Mountains of the sun – Astro Blues (Autoproduzione)

album Astro Blues - Mountains Of The Sun

Suoni blues contaminati con la musica degli anni ’70 per un biglietto da visita che si espande attorno ad un caldo fuoco e brucia a guardare le stelle e a soffermarsi sui suoni pop e psichedelici che abbandonano la novità per riappropriarsi di un passato mellifluo e sostanzioso, in questo caso conciso, ma ricco di rimandi e di intersezioni con i grandi che hanno fatto la storia della musica. Dentro ad Astro Blues ci stanno costellazioni di suoni basilari: chitarre acustiche, armoniche, elettriche di fondo e basso e batteria fustellati direttamente dalla strumentazione di band come Beatles o i più recenti Wilco. Quattro pezzi che si fanno intersezione necessaria per comprendere la musica del gruppo di Varese, una musica che ha il sapore delle radici e anche di un qualcosa di moderno, più deciso, per suoni che chiedono e si lasciano contaminare, suoni che ingabbiano e rilasciano aria pura in un bosco d’estate, quaggiù a guardar le stelle così lontane, ma nel contempo mai così vicine.

Bug – O’Brien Shape (Autoproduzione)

Suoni che escono da una scatola oscura e si infilano attraverso un cordone che lega il passato al presente, sperimentando sonorità che ammaliano per completezza, ma anche per stratificazione ricordando per certi versi i suoni degli anni ’70 capaci di intrecciarsi a quelli più moderni degli anni ’90 tra il prog, il nu metal, il funk e il grunge in sodalizi ammirevoli capaci di dare vita ad una sorta di concept album sullo sgretolarsi dell’uomo moderno. I Bug sono una band di Varese, una gruppo che suona assieme da poco tempo, ma che in questo caso dimostra, attraverso il primo EP, una sorta di unione mistica capace di ripercorrere esigenze che si stagliano oltre i pre-concetti in nome di un qualcosa di strutturato e che colpisce per passione d’intenti.  Sei sono le tracce e sei, molto probabilmente, sarebbero le volte necessarie per riascoltare l’intera produzione per carpirne il progetto nella sua interezza. Le canzoni non entrano subito in testa e questo badate, è un bene, questi pezzi sono sprazzi di ingegno che ottengono lo sperato proprio quando pensavamo di aver perso tutte le speranze in un cerchio continuo atto ad implementare un bisogno di suonare che va oltre l’album in sé, ma si fa primo capitolo essenziale, spero, di una lunga storia.

Distacco – 17 lati (Autoproduzione)

Il Distacco è il suono ingravidato di Seattle degli anni ’90, è recuperare dalle macerie un’attesa tanto caparbia quanto sperata, alla ricerca di un’esigenza di riscoprire un genere, cantato rigorosamente in italiano, una passione prima di tutto che si trasforma in sudata energia a ricomporre gli anni andati.

In questo breve, ma sostanzioso EP, ci sono influenze che vanno dai Nirvana per passare ai Pearl Jam fino al rincorrere una musica che approda direttamente a lidi nostrani, Verdena su tutti, quelli di Solo un grande sasso però, che lasciavano sprazzi di psichedelia cosmica pronta ad ammaliare e a colpire profondamente, in una ricercata attesa che si fa carico di egregie similitudini con i nostri varesini; quest’ultimi portatori di un suono carico e sofferto, decisamente svincolato dalle produzioni odierne e ricco di quel calore che sa di adolescenza.

Una bella prova d’esordio, che lascia intravedere una ricerca futura, magari verso un’elettronica più dichiarata e una convinzione che avrà nella maturità il suo punto d’appoggio principale; non ci resta che aspettare il disco completo e ne sono certo avremmo ancora di che parlare.

Galleria Margò – Giro di vite (Rocketman Records)

Un album sicuramente per il nostro tempo, questo del quartetto “Galleria Margò”, che si muove geograficamente tra Milano, BolGalleria-Margò-Fuori-Tuttoogna e Varese.

Un disco di debutto fatto i ironia e cantautorato che si mescola al folk e al rock passando delicatamente alla forma-canzone più espressiva e ricca di sfumature e similitudini con il grande passato.

Una prova che rimane personalissima, soprattutto in pezzi come “Giro di vite” e “Paga tu” a sancire doppi sensi che polemizzano in modo discreto sulla situazione attuale della vita.

Una voce asciutta e carica di fendenti quindi, che coadiuvata da una base ritmica sempre precisa, regala a chi ascolta il gusto di sentirsi in un veloce giro di giostra che non ha mai fine.

In questo disco si assaporano i colori di una passeggiata nel verde interrotta dalla spazzatura scaricata lungo i fiumi, si perchè la “Galleria Margò” sa cosa vuole colpire e lo fa in modo elegante e disincantato.

In poco tempo ci accorgiamo di essere spettatori quotidiani di un mondo che non è nostro.