Acid Muffin – Bloop (Autoproduzione)

Gli Acid Muffin sono tornati, sono tornati di gran carriera e si sente in lontananza, dal suono eterno di un grunge che incorpora speranze e aspettative di una nostalgia che continua a vivere grazie a band che hanno appreso la lezione del tempo e di certo non si fanno sfuggire l’occasione per dare vigore ad una prova che ricerca, nella sua complessità, una via importante che si sussegue lungo i dodici pezzi del power trio in questione, un trio capace di calarsi nella quotidianità e accogliendo nella ruvidezza di un rock post ’90 le inquietudini di una generazione sorpresa ad essere, mai come ora, sempre più lontana, senza appigli e senza continuità in una precarietà dissacrante e dove il desiderio di libertà prende sempre di più il sopravvento. Tra Nirvana e Alice in Chains, passando per i Pearl Jam gli Acid Muffin portano a casa un disco davvero ben suonato e registrato che ci fa guardare con un certo rimpianto, ma anche con una certa speranza, un’epoca d’oro che ha inglobato milioni di giovani nel mondo e che ora rivive grazie anche ad album come questo.

Acid Muffin – Nameless (Autoproduzione)

Energia allo stato puro dove pietre targate ’90 sono scagliate per frantumarsi in numerose e sempre nuove parti che riescono a ricondurre il tutto ad un qualcosa di nuovo, ad un qualcosa di autentico.

Questo Ep trasuda dolore, quel dolore vero che porta alla continua ricerca di noi stessi e all’ineguagliabile strada che conduce verso l’infinito.

Musica di alto spessore dove i muri di chitarra grunge si intensificano con fraseggi più rock suonato e oscuro, a riempire vuoti incolmabili e attenti al colore più vero e reale.

I tre romani regalano un esordio con il botto che parte con sonorità alla Soundgarden nell’apertura “Around the Hole” per toccare nelle successive ibridi di follia eccellente con echi di Stone Temple Pilots e Alice in chains.

“Bones” ricorda il Vedder di Yield mentre il finale affidato a “Notthing inside” non delude, creando atmosfere rarefatte complici di un ottimo appeal vocale e strumentale che porta ad una fusione unica i vari strumenti.

Un disco convincente e quasi inaspettato, maturo e coinvolgente, che ci fa tornare indietro di un paio di decenni facendoci sognare sui palchi della Seattle romana.