Bebawinigi – Bebawinigi (StratoDischi Notlabel)

Bebawinigi è cantante, polistrumentista, attrice, ideatrice di colonne sonore per film e soprattutto è pura stratificazione di stati d’animo che si intersecano con l’apparire in un’opalescenza che tende al cristallino, segno dei tempi di cui facciamo parte, segno di un mondo che è in evoluzione e questo è il puro tentativo di intrappolare dentro ad un disco una sensazione di trasformazione che ci accomuna e ci rende simili con il nostro essere ideale.

Queste tracce sono sperimentazioni narrative di intersezioni sonore che si dipanano tra i chiaro scuri della new wave, passando per l’industrial e lo stoner, raggiungendo quote psichedeliche fino ad abbracciare i territori del punk jazz, del blue e del folk in una sorta di anfratto da scovare e comprendere, in una sorta di allegoria della vita che è dipinta con tratti non precisi, ma che lasciano spazio all’immaginazione e al pensiero libero, quasi futurista; una ruota che si chiama vita e noi scesi nel baratro per essere richiamati a diversi destini.

C’è molta ribellione in tutto questo, un uscire dagli schemi che porta l’ascoltatore a scoprire nuovi ed emozionanti quadri sonori, dove il buio vince e dove la cupezza dell’animo è sinonimo di resurrezione.

Samuela Schilirò – C’è sempre un motivo (Waterbirds)

Il nuovo disco della cantautrice Samuela Schilirò racchiude tutto il suo significato a partire dal titolo; speranze per un domani ed esigenza intrinseca di dare una spiegazione a quello che ci accade nel tentativo di ascoltare in modo più approfondito noi stessi, lo stato personale che si fonde con i segnali che comprendiamo da lontano e una continua ricerca apprezzabile di un costrutto sempre più vicino e personale al nostro io.

A livello musicale c’è il meglio che la canzone d’autore italiana ci può offrire e questo cammino, dopo tre anni di assenza dalle scene, è lo sviluppo di una coscienza che si basa sul ricordo e la narrazione, partire da un punto focale che ci caratterizza per proiettarci in un futuro prossimo sostenibile e guidato per l’occasione dai consigli di Sheikh Burhanuddin Herrman musicista e scrittore, maestro sufi nonché guida spirituale di Samuela.

L’album è prodotto da Nica Midulla con la collaborazione di Denis Marino già con Carmen Consoli e Nada per citarne alcuni, di Riccardo Parravicini per il missaggio e di Giovanni Versari per il matering; un disco sull’affrontare la vita a testa alta, un album che sottolinea l’importanza dell’amore come motore universale di ogni cosa.

Banda Rulli Frulli – Cinquanta Urlanti (Autoproduzione)

Progetto di musica d’insieme avviato dalla scuola di musica Fondazione Carlo e Guglielmo Andreoli, che riunisce 70 ragazzi dagli 8 a i 30 anni diversi per capacità e abilità, ma accomunati dalla passione per la musica e per quel filo sottile che collega le nostre vite e ci rende più autentici grazie alla cooperazione e alla valorizzazione nel fare qualcosa di sentito in gruppo, condividendo il futuro che avanza e raccontandosi in nove pezzi, quattro originali e cinque featuring di artisti indie italiani tra cui spicca nelle collaborazioni Luca Mai degli Zu, Stefano Pilia dei Massimo Volume e Afterhours, il cantautore Bob Corn, il trombettista Enrico Pasini e il testo di A un passo dalla luna dei TARM qui stravolta in versione corale.

Quel che ne esce è un insieme di musica fuori da ogni schema precostituito, il materiale di recupero prende vita: grondaie, cestelli delle asciugatrici, bidoni, griglie di pentole e molti altri strumenti inusuali  per l’occasione vanno a costituire un puzzle di sogni e speranze per questo equipaggio fatto di eterogeneità, eterogeneità che è sinonimo di vita, quella vita che si scopre nella particolarità, il ritmo che è luce e vince sul buio, la bellezza nell’essere diversi in un mare di persone tutte uguali.

 

WorldService Project – For King & Country (RareNoise Records)

Per JazzWise questo disco è: “Come  assistere a Downton Abbey, ma governata da anarchici”, ovviamente non stiamo parlando di serie televisive, ma del nuovo album del pazzo scatenato Dave Morecroft che per l’occasione trasforma il jazz punk oltraggioso dei WSP in qualcosa di più complesso che abbraccia una tecnica ancora più arguta oserei definirla e sicuramente più intellettuale del solito, tra rimandi al rock progressivo, al rumorismo, fino a toccare quella psichedelia nervosa che si contraddistingue in pezzi come Fuming Duck o Go down  Ho’seas a reinterpretare la scena nel tentativo di dare un senso alla parola originalità che ai nostri giorni sembra mancare di quel concetto essenziale e vitale che la caratterizza.

Animali da palcoscenico i nostri non si stancano di perseguire un sogno, tra tour in Cina, Stati Uniti e continue presenze nei festival Europei di maggiore rilievo; uno stile musicale che cerca di essere inconfondibile, una prova che ha il sapore di nuovo, una prova affamata di verità, dove il non vero è bandito e dove per certi versi la purezza nelle intenzioni è il motore che trascina la scena.

New Zion Trio – Sunshine Seas (RareNoiseRecords)

Appunti sparsi per terra, gettati al vento in solitaria, fiori ancora freschi dentro al vaso sopra al comò e raggi di sole impazziti coprono la finestra che guarda il mare, là oltre l’orizzonte che conosciamo; una qualche spiaggia brasiliana che si dipinge in un quadro dai colori sgargianti, un gioco di luci a dominare la scena e poi il silenzio di quel continuo reflusso di maree che porta sulla spiaggia amore verso il domani.

New Zion Trio si evolve in sonorità, il fenomeno di New York Jamie Saft non smette di stupire e assieme a Bred Jones al basso acustico ed elettrico e Craig Santiago alla batteria e alle percussioni sforna una prova di tutto rispetto verso generi apparentemente diversi, tra sperimentazione e nuove forme di linguaggio, tra reggae e dub fino alla chillout calibrata a dovere, reinventando il tutto, dando un senso maggiore all’indecifrabile ordinarietà e conquistando l’ascoltatore con un’eterogeneità di movimenti sincronizzati.

Il trio lievita per dimensioni con Vanessa Saft alla voce in Sunshine seas e con il percussionista e cantante brasiliano Cyro Baptista già collaboratore con Santana, David Byrne, Brian Eno tanto per citarni alcuni, un trio che diventa per l’occasione un quintetto, fatto di sogni futuri e un amore eterno per la musica vera, quella sudata, quella ragionata, quella che si respira in ogni dove e non smette di stupire.

Meneguinness – A chi non dorme (Autoproduzione)

Un disco che sa di pioggia, di acqua a bagnare i prati verdi e rigogliosi, di un verde quasi accecante, il sole che arriva dalla terra e quel sole che ci porta a ballare, che ci porta a far ballare il nostro corpo preso dalla frenesia non del tutto poetica del vivere quotidiano, il nostro corpo che ad un certo punto della nostra esistenza ha bisogno di ben altro per continuare a vivere.

Ecco allora i Meneguinness, band brianzola, che dopo quattro anni e più di 200 date in Italia decide che è il momento di sigillare il secondo album ufficiale e primo di inediti, condito da una dose di combat folk impreziosito dalla musica d’autore che di certo fa ricordare in primis band come MCR e Casa del vento a sancire definitivamente quel connubio con il luogo da dove veniamo, le nostre origini e le nostre radici.

Il senso di casa e terra dove abitare però abbraccia una vastità sempre più grande di significati ed ecco come il senso di barriera viene sradicato grazie a pezzi efficaci e mai scontati che raccontano attimi di vita vissuta veramente, tra il grigio fumo di Bergamo e quel finire dedicato a tutti i giovani dei nostri giorni, fragili si, ma portatori di speranza, a cancellare finalmente quei confini che ci vedono sempre più prigionieri e sempre meno cittadini del mondo.