Sycamore Age – Perfect Laughter (Santeria/Woodworm/Audioglobe)

Inclassificabili è forse la parola che gira nella mia testa ascoltando il secondo album di una delle band più interessanti del panorama italiano odierno i Sycamore Age.

Cantano in inglese e sanno molto di internazionalità, anche perché il loro suono è una continua sperimentazione tra folk psichedelico e lisergico, contaminato da cori che ricordano il celebrato bianco album dei quattro di Liverpool per un approccio al tutto condito da eleganza di sintetizzatori che vogliono costruire, in un incedere melodrammatico, un’opera dai contorni segmentati, una ricongiunzione con una divinità astratta, il metafisico punto d’incontro con il me stesso nell’aldilà.

Il disco suona però concreto e i nostri ne escono i vincitori anche perché la commistione di generi provoca nell’ascoltatore un senso di stordimento iniziale che già al secondo ascolto riesce a inquadrarsi per essere maggiormente definito.

Non che questo sia facile, ma la ricerca porta il gruppo a varcare territori cari alla sperimentazione sonora tra MGMT e Pink Floyd, delicatezze alla Nick Drake passando per velate introspezioni Reznoriane a tentare di definire un concetto che implode tranquillamente in un Hail to the Thief più intimo e meditato.

Un album che sa di perfezione, altisonante e imperioso, colpisce e affonda, annienta l’inutile e si concentra sul raggiungimento di un qualcosa che non è percepibile, su tutte la meraviglia eterea Drizzling Sand.

Un gruppo che regala sorprese a non finire e stupisce per la qualità musicale proposta, un ricreare l’ambiente circostante tra acustiche sintetizzate e folk legnoso, tra pianoforti che sanno di boschi e batterie cadenzate, un ricreare perpetuo di un concetto arcano, ma così vicino a Noi, puro ed essenziale, fresco e dirompente.

 

Divano – Rimedi per ulcere in bocca, piaghe nelle gambe, rogna, magrezza, stitichezza e malinconia (Cabezon Records)

Cazzo dopo aver letto questo titolo ho pensato: questo progetto è adatto a tutti, un disco che si fa ascoltare e propenso a delineare una forma canzone sghemba, distratta, ma dannatamente convincente che stupisce e lascia da parte interi stereotipi per cercare una propria via.

Questo tipo si chiama Divano e non scrive canzoni d’appartamento, ma i suoi pezzi suonano come una spiaggia che si fa ascoltare, silenziata dalle conchiglie che trasportano il vento del mare, un’orecchiabilità che non esiste, ma che si concede, ammalia e confonde.

Paragoni sembrano inutili, c’è però il primo Di Martino, il primo Nicolò Carnesi, con appeal però più immediato e diretto, tra citazioni disilluse e un mondo nascosto, l’adolescenza degli Smashing Pumpkins e quel continuo tentativo di essere come allora anche se il tempo cambia, anche se il tempo trasforma, evolve e ci lascia alle spalle cose brutte e belle della vita.

Divano è un cantautore atipico/anormale, sognante e lucido di quella lucidità fatidica e rimbombante, mai gridata, ma all’occorrenza graffiante.

Ah un ultima cosa Divano è Francesco Pizzinelli, per più di dieci anni Jocelyn Pulsar, che in questo disco si mette a nudo, ricominciando da zero, in qualche modo come quando vai ad abitare in una casa e devi per forza metterci dentro qualcosa quadri, libri, pensieri e forse anche un bel Divano su cui poterli vivere.