Alkene – Etere (Moscow)

Etere è il secondo album della band triestina che riesce a dare un proseguimento naturale al proprio percorso musicale innovativo , in nome della ricerca che si fonde in modo quasi crepuscolare al pop e al rock, quest’ultimi non intesi come fenomeni commerciali, ma piuttosto come forme mutevoli che riempiono i vuoti della nostra solitudine, concentrando gli aspetti del comporre in una scrittura criptica e lacerante che passa dall’ultimo Thom Yorke di The Eraser fino a James Blake, toccando le desertificazioni dei Wilco fino a raggiungere le profondità dei Verdena di Requiem, per un disco che è esso stesso un flusso continuo di pensieri e musicalità affacciati su di un cornicione che guarda il buio marino da nuove e invitanti prospettive.

Un album sorprendente e stratificato, la figura del dodecaedro poi è invito per viaggi interstellari a comporre densamente la materia di una sostanza immateriale, una vibrante commistione di genialità elettroniche che prepotentemente si fanno sentire già in Crisalide fino a Inatteso, passando per pezzi memorabili come Lisbona o, a mio avviso, la più riuscita dell’album , Verbofobia, pezzo in grado di travalicare i confini che conosciamo per condurci verso una nuova casa, pezzo summa del disco che racchiude tutte le caratteristiche di questa band in continua evoluzione; senza la paura di un domani, senza la paura di rimanere soli.

Lorenzo Gileno – Kairos (Autoproduzione)

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Uscire allo scoperto e far valere la propria capacità nel raccontare storie non è da tutti, anzi è caratteristica solo di pochi, tra questi troviamo il cantautore Lorenzo Gileno che attraverso un percorso fatto di storie personali, di vissuti e di racconti del mondo che lo circonda, riesce in qualche modo a dare un senso introspettivo, anche se non dichiarato, alle vicende che lo coinvolgono, confezionando una prova ben suonata ed emozionale, in grado di attraversare il buon cantautorato della nostra penisola, soffermandosi sui particolari ed esigendo una comunione d’intenti che va ben oltre il luogo comune.

Dodici pezzi che si dipanano tra un Niccolò Fabi più intimo e l’elettronica appena accennata della bellissima voce di Alex Baroni, per un’ incisiva prova che mira alla rinascita e al sussurro, alla ricerca di un luogo dove vivere partendo dalla canzone La mia città fino a scorrere in attimi acustici ben dosati, alla fine, raggiungendo quell’Ouroboros che non poteva che essere la chiusura perfetta di un cerchio in primis interiore.

Lorenzo Gileno con questo disco mostra tutta la sua maturità, fuori da schemi e dalla moda nazionale del momento, dando un senso sopraffino ad una prova poetica che abbraccia territori lontani e ispirati come non mai.

Rideouts – Heart & Soul (Autoproduzione)

Nuovo disco per la decennale carriera della band triestina che giunta ad un nuovo punto della propria percorrenza alza il tiro dando vita ad un lavoro che mescola una moltitudine sonora di ballate importanti che acquistano il loro splendore direttamente dagli anni ’60 passando al pop, fino al garage rock più sporco e ruvido capace di graffiare e far saltare al primo ascolto.

Tanto cuore e tanta anima dicono i nostri, io aggiungerei anche tanta bravura nel sapere incastonare i numerosi tasselli che caratterizzano questo album, dandogli una forma sempre nuova e cangiante, fresca anche se in qualche modo con un occhio che guarda al passato.

In queste undici canzoni si ascoltano echi di Hendrix, dei Beatles e dei Led Zeppelin senza tralasciare l’importanza che i nostri hanno saputo guadagnarsi oltre oceano, dove i loro pezzi, in passato, sono stati scelti tra le proposte di importanti tv americane.

Un disco proiettato quindi verso il futuro e nello stesso tempo verso il passato, un album elegante e ricercato, capace di essere diretto e raffinato, pronto a conquistare qualche palato esigente, laggiù oltre il mare che conosciamo.

 

Limes – Slowflash (Autoproduzione)

I triestini Limes ci sanno fare e lo dimostrano nel loro secondo album, dopo l’esordio fortunato di Essential che li ha visti condividere il palco con artisti del calibro di Motel Connection e Mojomatics, i nostri confezionano un ottimo prodotto chiamato Slowflash.

Un mix, il loro, di brit pop che fonde e confonde Blur e Coldplay passando inevitabilmente per l’oscurità di una musica che ha le proprie radici negli anni ’80  dotata di quel carico di sfumature tipico della scena new wave con Cure su tutti a sbaragliare la strada.

E’ un disco introspettivo questo che proietta i tre a compiere l’impresa di creare un cerchio concentrico dove far partire un labirinto mentale che si appropria di suoni semplici, ma convincenti e dove la batteria portante si condensa dando forme ad un continuo cambio di espressione che si evince dalla sostanziale  necessità di dare quel tocco in più all’usuale già sentito.

Ecco allora che il tutto si apre in dilatazione con Plume passando velocemente alle sincope di Hunting Party, si apre la via per la ricercatezza sonora in Pressure Variation e cercando alberi sovrapposti in Wood, azzeccata poi la strumentale Noise’s Room che porta pian piano alla coda di Plume II.

Sperimentatori triestini crescono e questo album ne è la dimostrazione, un connubio di strumentale e cantato che ben si amalgama con il concetto del disco.

I confini ora non sono più segnati, non si possono paragonare a nessuno questi Limes, finalmente hanno trovato il cammino.