dissonanze isteriche legate più al singolo momento che al risultato finale. English Aphasia nasconde un misterioso non sense che veicola sensazioni e stati d’animo all’interno di una psichedelia contorta e d’insieme, una psichedelia che affonda radici in un animo tormentato che ricerca nella musica la propria destrutturata ancora di salvezza.
I Sinezamia, con il loro nuovo disco, raccontano di una società malata, raccontano di questo e altri mondi attraverso un rock che abbraccia lo stoner più duro intensificando i rapporti e i sodalizi estremi con una realtà che fagocita e divora. Fingere di essere è un approccio al rock più rumoroso farcito da testi importanti che affondano le proprie radici all’interno di una musica che diventa importanza e afferma la propria appartenenza grazie a canzoni, pezzi che si rispecchiano prepotentemente negli anni ’90. Se a prima vista l’operazione sembra incentrata su di una musica che ricorda i primi Litfiba, il fragore di fondo fa pensare ad un’intelaiatura più solida e strutturata, nella ricerca costante di comunicare emozioni e vita. Pezzi come Verba volant, Nel blu, Assenza, Lontano, Pioggia fredda raccontano di uno stato interiore che inevitabilmente rispecchia quello che viviamo, raccontano di questa e altre vite da analizzare, comprendere e prepotentemente scagliare al suolo come non ci fosse un domani.
Cantautorato nomade capace di fiutare aldilà delle barriere quotidiane e scandito da un’acustica interna che smuove pensieri e anima a rintracciare composizioni cosmiche in una nudità che diventa ampiezza, in una nudità tangente e di sicuro impatto. Il disco di Fabiano Pittiglio nasconde al proprio interno il segreto delle cose più semplici che si attorcigliano all’interno di questa vita e amplificano risultati partendo dalla nostra dura realtà. Il nostro riesce a convogliare aspetti e sfaccettature, limiti e momenti di crisi, rarefazione e solitudine, malinconia e bisogno di dire qualcosa. La bellezza raccolta in questo disco si muove lateralmente attraverso canzoni come Vertigine, Confessioni al caro Silvestro, Pagine per un risultato d’insieme che scava nell’animo del poeta disinfettando le ferite della vita con canzoni che ne sembrano la cura.