Fabrizio Consoli – 10 (iCompany)

World music entusiasmante che canta il disagio esistenziale e il bisogno di partire in un mondo che non è fatto per gli ultimi, ma che ostinatamente sente il bisogno di questa musica per segnare il cammino da seguire, esigenza primordiale di lasciare la propria terra e sentirsi cullare da incursioni sonore che non sono propriamente nostre, anzi sono un contagio necessario per un bisogno ancora più grande nel trovare una nuova casa.

Un album sui dieci comandamenti rivisitato in chiave moderna, grazie alle parole di Fabrizio Consoli, egregio menestrello che attraverso la dura gavetta degli anni, ricordiamo l’attività di session man per, Alice, Mauro Pagani, PFM per citarne alcuni, nonché scrittore e produttore di diverse canzoni di gruppi come Dirotta su Cuba ed Eugenio Finardi, riesce il nostro nell’intento di proseguire, al quarto disco, quella strada della contaminazione che abbraccia il tango e il jazz, infarcendo il tutto con la musica latina e dell’est Europa per un risultato davvero notevole e soprattutto sentito.

Sono tredici brani di puro amore verso la musica, dieci brani che sono la summa di un intero periodo, basti pensare a Credo, La cultura, senza dimenticare Maria e L’innocenza di Giuda a dare un senso maggiore al quadro che ci troviamo davanti, nel cercare di trovare un punto di contatto, non con l’aldilà, ma piuttosto con tutto il tangibile che incontriamo ogni giorno.

Leon – Gli eroi muoiono (Meat Beat)

Gli eroi muoiono e ce lo spiega Leon nel suo nuovo disco, il cantautore valdostano confeziona una prova di sperimentazione innanzitutto in quanto il pop è mescolato con il cantautorato, il rock e l’elettronica e a farla da padrone sono testi generazionali in cui gran parte dei giovani ci si possono rispecchiare, tra lavoro precario e incertezza sul futuro, senza basi d’appoggio su cui sperare e senza la minima convinzione di poter far valere un proprio pensiero nella miriade di voci che fanno parte del nostro vivere.

Un disco esistenzialista che divaga, per ben quattro pezzi, nella lingua francese, parole presenti, pesanti e possenti, ci sono le poesie di Baudelaire e il colore nero prende il sopravvento dopo giorni spesi a chiedersi chi siamo; del domani non vi è certezza e noi protagonisti insicuri non abbiamo nemmeno più gli strumenti per affrontare ciò che ci troviamo davanti.

Intimo nella propria esistenza, Leon, ci regala una prova dei nostri tempi, un bel disco formato da dieci pezzi, una solitudine mescolata all’attesa e quella luce filtrata ad illuminare l’altra faccia di noi, l’altra faccia della luna, l’altra faccia che non dobbiamo far cadere nell’oscurità eterna.

Kelevra – Cronache per poveri amanti (VREC)

Amori andati a male, amori lontani, sfiducia sull’oggi e sfiducia sul domani, intrisi di quella poesia neo natale che imprigiona la semplicità del gesto, dell’atto, in una confezione effimera di gioia, dove il tempo racchiude i segreti per un mondo forse diverso.

Al secondo album i Kelevra fanno centro, intascando una prova ricca di coraggio e di un’immediatezza strabiliante, che sa mescolare diligentemente un pop definito amaro al cantautorato più moderno,un disco tutto tranne che consolatorio dal titolo Cronache per poveri amanti.

I nostri raccontano una vita fatta a pezzi e l’essenzialità nel tentare di ricucirla passo dopo passo, mattone dopo mattone, oltre la tempesta e ispirandosi al fu fiorentino Pratolini che condivideva con loro la terra natia.

Disincanti che accarezzano l’erba e ti fanno comprendere l’ineluttabilità del tutto, con un forte gradiente e una forte percentuale di amarezza che fa gridare, che ti fa tentar di essere un uomo diverso, migliore.

Non ha gravità è il singolo di riferimento, con la presenza di Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti a farne da padre putativo, un disco che anche senza questo pezzo ha tutte le carte in regola e il pieno diritto per sfondare le consuetudini del momento, trovandosi un piccolo posto nel mondo dove poter vivere.

Psychos – Dritto al cuore (VREC)

Terzo album per la band senese che amalgama energie confluite per dar sfogo e sfoggio di un’essenza vitale racchiusa in questa musica, un puro bisogno di nutrirsi di passioni primordiali, racchiuse nello scrigno della nostra memoria, ma pronte ad uscire ogni qualvolta ci sia la possibilità.

Testi in italiano che si accavallano a melodie hard rock a cavallo tra i ’70 e gli ’80 per un gusto quasi classico, dal sapore certamente usuale, ma ricco e pieno di capacità espressiva, quella capacità nascosta e celata che scorre nelle nostre vene come acqua di un fiume sempre in piena.

Ecco allora che i testi rimandano alla schiettezza già citata con un singolo Sesso e Tequila che raggiunge, mantenendo le promesse, un picco di emotività primitiva per scorrere poi e lasciare spazio ad altre e ulteriori tracce penetranti che si fanno vere fino a quella ripresa di Dritto al cuore: parte vitale, ricordo di una musica senza età.

Un disco che è anche un puzzle narrativo, un album che si mantiene in forma e calpesta la strada grazie a chitarre roboanti, affilate e di sicuro effetto, segno di un tempo che non c’è più, ma pronto a conquistare i cuori di chi quella musica, in quegli anni, l’ha vissuta in prima persona.

DanyRusso – Reprise (Rd Audio)

Puro Rock che affonda le proprie radici nella storia, assopito a lungo e escogitato di gran carriera per assottigliare il tempo e dare un senso a tutto il mondo intorno, un disco che sa di polvere, ma quella polvere è spazzata via dalla furia completa di contrapposizioni sonore, tra ballate cosmiche in suite elaborate fino a passare senza fronzoli a qualcosa di più vero e più tangibile che si delinea lungo passaggi e fraseggi di istinto e passione, mossi inconsapevolmente dal giorno nuovo che verrà.

E questo primo nuovo disco di Dany  Russo esplode nei colori dei ’70 millimetricamente rasente la perfezione, un compendio, un’opera omnia che abbraccia i suoni dei Beatles alla psichedelia dei Pink Floyd, il soffio corallo degli Oasis in una chitarra acustica che ricorda molto i primi loro lavori fino a penetrare con forza la carne rimasta, l’unica ancora che ci fa tenere in vita.

Reprise è il riprendersi l’abbandonato, è il volere il mondo in cambiamento ancora una volta e questa volta per sempre.

Grande prova questa, che consacra chi lavora dietro ai palchi con tanta umiltà e fatica, ascoltando e ascoltandosi; quale gesto migliore per trasformare il tutto in poesia, quale gesto migliore per far rivivere dentro a 12 canzoni un pezzo di storia di musica che non verrà mai dimenticata?

Gianmaria Simon – L’ennesimo Malecon (VREC)

Travolti e inglobati da una musica che non ha confini, ricca di quelle sfumature che ti fanno sentire vivo e che ti rendono partecipe di un progetto globale che va ben oltre il comune aspetto e il comune pensiero.

Questa di Gianmaria è una musica cosmopolita e democratica, una musica di frontiera che racconta di territori aridi da vivere spassionatamente come una bottiglia di whisky o come un amore dal tragico finale passando per le vette degli alberi e perché no anche sulle montagne.

Parlo di montagne perché forse l’approccio che conquista è il raccontare di una natura che è parte integrante di un nostro essere, di un qualcosa di meraviglioso passando inevitabilmente al rapporto che si crea con una società che vede l’uomo  uniforme che cerca una strada per scardinare ciò che è convenzione.

Gianmaria va oltre questo, prende la sua chitarra e conquista le strade di Francia e Germania, sale sugli alberi e impersonifica un Barone Rampante in evoluzione.

Ecco allora che nella sua prima prova da studio convince perchè il suo background culturale e artistico spazia in modo convincente guardando Capossela da vicino, ma con un occhio tendente anche a tutto ciò che è balcanico e zingaresco, tra incursioni alla Goran Bregovic in un film di Kusturica.

Ecco allora che il teatro canzone si amplifica in circo dove la gente è parte integrante di uno spettacolo che non ha mai fine.

Tanto di cappello, a cilindro in questo caso, per questo cantautore, malinconico e introspettivo quando serve e furente e leggiadro nei  momenti meno raccolti, a creare un cerchio di comunicazione che va ben oltre ciò che noi possiamo vedere.

 

 

Valentina Mattarozzi – Vally doo (Sanlucasound/Edel)

Valentina ha classe  e talento da vendere, una voce inconfondibile nel panorama del blues italiano, forse l’unica in grado di arrivare a certe altezze senza aver paura di cadere giù, senza che la vertigine la porti in un mondo lontano da lei.

Valentina è vita gridata, è ornamento di un qualcosa di più grande e sincero, una sincerità espressa in nove tracce, che dovevano essere delle cover, ma che si sono trasformate in poco tempo in pezzi originali donati da amici musicisti con cui condivide il cammino.

Proveniente da Bologna, Valentina riesce a mescolare in modo superbo uno stile inconfondibile, il pop con il cantautorato degli anni che furono, la pazzia del jazz e la sensualità del blues.

Vally doo, la title track, riesce a convincere  e a racchiudere tutto il suo mondo, tutto il suo bagaglio musicale che si fa fiume, che si fa sole, che si fa vita.

Le canzoni si fanno poi portatrici di un sound accattivante, tra pennellate di costanza e singoli da classifica come Tra i colori dell’amore con la presenza di Vi Gù, la voce di Iskra Menarini in No lies, la chitarra acustica di Bruno Mariani (Lucio Dalla) in Ad ogni costo e ne il Tempo di morire, per concludere con la presenza di Teo Ciavarella in Nebbia.

Ecco allora che le note prendono il sopravvento e la certezza illumina la strada, una cantautrice unica nel panorama della nostra musica leggera, che unisce l’ironia alla caparbietà, la fatica al risultato, il tutto concentrato in pochi attimi di respiro.