Handlogic – Nobodypanic (Woodworm)

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Voci soffuse incastonate su perle di pregevole fattura che ammaliano decostruite le architetture create, architetture bisognose di attenzione. Il nuovo, primo, vero album degli Handlogic, band toscana dal forte carisma emozionale mette in scena un gioco di luci e ombre che si dipana lungo le tracce proposte. Una materializzazione che non è improvvisazione, ma piuttosto capacità critica nell’analizzare confini elettronici filtrati ed esplosi in voci soul concentriche e ricche di atmosfera. Le nove tracce proposte rimandano a qualcosa di contemporaneo, all’incrocio sonoro tra un James Blake, un Bon Iver e i Radiohead. Un insieme che cresce e si ribella che spiazza e dona ambiti di apertura proprio quando meno te lo aspetti. Nobodypanic nasconde al proprio interno pezzi che non passano di certo inosservati come l’apertura affidata a Supernatural, Communicate, Scribbles, A Little life e la spiazzante rivisitazione di Paranoid Android nel finale. La band toscana, in questa personale ricerca, costruisce un lavoro sopraffino, dal forte sapore internazionale. Un lavoro di cesello e di pregio, fatto per stupire, unico e importante.


Manitoba – Divorami (Sugar/Woodworm)

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Un album partito da una vacanza al mare, un disco nato dopo anni di conoscenza e sedimentato nei ricordi e nei vissuti di un ragazzo e di una ragazza, ora diventati grandi e in grado di mantenere parabole discostanti che ripiegano le soluzioni facili e ambiscono, come fucina creativa, a creare costruzioni immacolate di pura fantasia artistica imbrigliata in fasci di luce autorevoli e pieni nella loro forma desueta nel cercare qualcosa che vada al di là del già sentito. Sotto il nome d’arte Manitoba si nascondono Filippo Santini e Giorgia Rossi Monti, un duo composito che sputa addosso alla realtà il proprio stato d’animo e con citazionismo raffinato, maturo e soprattutto con fame sempre viva di musica cercano di trovare un posto d’onore all’interno del panorama della musica italiota. Le canzoni sono un agglomerato di generi, dal cantautorato alla new wave, passando per un indie essenziale nelle sue sfumature per approdare a desideri reconditi di un rock sbarazzino e idealizzato nella mente dei due. Pezzi unici dimostrano la caratura del gruppo già nell’apertura affidata a Dio nei miei Jeans, passando per Divorami, Andiamo fuori, In questo freddo e nel finale con l’onirica Aida & Mellotron. I Manitoba danno vita ad un disco cangiante, fatto per chi non si accontenta e che sa coniugare in modo egregio la realtà indie con quella più poppeggiante del caso trasmettendo una passione unica che si trasforma in fame costante e in un bisogno unico di respirare suoni. 


La Notte – Volevo fare bene (Woodworm)

Una psichedelia inoltrata, con una base di chitarra acustica, serve per creare atmosfere di gran pregio, aggiungici poi un cantato in italiano, mai preponderante, ma di sicuro effetto e ti ritrovi ad ascoltare il nuovo disco dei La Notte, Volevo fare bene, un album di attese e sogni infranti, di amori che si consumano e domande a cui non siamo in grado di dare una risposta. I fiorentini La Notte intascano una prova davvero importante sotto diversi punti di vista, un insieme di canzoni che possono andare a delineare un brain storming di pensieri in evoluzione costringendo l’ascoltatore ad entrare in sensazionali quadri dipinti per immagini che lo stesso Yuri Salihi, voce e autore della band, affresca e compone con grande capacità metrica e comunicativa, coadiuvato da un reparto strumentale davvero generoso e ben calibrato. Nel nuovo dei nostri si può ascoltare un’intimità che avanza e attanaglia, un’introspezione convincente che si evidenzia in pezzi come l’apertura affidata a Per nuovi pescatori, fino alla bellissima title track passando per le malinconie di Ho visto la scena e via via, giù fino al finale lasciato alle bombarde ispirate di Sotto Assedio e Buddha Bar. Sintetizzatori ed elettronica messa al servizio di canzoni ispirate rendono questo disco un punto di maturazione sostanziale per la stessa band, un modo importante per mettere a fuoco un obiettivo, in questo caso centrato nell’omogeneità di questo racconto in musica. 


Vanarin – Overnight (Woodworm)

Vanarin

Pop elettronico in dissolvenza che rende la proposta accattivante e centra a dismisura un ambiente elettronico capace di risultare cangiante nella sua interezza, nella sua capacità di creare ambienti che vanno oltre le mura domestiche affacciandosi ad un’internazionalità di fondo pronta a colpire ad ogni movimento. Il progetto Vanarin estrapola dal cilindro dell’oscurità questo Overnight suadente che ricorda per certi versi gli ambiti d’impiego di band come MGMT, un album che ha del miracoloso e si avvale della presenza e dell’aiuto di Roberta Sammarelli dei Verdena per un insieme di canzoni capaci di concentrare psichedelia astrusa in composizioni di beatlesiana memoria. I bergamaschi intrappolano suoni carichi di vitalità che si contrappongono a momenti di maggiore introspezione e la proposta nella sua complessità tende a stupire ascolto dopo ascolto. Da Holding fino a A question of time i nostri confezionano una prova che è biglietto da visita per una soddisfazione profonda, una soddisfazione immortalata oltre le mode del momento e pronta a garantire un risultato davvero eccezionale. 


-LIVE REPORT- Edda – Graziosa utopia tour – 03/11/17 – CSC San Vito di Leguzzano (VI)

A due passi da casa eppure è da una vita che non ci vado il CSC di San Vito di Leguzzano si propone di essere sempre un passo in più e all’avanguardia su progetti, suoni e musiche catalizzate e provenienti da qualsivoglia angolo del mondo. Un’occasione per tornarci, un’occasione per vedere i cambiamenti e ascoltare in questo angolo sperduto dell’Alto vicentino della musica d’autore essenziale, raffinata e importante.

Edda non ha bisogno di molte presentazioni, dopo sei album con i Ritmo Tribale e quattro da solista è qui per presentarci i pezzi che compongono quella bellezza inarrivabile di Graziosa Utopia, quinto disco in studio del cantautore milanese conosciuto ai più per quel cantato tanto particolare quanto incisivo e capace di rappresentare al meglio un tipo di poetica di certo non ermetica, ma immediata e senza fronzoli che accosta parole non sense con velata introspezione che si fa desiderio di conoscenza, vanificando l’attesa e mettendo al centro, spesso, il tema della sessualità sincera, il lato femminile più vero, senza la paura di dimostrare un senso di appartenenza con il proprio essere che fa grande un artista oltre ogni luogo e soprattutto oltre ogni aspettativa.

Si suona tardi purtroppo, fuori dagli orari previsti e questa è un po’ una pecca che hanno la stragrande maggioranza dei locali di musica live in Italia, se ci fosse la possibilità di ascoltare musica ad orari decenti finito il concerto il pubblico potrebbe decidere se andare o restare vista, come in questo caso, la rivoluzione interna del CSC che permette di sedersi comodamente nei tavolini del baretto per sorseggiare e chiacchierare.

Ad aprire il concerto gli Zagreb, già recensiti anche su queste pagine, con un set davvero tirato ed energico, tra Ministri, FASK e Majakovich per canzoni che scorrono alla velocità della luce e si stampano tra le pareti della stanza e le orecchie degli ascoltatori, bravi davvero.

Con Edda sopra al palco le canzoni scendono a meraviglia, si aprono a dovere rispetto alla versione ufficiale e la potenza sonora è ben calibrata per dare al tutto l’idea di un salotto domestico amplificato eccezionalmente. Gli arrangiamenti, come nel disco, sono un qualcosa di inaspettato e vitale, merito dei musicisti che sapientemente creano architetture sonore che si inerpicano fino a conglobare nelle bizzarrie vocali del nostro, si citano i Radiohead giustamente tra arpeggi chitarristici di In Rainbows per passare ai pianoforti di Kid A, anche se il tutto prende spesso risvolti punk anarchici e liberatori. Vicine sentiamo inoltre le parole del cantautore capace di depositare nell’aria frammenti di emozioni che il pubblico presente sa percepire e portare con sé nel luogo più lontano o vicino che ama. Pezzi come Spaziale, Signora, Zigulì, Il santo e il capriolo d’apertura sono tra i momenti più incisivi di una ricerca artistica difficile da spiegare a parole e sempre intessuta di quella viscerale essenza che fa preziosa ogni singola nota e fa trasparire di onestà i numerosi inframezzi parlati riconducibili ad una passione che si fa narrazione di vita vera.

Edda si conferma come uno dei cantautori più talentuosi e tangibili della nostra penisola, un musicista dotato di una poetica astratta e nel contempo reale, accompagnato da una semplicità disarmante che lo rende grande e unico nella sua interiore timidezza. Sul palco sembra di vedere un personaggio felliniano o ancora meglio un Ligabue pittore che imbraccia una Stratocaster nera pronto a riempire di colori naif le strade che ci inglobano dal di fuori.  All’anagrafe Stefano Rampoldi nel suo essere costantemente alle prese con i propri demoni interiori è riuscito anche questa volta a regalarci in musica stati d’animo specchiati nella vita quotidiana, raccontando ciò che ci ferisce, ciò che ci fa paura, ciò che ci consuma dentro, ma soprattutto ciò che ci rende liberi di amare di nuovo.

 

 

 

Il ballo dell’orso – Secondo me mi piace (Black Candy/Woodworm)

Cantautorato che si perde nei meandri della continuità intascando una prova che ingloba un pensiero immedesimato e quasi menefreghista di un certo tipo di non sense che parla con introspezione di un mondo in decomposizione e sazio di vicende quotidiane, sorgente stessa per una prova che sa di tempo prezioso, una seconda prova  capace di sottolineare la capacità di questa band nel ricreare scatole di ambientazioni sonore che ripagano della fatica e danno il loro meglio grazia a musica di pregevole fattura attorniata da testi erotico – vissuti che ricordano in certi passaggi le morbosità di alcune composizioni di Elio e Le storie tese o degli Skiantos tralasciando la matrice punk del tutto e valorizzando una prova che trova nel cantautorato la sua maggiore introspezione in pezzi come L’ultimo uomo sulla terra, bellissimo spaccato di genialità corrosiva, fino al grande finale lasciato a Tutto quello che mi resta, quasi a voler dar conferma del valore di questa band che sa come non prendersi sul serio e nel contempo conosce il segreto per racchiudere dentro a tutto questo disco un significato che va al di là delle apparenze.

Alessandro Fiori – Plancton (Woodworm/Ibexhouse)

Risultati immagini per alessandro fiori planctonDisco di una forza psichedelica intrinseca capace di scoperchiare le origini del mondo invertendo la rotta verso cui siamo diretti e portandoci in un mondo fatto di creature invertebrate, di fragilità soppesata e lasciata al filo del ricordo ingaggiando una lotta con la propria coscienza che si consuma nell’attimo appena passato e rende al meglio l’idea di disco elettronico, fatto non per piacere al primo impatto, ma piuttosto un album, una manciata di canzoni in grado di scardinare gli ordini precostituiti della canzone d’autore, rivolgendosi al proprio interno attraverso storie che si consumano, che inglobano paura per questo tempo ignoto e incalcolabile, un tempo descritto non come causale temporale, ma piuttosto come azione, momento, attimo di abbandono e ripresa attraverso un comparto musicale allucinogeno e caratterizzato da incrociatori sonori degni del migliore Kid A intersecato alla forza sperimentale di Amnesiac, in un vortice che non segue il filo della ragione, ma anzi, dona la certezza di più e più ascolti per essere assimilato, per trovarci ad un certo punto davanti ad un’opera in grado di raggiungere picchi di elevata emotività in pezzi come Ivo e Maria, tra gli amori di una vita che non c’è più, il terrore della vecchiaia, la paura di morire.

Nobraino – 3460608524 (Woodworm/Warner)

Stile, eleganza e contrappunti sonori che immaginano scene di vita, nella semplicità del momento, in un contesto famigliare che pian piano si apre alla quotidianità e al vivere attraverso una costruzione di testi geniali e nel contempo carichi di solidità e racconti per un disco, quello dei Nobraino, che per certi versi amalgama un suono di fondo e rende più omogenea la proposta rispetto al passato, grazie ad una pulizia dei suoni notevole e una ricerca accentuata del gioco minore/maggiore tra strofa e ritornello dove trova spazio la musicalità della parole stessa, una naturale prosecuzione che invita all’ascolto con leggerezza, ma non troppo, in ossimori che si snocciolano e convergono nel significato stesso del disco, in quella comunicazione che attraverso le parole ricercate si fa portatrice di un ascolto condiviso, di un ascolto che per certi versi rende le tematiche trattate più digeribili, colpendo però la quotidianità ed esaltando una voce che, abbandonate le timbriche di un tempo, si concentra nel rendere unici i riff di una sezione ritmica funk composita e puntuale, accentuata dalla chitarra pulita che non ricerca la perfezione del suono, ma piuttosto una sostanziale presenza portatrice di significati.

3460608524 è un disco che è anche un numero di telefono, vero, reale, un numero a cui i Nobraino risponderanno senza seguire giorni od orari precisi, un album che parte quindi già dal concetto di comunicazione per approdare in modo naturale al vivere di tutti i giorni, attraverso pezzi che in circolo, si aprono con La statua e si chiudono con Tempio di Iside e dove l’importanza della dimensione live è qui accentuata nella continuità della forma-canzone, nel senso reale di fondo che incrocia l’ansia all’energia vitale, il passato con il presente, il lasciarsi andare alla deriva e il lasciarsi prendere, il lasciarsi confortare.

Nubohemien – La nostra piccola guerra quotidiana (Woodworm)

Disco strutturalmente indie pop che si affaccia al mondo dei sintetizzatori e dell’elettronica ben calibrata per racconti di vita e di inquietudine che si fanno sonorità ben congegnata e dove lo stare al mondo è esso stesso esigenza primaria per costruire, giorno dopo giorno, esperienze e improvvisazioni che sono alla base degli approcci presenti e futuri.

La band veneta colpisce a fondo e sfodera un nuovo album fatto di canzoni dotate di una solida impalcatura di base dove i testi si fanno racconto di vita e dove la ricerca di una propria forma canzone, di un proprio stile diventa necessità, tra sonorità  indie rock d’oltremanica e il cantautorato gentile degli ultimi tempi, tra i Thegiornalisti e gli altri romani Bosco, in un vortice emozionale che alle volte si trasforma in pugno allo stomaco, raccontando ciò che ci circonda, la nostra realtà.

Un gruppo che ha intrapreso il proprio cammino, che conosce i propri limiti e le proprie capacità di sperimentazione, una band che traccia una linea netta con il passato, sin dalle prime battute del singolo Tua sorella per arrivare alla Title track composta e quasi perfetta; un album che ascolteremo ancora e una band che è solo agli inizi del proprio processo di rinnovamento ed esplosione. Buon big bang.

 

Giorgio Canali e Rosso Fuoco – Perle per porci (Woodworm)

Suoni sporchi e lacerati che invadono l’anima e aprono ad estratti di linfa vitale che ci appartiene, appartiene a quel substrato di cultura indie di questi tempi malati, piccoli uccelli di carta che grazie ad una forma nuova e tangibile si fanno conoscere ad un pubblico ancora più vasto ed eterogeneo, o almeno si spera, prendendo il volo, prendendo le distanze dalle forme originarie, sfoggiando una livrea del tutto nuova e personale.

Perle per porci è il bisogno di Giorgio Canali e soci di scovare nel baule della nonna gli abiti migliori, quelli portati poco e ancora perfetti, da lasciare senza fiato, è un intento più che preciso di suonare canzoni che vorrebbe avere lui stesso creato e che in questo caso si prestano a cover di rara bellezza e profondità; tutte alquanto diverse, tutte alquanto simili per approccio e costruzione interna, tanto da sembrare un disco appena uscito che rimescola i suoni degli anni ’90 per concentrarli in elettricità sospirata e attesa.

C’è Vasco Brondi, Finardi, De Gregori, Angela Baraldi, Fausto Rossi, i Macromeo di Aiuola, L’Upo, Luc Orient, Plasticost, i francesci Corman & Tuscadu, i Mary June e non dimentichiamo i tanto cari Frigidaire Tango, pionieri della scena new wave italiana degli anni ’80.

Un disco che si fa ascoltare, ricco di prodezze e sentimenti in divenire, capace di muoverti dentro ancora una volta, capace di farti ammirare l’essenza della canzone stessa, con una nuova veste e con nuovi colori, ma intangibile nel cuore di chi l’ha fatta propria.