Casablanca – Pace, violenza o costume (VREC 232)

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Album potente e incontrollato che sente la necessità interiore di dare un senso sempre maggiore ad un rock che in Italia sembra essere scomparso, un disco monumentale, granitico e compresso a dovere che vede il ritorno dei due ex Deasonika Max Zanotti e Stefano Facchi coadiuvati dal basso di Giovanni Pinizzotto e dalle chitarre di Rosario Lo Monaco a intelaiare un lavoro strutturato che vede scorrere su diversi piani lo stoner con il rock più classicheggiante per abbracciare le introspettive aperture di band come Virgo, Mistonocivo pur concedendo sprazzi di cantautorato che di rimando ricorda la musica vibrante di Umberto Maria Giardini. Pace, violenza o costume sa essere consapevolmente una riflessione sui nostri tempi e sui nostri modi di interagire con la vita e con ciò che rimane in fondo al nulla. Il nuovo dei Casablanca sa scavare nelle profondità più misteriose del nostro inconscio, lo fa con la classe di chi non ha nulla da perdere, con la forza di chi, con costanza, apprende la lezione del tempo trasformandola in qualcosa di davvero unico.

Livida – Io non ho paura (VREC233)

Io non ho paura by Livida

Rock che si intensifica ascolto dopo ascolto coadiuvato per l’occasione da testi diretti, maledettamente pop, di facile digeribilità, ma nel contempo di certo non scontati, intessuti da trame concentriche che rendono la prova dei Livida un incrocio tra passato e presente dove la maturità musicale si fonde con un qualcosa di immediato, urgente, non di circostanza, ma ricco di spunti che parlano di vita moderna, di vita vissuta, di amori che si consumano all’imbrunire di una sera qualsiasi. Io non ho paura è un album di per sé omogeneo, racchiude al proprio interno delle buone tracce che sanno in qualche modo emozionare e garantire un appeal con un pubblico che nell’urgenza del momento trova la propria valvola di  sfogo per parlare di quotidianità e di intensificazioni che via via approdano verso lidi di puro interesse musicale. Su tutte spicca il capolavoro Sette lacrime, summa forse di un album da far nostro ascolto dopo ascolto, in una speranza sprigionata nell’attimo appena trascorso.

Five to ten – Stupid Now (VREC)

Stupid Now, il nuovo album dei Five to Ten di Silvia De Santis

Nuovo disco per i Five to ten, nuovo album edulcorato a dovere nella creazione di un pop ben studiato e arrangiato, ricco di contrasti amorevoli e contornato da una base ritmica e un pianoforte presente in tutte le tracce a scandire una voce emozionale, a dare un senso a voli pindarici garantiti da una bravura di fondo davvero interessante. La band, guidata da Silvia De Santis alla voce e già concorrente a The Voice con Piero Pelù è un insieme di dolcezza che rende i pezzi vividi, reali e tangibili, tutto si incastra a pennello in un’intersezione di architetture che aprono al singolo Right Thing fino a conglobare in pezzi come Maybe it’s stupid, Superhero, Wonderful o la finale You know. Un insieme di brani, un disco d’insieme che attraverso le piccole sfumature dona originalità composita alla proposta, un trio esplosivo in grado di osare e nel contempo di ponderare, attraverso equilibrature affascinanti, un genere forse già sentito, ma di certo accompagnato da uno stile unico e sicuramente personale.

Audyaroad – What is the price? (VREC)

Potenza sonora incontrollata per un classic rock di sicuro impatto scenico che unisce elementi dei ’70 con qualcosa di più moderno che sfiora band come Bon Jovi pur mantenendo una connotazione alquanto personale che fa della band di Milano una sorta di camaleontico quadro in divenire che raccoglie le sfumature di questo e altri tempi per creare architetture sonore che eccentricamente misurano un insieme e si fanno gradazione sopra di un palco luccicante e nello stesso tempo polveroso e disincantato. Gli Audyaroad ci danno dentro e si sente, lo fanno con uno spirito da primi della classe, incorporando visioni e aspirazioni che ben sono rappresentate in questo What is the price? uscito in edizione fisica limitata a cento copie e che trova in pezzi come i singoli Mr. Dynamite e Hey Man dei punti chiari e di contatto con il proprio credo. Il disco in questione è un concentrato di avventure sonore a cui non sappiamo rinunciare e che trova il proprio spiraglio d’apertura passando per la porta principale, quella dell’amore e del sudore per un certo tipo di musica che sembra non trovare fine.

The allophones – Muscle Memory (VREC)

Un disco davvero sorprendente quello dei The allophones, un album impreziosito e contorto, scintillante e oscuro, in grado di ispirare e attingere da rimandi musicali di puro interesse concettuale, dai The National passando per Editors, Elbow e Interpol con quella chitarra orientale spaventosamente importante che rende il tutto portatore di una connotazione alquanto sincera e nel contempo potente nella propria originalità. La band di Firenze, alla sua prova d’esordio, inspira prodezze d’oltreoceano intessendo dieci pezzi che si portano appresso una propria vita, una propria connotazione chiara e precisa, un sapore internazionale che possiamo percepire già nella traccia d’apertura Somebody’s fault, passando per i singoli The owner e Better Days fino al gran finale macerato e lasciato a sedimentare di My league per un album che dalla sua struttura interna lascia presagire un potenziale notevole per questa band e che disintegra una concezione passata per rafforzarsi in chiave moderna oltre il futuro.

Live Report – Editors + The Cult – Pistoia Blues – 06/07/17

Doppio live completo e soprattutto eterogeneo in quel di Pistoia che per l’occasione trova un velato connubio tra il rock del passato, quello classico partito dall’oscurità dei primi anni ’80, ricordando la dark wave a approdando a territori hard rock impattanti rappresentati da i The Cult per arrivare a suoni mescolati all’elettronica e all’uso smodato di effetti e sintetizzatori che gli Editors hanno saputo rinvigorire a dovere per dare giusto equilibrio tra sperimentazione e canzone pop. Prerogativa necessaria questa e alquanto sentita negli ultimi due dischi della band di Stafford, capitanata da Tom Smith che per scelta abbandona una cupezza d’animo e introspezione interiore per dare vita, anche in chiave live ad uno spettacolo dal forte appeal emozionale.

I suoni escono dagli amplificatori ancora quando il buio tarda ad arrivare, I The Cult sono granitici, carichi e sicuri che il pubblico accorso per loro non sia da meno, fanno un live ricco di classici intramontabili come l’intro Wild Flower, Rain, She sall sanctuary e Fire Woman, uno show di un’ora e mezza che porta, gran parte della gente presente, ad un tuffo indietro nel tempo con il frontman Ian Astbury che coinvolge il pubblico, suona il cembalo e conduce attraverso suoni fatti di puro rock pesante mescolato da assoli di psichedelia contagiosi che pongono in primo piano Billy Duffy e il suo armamentario di sei corde esplosive.

Cambio palco ed entrano in scena gli Editors, enormi ventole fanno da scenografia e le luci si fondono in un set davvero importante e sentito, sono rari i gruppi che riescono a creare un connubio unico con chi li ascolta e questa sera è successo al Pistoia Blues con loro, a dimostrarlo sono le generazioni passate e giunte per i The Cult che si muovono compulsivamente ai ritmi incalzanti della band inglese più recente, strappando applausi sinceri e di trasporto ad ogni canzone. Tom Smith è un personaggio strano, canta, si muove e si contorce, non si ferma un secondo se non quando suona il piano, i suoi gesti trasportano e la sua voce proietta potenza controllata in ogni singolo pezzo. Sugar, Munich, Blood, An End Has a Start, The Racing rats, A ton of love, Papillon sono solo alcuni dei più lucidi esempi che si percepiscono ancora a giorni di distanza.

Quello a cui si è potuto assistere Giovedì 6 Luglio, in questo meraviglioso Festival dal contesto davvero unico, è stato un insieme di concerti che hanno saputo coniugare passato e presente senza rinunciare a nulla dal punto di vista compositivo e di qualità, i The Cult che proseguono i loro live sicuri di aver posato, da decenni, solide fondamenta tra i loro fan e gli Editors così preziosi e imponenti che rispetto agli esordi, comunque convincenti, ora come ora fanno paura.

Setlist Editors

Cold
Sugar
Munich
Blood
Hallelujah
Eat Raw Meat = Blood Drool
Life Is a Fear
An End Has a Start
Smokers Outside the Hospital Doors
Two Hearted Spider
Magazine
No Sound but the Wind
Ocean of Night
All the Kings
The Racing Rats
Nothing

BIS

The Pulse
A Ton of Love
Marching Orders
Papillon

Setlist The Cult

Wild Flower
Rain
Dark Energy
Peace Dog
Lil’ Devil
Birds of Paradise
Nirvana
Deeply Ordered Chaos
The Phoenix
Sweet Soul Sister
She Sells Sanctuary
Fire Woman

BIS

King Contrary Man
Love Removal Machine

Foto e Articolo: Marco Zordan

Newdress – Falso negativo (VREC)

Suoni sintetici che inglobano l’atmosfera di luci e ombre attingendo direttamente dalla wave anni ’80 una capacità di ricreare elettronicamente atmosfere che ben si sposano con il repentino cambio musicale odierno in una ricerca che in fin dei conti si fa novità nella stesura, ma anche nel suono, ad arricchire ciò che prima era già di per sé punto di partenza importante per una band che ha un forte debito nei confronti di gruppi come Joy Division, ma anche nei confronti di una serie di modernità acclamate internazionalmente come gli Editors in un dissertazione musicale fatta di bianco e nero, una contrapposizione costante che si respira lungo tutte le nove tracce che fanno parte del disco in un sali scendi di intenzioni che soprattutto nella prima parte si concede ed emoziona altamente grazie ad un’ispirazione che sembra non sfuggire, facendo presa sull’ascoltatore in modo da ricreare un ponte tra passato e futuro, un ponte di ricerca che possiamo assaporare nelle prime note della riuscita Attico Narcotico, ricordando Bluvertigo fino a quella Sorride a tutti, ineluttabile finale a sancire una buona prova ben costruita e pronta a ricordare ciò che è stato proiettandolo nel quotidiano nero vivere che ci accomuna.

Simone Lo Porto – Un viaggio nel magico (VREC193)

Prendi la tua chitarra e vai oltre l’orizzonte conosciuto, gettati dalle scogliere e ammira il mare da lassù, senti l’acqua che scivola e abbandona i corpi ad asciugarsi al sole di una spiaggia oltre la vista, oltre qualsivoglia forma di conoscenza, viaggia e sii padrone di te stesso, la conoscenza è caparbietà di scoprire e il bisogno di non accontentarsi mai, il gusto per l’avventura intriso di significato e per l’occasione valorizzato da queste tracce, dalle canzoni di Simone Lo Porto eterno cantautore avventuriere che grazie a questo disco incrocia il mondo e lo trasporta in un luogo onirico e carico di suggestioni, di ricordi, di realtà mescolata alla finzione, tra Venezuela, Cile, Perù, Bolivia, Ecuador: l’America latina, i suoni, gli odori e le immagini colorate, cariche di vita e di sensazioni, da Il bacio del Colibrì, fino alla citazione La fine è il mio inizio come direbbe Terzani, il nostro intasca una prova che sa di world music e di profonda conoscenza nei confronti di un mondo complesso e emotivamente diversificato, ma accomunato dalla stessa sostanziale sete d’amore.

Marco Biasetti – Quadri d’autore (MB01)

Pennellate di una musica passata che incontra i grandi mostri sacri del tempo che fu in rivisitazioni silenziose, a tratti impercettibili, di una costante atmosfera vibrante che regala emozioni circoscritte nella scelta di pezzi storici in chiave jazz, rimodellati, pensati e arrangiati dal cantautore mantovano Marco Biasetti coadiuvato, per l’occasione nel disco, da Marco Vavassori al contrabbasso, Paolo Garbin al pianoforte, Enrico Smiderle alla batteria e ad Enrico Bentivoglio al sax.

Un album che si compone di otto cover e due brani inediti che si amalgamano, direi in maniera egregia con il tutto, brani che acquistano un significato preponderante nel cammino artistico del nostro, la prima Quadri e nel finale Ma poi non tornava più, si fondono con Era di Battisti/Mogol, Stelle di stelle di Baglioni, La Nave di Mia Martini e l’immensa Te lo leggo negli occhi di Endrigo lasciando spazio a Rita Pavone e a Neffa per una tavolozza di colori che ricopre cangianti stati emotivi sempre pronti a stupire, sempre pronti a ricreare la giusta atmosfera cromatica proiettata nel moderno e arricchita da contrappunti sonori da primo della classe, esercitando il fascino del tempo attraverso le sue innumerevoli sfumature.

Fantasia pura italiana – Buffoni pecore e re (VREC)

La teatralità del  momento affonda le proprie radici lungo cinque pezzi che si muovono in modo assolutamente naturale tra folk, cantautorato, funk e ska alla ricerca del mood giusto per riuscire nell’intento di prendere alla leggera i grandi temi della vita, trasformando le aspirazioni del tempo in qualcosa di più concreto e sentito, disinvolto e ironico, in grado di entrare nella testa di chi ascolta, assaporandone versi, parole e concentrati di emozioni ben definite, da ballare, per un’estate che è emblema per questa musica, per un’estate che non vuole finire.

Loro sono toscani, ma trapiantati a Roma, hanno un nome da linea alimentare da supermercato, ma non per questo sono commerciali, anzi, la loro canzone pop è intrisa di significati congegnali ad ogni occasione, si passa facilmente dal singolo Piripì fino a Fette biscottate e Rock’n’roll, cambiando genere, sentendo il respiro della gente, il calore umano, necessario a questo tipo di band per progredire, un calore generato dalla commistione di più elementi in grado di apportare una formula tanto strampalata, quanto riuscita, in nome della musica, per la musica.

Questo è un disco che non è un riempitivo per l’aperitivo delle sei, anzi, questo è un album in grado  di far comprendere una musica che al primo ascolto sembra leggera come un vento primaverile, ma che nel profondo porta con sé le necessità del nostro vivere quotidiano.