Andrea Cassetta – Melodie impolverate (Autoproduzione)

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Rock cantautorale che riscopre l’odore del vintage vissuto partendo da presupposti che sono legati indissolubilmente alla vita di tutti i giorni e si contendono spazi quotidiani tra un essere e un avere che sembra non avere fine. Il disco di Andrea Cassetta è un riscoprire al nostro interno il bisogno preponderante di costruire qualcosa di interessante partendo dalle immagini che la realtà ci propone, senza intermediari o mezze misure, ma piuttosto attingendo al calderone della nostra anima le parti mancanti e necessarie per la riuscita di un progetto ambizioso, ma nel contempo reale. Andrea Cassetta riesce nell’intento di dare alla sobrietà un’altra faccia, una schiettezza che si sposa bene con la melodia, con le parole e con i testi mai banali e di certo, in parte ricercati che fanno dell’introspezione univoca un punto di contatto con qualcosa di sincero da afferrare. Da Sirena a Grida Mute passando per le bellissime Daphne, Fuliggine, La prossima estate il nostro intesse su tappetti di vita le trame per la riuscita di un disco che racconta, filo dopo filo, la nostra esistenza. 


Novalisi – Quando mi chiedono dove sei (Indiemood)

Evoluzione sonora per la band trevigiana che al terzo disco dopo alcuni anni di silenzio circonda l’etere di arpeggi e deflagrazioni, di conturbanti attese e di parole e frasi che meritano ancora la giusta attenzione. Di gran spolvero quindi i nostri propongono cinque pezzi tirati che sanno parlare senza fronzoli al cuore dando internazionalità ad una proposta latente e che sta ritrovando una propria via grazie al suono di un rock che strizza l’occhio al post e al pop in un miscuglio di anfratti e desideri nel comunicare ancora qualcosa di importante. Gli intrecci chitarristici si inseguono fino a creare spazi che affondano nel nulla quotidiano, affondano così tanto da entrare in profondità ed emozionare senza cercare facili escamotage, ma piuttosto contemplando quell’idea di fragilità umana che nell’attimo appena trascorso scoppia tonante in aperture spaziali ricercate degne di una band che sa davvero ancora suonare e comunicare un proprio pensiero, un proprio stato di libertà.

Audiosfera – Ogni cosa al suo posto (Believe)

Album d’esordio per gli Audiosfera, canzoni che si inerpicano in un cantato poetico alla Marlene Kuntz per esplodere in potenza controllata attraverso le energie di un’elettrica che si dilata e cosparge al suolo pezzi di luce inebriante. Gli Audiosfera nella loro semplicità testuale riescono nell’intento di dare voce ad uno spaccato quotidiano dal sapore malinconico e sfuggevole grazie all’attenzione per gli arrangiamenti e grazie anche ad uso poetico delle parole che in qualche modo apre alla possibilità di far respirare concetti costruendo piccole architetture che ben si comprendono in pezzi come Ogni Cosa, Zoe, Ago nel cuore o Tempesta fino a conglobare in quel finale lasciato a La vita che vorrei capace di consumare come fiamma accesa quello che resta di noi. Ogni cosa al suo posto è un atto d’amore verso ciò che ci circonda, una ricerca di un appiglio, lassù tra gli apici del mondo da dove poter guardare con occhi nuovi una realtà che a volte comprime e a volte ci cancella, un insieme di canzoni pop curate che non passano di certo inosservate.

Radiocut – Radiocut (Resisto)

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La consuetudine è lasciata in disparte in questa piccola prova registrata dai Radiocut, dentro a questa musica possiamo trovare il meglio dell’indie pop rock internazionale dell’ultimo periodo, condensato e stratificato per l’occasione, centrando l’obiettivo attraverso quattro pezzi di pura goduria radiofonica con piglio indie che non si fa disdegnare, anzi dona al tutto un senso di sperimentazione e parallelismi che escono dagli schemi e abbagliano. Ascoltare i Radiocut è un po’ come mescolare i primi Muse di Showbiz con gli Ours di Jimmy Gnecco intrappolati dalla voce di un Tom Mcrae in ottima forma, una voce comunicante ed espressiva capace di penetrare la carne e scivolare come acqua in Autunno. Il singolo Vajolet Rose apre il il disco, ma non sono da meno gli altri pezzi, su tutti My green moon. Un EP di stampo emozionale che convince e si fa riascoltare aspettando un full legth che valutando le premesse, non tradirà di certo le aspettative future.

Gospel – Gospel (Costello’s Records)

gospel

Rock di costruzione importante e di sicuro impatto che mescola la melodia al cantautorato in blues con chitarre acide e lisergiche che affondano le proprie radici nel garage di Jack White a comprimere gli spazi di realtà con i sapori d’altri tempi, ma riportando il tutto ad una modernità d’insieme che si accosta facilmente con le potenzialità espressive di band italiane come i Public, ad innovare un territorio con testi nostrani impreziositi da una formula internazionale dal forte spessore musicale. I Gospel sanno il fatto loro e ce lo fanno capire attraverso un indie rock davvero importante, dove le parole suono acquisiscono necessità vitale nel delineare quadri d’insieme che si stagliano all’orizzonte in maniera quasi comprimaria alla luce che emanano le canzoni stesse in un divenire che tesse le trame per soddisfazioni future e riesce ad imbrigliare nel cielo un rock mai scontato sottolineato dall’importanza dei testi, una scrittura che si fa veicolo emozionale, dalla bellissima Ogni piccola guerra fino a La mattina di Natale i nostri confezionano un disco che parla di umanità e di piccole cose mantenendo nel tempo i sogni inespressi.

Argo – Argo (Alka Record Label)

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Argo si racconta e approda su di un altro pianeta ad intrecciare arpeggi cosmici a testi che parlano di un malinconico vivere interiore compresso in questa piccola prova, in questo EP che ha le potenzialità, già dai primi fraseggi, di condividere il meglio del rock anni novanta a cavallo con il duemila in procedure non lineari e puntualmente mantenute grazie a quattro pezzi di narrazione sostenuta che sanno variare e si aprono pian piano ad un singolo importante e trainante Polvere di logica, passando per Brucerò, Inutili Ideali e la title track, il tutto attraverso il nichilismo moderno, il tutto assaporando quella sete di conoscenza che campeggia nell’aria e innesta procedure che si fanno concretezza nella ricerca di un porto sicuro su cui approdare e riposare, lontano, lassù, vicino alle stelle, lontano da questa esistenza.

Prospettive di gioia sulla luna – Tutto accade per caso/Niente accade per caso (Edel)

L'immagine può contenere: montagna, spazio all'aperto, natura e sMS

Qui c’è la geometria musicale che scende in campo, suoni calcolati a dovere e pura e semplice materia che si fa arte in note e costringe l’ascoltatore ad entrare in un mondo quasi oscuro dove le parole si sciolgono al sole e incontrano il buio pesto della notte, sono scaraventate al suolo e intrecciano sinfonia di prog rock, pop e indie rock rocambolesco e poetico in grado di compiere peripezie che si stagliano in concetti raffinati che ricercano la schiuma del mare e disintegrano i substrati d’ambiente in lirismi trascendentali in ordine sparso a ricomporre aspettative e speranze all’interno di tracce nascoste, pure e reali, all’interno di mondi lontanissimi e nel contempo vicini a noi che parlano di processi di maturazione come si faceva negli anni’90, ultimo periodo coscienzioso per un rock in grado di comunicare oltre il muro del non sense dei tempi odierni, le Prospettive di gioia sulla luna confezionano un album bellissimo, studiato a tavolino a dovere e così pieno di ricerca stilistica che pensare ad un album così oggi sa di pura sostanza in rinascita.

Edless – Belotus (Autoproduzione)

Disco labintico che incalza i suoni stratificati dei Radiohead di Kid A e Amnesiac per portarci in porti relativamente più sicuri come quelli di Hail to the thief ricucendo un tessuto che sa anche un po’ di anni ’90, ha il sapore del già sentito in passato, ma nel contempo così elettrificato e condito che la formula risulta certamente moderna e ricercata in una condivisione di intenti che abbatte le forme canoniche di indie rock band per approdare ad un vellutato crocevia visuale che si immola alla quintessenza dell’arte stessa, tra forme costruite ad arte in un immaginario ampliato che non è solo musica, ma anche immagine, visual art che accompagnerà il movimento dei brani che ben si innestano in questo piccolo EP di quattro pezzi, un piccolo disco uscito alla fine della primavera, ma carico di quella sostanziale introspezione che trova il suo apice nella bellissima e conturbante Just Once, rincorrendo i giorni, rincorrendo un’immagine preponderante davanti ad un mondo privo di forza mobile.

Fujima – Fujima (Hopetone Records)

Ep denso di interventi musicali, capace di scavare nelle viscere e dimenarsi tra chitarre in arpeggi e rifacimenti collettivi che attanagliano, attraverso un ritmo ben serrato e concettuale la musica di fine anni ’80, inizio, ’90 quel rock contaminato e underground senza pregiudizi e in grado di convincere attraverso forme di sperimentazioni oltre i confini del pop più nudo e crudo, assicurando bellezza variopinta, ma nel contempo legata ad un filo rosso che rende omogenee le tracce proposte in un sostanziale abbandono della forma per valorizzare sostanza e costruzioni sonore impacchettate a dovere, dalla prima Spaceship Girl passando con voracità nella riuscita Goodtimes fino al finale di Outside the cold storage per una manciata di brani di senso compiuto che operano oltre gli orizzonti sonori, tra dinamiche convincenti, indie rock non clamoroso, ma vissuto e tanta, tanta capacità di amalgamare la costanza con le esplosioni sonore che in questo album si alternano come mare cullato da tempesta costante.

AZIMUT – Resistenza (New Model Label)

Ermetici quanto basta per trasformare i testi e le parole uscite da questo disco in un mare di considerazioni sulla vita che ci circonda, una vita che ci rende schiavi del momento e dei legami, incapaci di contraddire un futuro subito e mai ricercato.

Con questo primo lavoro il gruppo di Novara si trascina in territori cari all’indie rock dei giorni che ci ingoiano, Editors su tutti, trasportando chitarre in delay in concentrazioni cosmiche di sicuro impatto e grande presenza scenica, dove il suono dell’insieme supera di gran lunga le sonorità della componente singola, in un rock spruzzato dal pop suadente e da subito ammirevole.

Cinque tracce oscure e interpretabili che lasciano all’ascoltatore la possibilità di scelta, la possibilità di scegliere da che parte stare e che cosa scegliere soprattutto, infatti il disco non si pone come assunto piovuto dal cielo, ma piuttosto si forma grazie ad  un’ energia che crea legami soggettivi e ci lascia abbagliati da tanta maturità musicale che si esprime lungo i pezzi proposti da Sala d’attesa fino a Resistenza, passando per quell’Abbraccio vago che è anche singolo impattante e generoso.

Bella prova questa per la band capitanata da Enrico Ferrari, la dinamicità si sposa con il tutto creando un vortice di passioni che rende reale anche ciò che può essere immaginato.