Stonewood – Stonewood (Autoproduzione)

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Granitico rock d’oltreconfine che imprigiona l’essenza degli anni ’90 passati e rilascia in modo graduale chicche di solidità eterogenea a ricoprire grunge e rock, sudore e tanta bisogno di gridare forme nuove di comunicazione. Gli Stonewood da Roma registrano il loro album in chiave quasi live, tra impressioni che si stagliano in una Seattle bucolica e attenzioni sempre maggiori nei confronti di un rock davvero riuscito che nei momenti di maggiore lucidità sa narrare e sa percepire a fondo il luogo proprio di provenienza in una sorta di appartenenza che non segue le mezze misure. Il risultato è un connubio di Pearl Jam che incontrano gli Alice in chains e i QOTSA a rinfrancare gli animi, a rinfrancare e a far ricordare un’epoca che non esiste più. Otto canzoni veloci ed esplosive da Down from the stars fino ad Ask the dust per un album che non è solo materiale per chi ha nostalgia del passato, ma piuttosto per tutti coloro che amano le potenti emozioni scaturite da una musica che sembra non tramontare mai. 


Telegraph Tehran – Spettri da scacciare (Autoproduzione)

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Urbane grungerie distorte che narrano e raccontano di come gli amori metropolitani si sciolgano al suolo ricomponendo uno stato catatonico di amara disillusione. L’esordio dei Telegraph Tehran è uno spaccato di vita meditabondo che ingloba il pensiero della nuova gioventù che avanza, musica per chi è senza vincoli, ma anche per chi si ritrova così spaesato in un mondo che gli sembra non appartenere più. La peculiarità del gruppo di Bologna sta nel fondere lo shoegaze con un qualcosa di già sentito negli anni ’90 imprimendo alla controcultura odierna uno stato larvale pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Pezzi simbolo come Carmica, Il sentimento del tempo, Tv Show o La tua immagine sono l’esemplificazione di un tutto che accosta sentimenti a potenza, meditazione e introspezione all’energia che si staglia oltre tutto quello che conosciamo in un’omogeneità di fondo che colpisce sicuramente a dismisura anche perché di primo disco sempre si tratta. Maturità quindi centellinata che in Spettri da scacciare trova un avvio davvero interessante, sicuramente da tenere d’occhio e in considerazione per nuove e future aperture sonore.

Three Horns – Jackie (Autoproduzione)

album Jackie EP - Three Horns

Opera prima di impatto scenico che si esprime attraverso i primi piani di un rock che attinge linfa vitale da tutta la produzione degli anni ’90 intascando la lezione del grunge di Seattle per passare ad uno stoner più recente, pur mantenendo di fondo un sostanziale equilibrio tra passato e presente in nome di una musica ricca di citazioni e rimandi al mondo del cinema e carica di quella personalità intrinseca che permette di stabilire con coscienza i punti di forza di questo disco. Certo la formula è già stata sentita più e più volte, ma soprattutto in questo album c’è tanta adrenalina e responsabilità nel raccontare vicende che ci assomigliano che ci riguardano da vicino e predispongono costrutti che prima di tutto sono intenzioni per dare un senso e un valore ad una musica d’insieme che proprio attraverso la coralità  e la godibilità tout court trova dalla propria parte un’arma vincente da sfoderare per permettere all’ascoltatore di entrare in questo mondo onirico e decostruito ad arte.

Acid Muffin – Bloop (Autoproduzione)

Gli Acid Muffin sono tornati, sono tornati di gran carriera e si sente in lontananza, dal suono eterno di un grunge che incorpora speranze e aspettative di una nostalgia che continua a vivere grazie a band che hanno appreso la lezione del tempo e di certo non si fanno sfuggire l’occasione per dare vigore ad una prova che ricerca, nella sua complessità, una via importante che si sussegue lungo i dodici pezzi del power trio in questione, un trio capace di calarsi nella quotidianità e accogliendo nella ruvidezza di un rock post ’90 le inquietudini di una generazione sorpresa ad essere, mai come ora, sempre più lontana, senza appigli e senza continuità in una precarietà dissacrante e dove il desiderio di libertà prende sempre di più il sopravvento. Tra Nirvana e Alice in Chains, passando per i Pearl Jam gli Acid Muffin portano a casa un disco davvero ben suonato e registrato che ci fa guardare con un certo rimpianto, ma anche con una certa speranza, un’epoca d’oro che ha inglobato milioni di giovani nel mondo e che ora rivive grazie anche ad album come questo.

Cromosauri – Noiz! (Ghost Label Record)

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Epopea grunge al limite dell’attuale per un prova che mescola generi e si fa portavoce di una generazione e di un malessere che convive tutt’ora in assordante ripresa e in continua sperimentazione che porta ad abbandonare le strade sicure per immergersi a piè pari in uno stato ipnotico caratterizzato da freschezza e novità, dimenticando la stagnazione e superando l’idea di un post grunge adolescenziale per compiacersi in riferimenti altisonanti e di sicuro impatto emotivo dove i giovani Cromosauri occupano un posto di rilievo nell’intascare una prova che avrebbe bisogno di qualche aggiustatina sul piano vocale e di suoni, ma che nel complesso mira alla sostanza, al fulcro degli anni ’90 tra cadenzati Nirvana, roboanti Smashing Pumkins e introspettivi Pearl Jam; in anfratti crepuscolari i nostri sfoderano gli artigli e ne escono con una prova vitale e generosa, sintomo del tempo che verrà e di tutto ciò che ci siamo lasciati dietro alle spalle forse per sempre.

Dorom Dazed – Shameless (Autoproduzione)

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Distorsioni in semi solitaria che apprendono la lezione degli anni ’90 a ricoprire il grunge di apocalittiche visioni che ben si intersecano ai tempi moderni in un sodalizio, un’unione musicale che in questo piccolo EP di Doren Dazed, progetto solista di Tiziano Piu, altera la forma sostanziale dei pezzi per entrare nella mente contorta abbandonata al buio, convincendo e rendendo la prova di sicuro impatto emotivo con un bel cantato in Seattle style e con procedure stilistiche che amalgamano costruzioni atmosferiche, da It’s not me che sembra l’intro di Tonight tonight degli Smadhing Pumkins, passando per I promise che porta con se gli arpeggi di Lithium dei Nirvana, fino al finale di It will never die senza dimenticare il sogno/incubo di Distorted dream per un album che è un buon punto di partenza per sviluppi coscienti supportati da un ottimo bagaglio tecnico e fantasioso.

Malkovic – Malkovic (Autoproduzione)

Quattro pezzi da camicie di flanella che abbracciano un sostanziale ritorno alle sonorità intrinseche di venti anni fa, rapportando un composizione qualitativamente notevole nei confronti di band come Pixies, Nirvana e gli italiani Verdena, trasformando la polvere di strade infinite in vissuti distorti e ricchi di sostanza, capaci di penetrare a fondo, convincendo e osando, cercando appunto quel qualcosa che non muore e che risiede dentro di noi per poter guardare in alto, per dire di esistere, in una lotta continua con un mondo perso e in cambiamento, in una lotta ambientale, tra le bombe di ogni giorno e il sostanziale declino di una società malata.

I Malkovic, Elia Pastori alla batteria, Fabio Copeta al basso e Giovanni Pedersini alla chitarra e alla voce, ci raccontano tutto questo, parlano con la voce del passato di argomenti che inglobano il futuro, prendendo in questo EP di quattro tracce, il meglio della musica degli anni ’90 per condensarla e ridonarla in tutto il suo splendore accecante.

Ru Fus – In Fabula (GhostLabelRecord)

Bentornato Ru Fus sulle pagine di Indiepercui, bentornato più cattivo che mai e da buon menestrello rock sei tornato dopo aver appreso ancora meglio la lezione del grunge degli anni’90, quelle chitarre distorte e quelle voci modulate a formare complessità che si respira nell’aria, capacità di affondare le radici in un qualcosa che sembrava perduto, ma ogni volta si rinnova in tutto il suo splendore ricordando il tempo passato e donando carica aggressiva e piglio deciso ad una serie di brani che convincono sin dalle prime battute; un suono tagliente, ruvido e ben amalgamato si fonde a raccontare una civiltà in decadenza, palazzi che ricoprono la vegetazione, palazzi in fiamme, anima e corpo donati al progresso, anima e corpo pronti ad esplodere, stoner obliquo e ben congegnato, un’evoluzione di quella musica che usciva dai Soundgarden, dai Mudhoney, bravo Ru Fus, o meglio dire bravo Emiliano Valente, hai saputo ancora una volta consolidare il tuo spirito con ciò che ti circonda, una comunione con il tutto, assorbendo il mondo intorno e rigettandolo, con rabbia, sull’asfalto della strada. Bentornato Ru Fus.

Distacco – 17 lati (Autoproduzione)

Il Distacco è il suono ingravidato di Seattle degli anni ’90, è recuperare dalle macerie un’attesa tanto caparbia quanto sperata, alla ricerca di un’esigenza di riscoprire un genere, cantato rigorosamente in italiano, una passione prima di tutto che si trasforma in sudata energia a ricomporre gli anni andati.

In questo breve, ma sostanzioso EP, ci sono influenze che vanno dai Nirvana per passare ai Pearl Jam fino al rincorrere una musica che approda direttamente a lidi nostrani, Verdena su tutti, quelli di Solo un grande sasso però, che lasciavano sprazzi di psichedelia cosmica pronta ad ammaliare e a colpire profondamente, in una ricercata attesa che si fa carico di egregie similitudini con i nostri varesini; quest’ultimi portatori di un suono carico e sofferto, decisamente svincolato dalle produzioni odierne e ricco di quel calore che sa di adolescenza.

Una bella prova d’esordio, che lascia intravedere una ricerca futura, magari verso un’elettronica più dichiarata e una convinzione che avrà nella maturità il suo punto d’appoggio principale; non ci resta che aspettare il disco completo e ne sono certo avremmo ancora di che parlare.

Ninfea – Superstite (VREC)

Grunge direttamente dalla Puglia che non cerca compromessi con il presente, ma si fa portavoce di un suono proveniente direttamente dagli anni ’90, intersecando le fantasmagoriche imprese dei primi Kuntz di Catartica e Il Vile per poi risalire la china e impreziosendo i costrutti della prova con un rock che convince a dismisura nei parallelismi d’oltreoceano con la scena di Seattle; Taranto ridipinta per l’occasione, un’occasione di riscatto che in primis porta nel cuore questa grande città.

Superstite parla del mondo che non vogliamo, ma che dobbiamo abitare, racconta del sostanziale cambiamento che ci accomuna e noi ingabbiati in trappole umane ci ritroviamo a fare i conti con noi stessi, tra una terra sempre più povera e i mezzi di comunicazione che mettono, giorno dopo giorno, a repentaglio la nostra esistenza in un navigare tumultuoso che non trova una banchina per l’attracco, non trova un senso nei bit quotidiani.

Ecco allora l’esigenza di fare un salto nel passato, ritornare alle origini, le nostre origini e per una volta almeno concedere a questo power trio la possibilità di parlare una lingua diversa, la lingua del futuro, perché questo presente un giorno non sarà più e noi smetteremo di esserne spettatori, ma superstiti protagonisti di una nuova società.