Lenula – Niente di più semplice (Beta Produzioni)

I Lenula ci vanno giù pesante con uno sporco blues tinteggiato dal rock che proviene direttamente dai bassifondi sporchi dell’anima, dove il nero come colore predominate, lascia accenni di un cuore bianco in sospensione cosmica, quel battere della gran cassa sincopato che ammalia e costringe l’ascoltatore a lasciarsi trasportare sulla via opposta a quella di casa, là lungo il fiume, dove tutto ha inizio, in una dimora di legno abbandonata allo scorrere dei giorni.

Nuovo disco quindi per la band di Brindisi, che dopo l’esordio Profumi d’epoca, si concentra confezionando una prova che richiama ancora il passato ma in modo perentorio, in modo diverso, lo fa attraverso undici pezzi che sono la summa del proprio pensiero, canzoni sporcate da un’attitudine dal tiro deciso, ma allo stesso tempo romantico, undici brani che si ascoltano nel susseguirsi dei pensieri che inondando la testa, ricevendo il giusto quantitativo di sangue per poter sperare ancora.

Irrequieti e allo stesso tempo disincantati, sognanti e carichi di desideri reconditi, i nostri fanno scivolare pezzi – manifesto del loro intendere la musica da Senza stanze per nascondersi fino a quella magnifica Sogni di sempre, che non è altro che volontà sperata nell’essere diversi, partendo da noi, partendo dal principio e cioè dalla nostra anima dannata.

Lorenzo Gileno – Kairos (Autoproduzione)

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Uscire allo scoperto e far valere la propria capacità nel raccontare storie non è da tutti, anzi è caratteristica solo di pochi, tra questi troviamo il cantautore Lorenzo Gileno che attraverso un percorso fatto di storie personali, di vissuti e di racconti del mondo che lo circonda, riesce in qualche modo a dare un senso introspettivo, anche se non dichiarato, alle vicende che lo coinvolgono, confezionando una prova ben suonata ed emozionale, in grado di attraversare il buon cantautorato della nostra penisola, soffermandosi sui particolari ed esigendo una comunione d’intenti che va ben oltre il luogo comune.

Dodici pezzi che si dipanano tra un Niccolò Fabi più intimo e l’elettronica appena accennata della bellissima voce di Alex Baroni, per un’ incisiva prova che mira alla rinascita e al sussurro, alla ricerca di un luogo dove vivere partendo dalla canzone La mia città fino a scorrere in attimi acustici ben dosati, alla fine, raggiungendo quell’Ouroboros che non poteva che essere la chiusura perfetta di un cerchio in primis interiore.

Lorenzo Gileno con questo disco mostra tutta la sua maturità, fuori da schemi e dalla moda nazionale del momento, dando un senso sopraffino ad una prova poetica che abbraccia territori lontani e ispirati come non mai.

The Lemon Squeezers – Pop hurt (Autoproduzione)

Un miscuglio eterogeno di musica e colori, capaci di infondere un’esigenza floreale di creare situazioni oltre ogni aspettativa e oltre ogni forma precostituita di già sentito, un pop dalle sonorità alquanto moderne e alquanto considerevoli che si lascia coinvolgere dalle speranze di un incrocio con il soul, l’electro e lo swing per un suono che accende la pista e riesce a dare energia considerevole ad un progetto mutevole e in continuo cambiamento.

Il raccontare di personaggi surreali porta l’ascoltatore ad entrare in un mondo parallelo e incantato che è scosso dall’elettricità del momento, tra Caravan Palace e Moloko e in un saliscendi emozionale che si rispecchia nei pezzi proposti, dal magnifico singolo Reload fino all’oscurità di The line per passare, nel finale, alla savana cittadina di Monkey per un disco che attira l’attenzione sin dalle prime note e prosegue nella ricerca ininterrotta di una propria originale strada.

Canzoni che incantano e intrappolano, canzoni che non stanno di certo ad osservare il mondo in continua evoluzione, ma si fanno esse stessi evoluzione per un bisogno, sempre reale ed essenziale, di rinnovamento e possibilità, da ascoltare ad alto volume, da gridare a squarciagola, per essere veicoli contagiosi di buon’umore da infondere e regalare.

Empatee du Weiss – Old tricks for Young dogs (Autoproduzione)

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Sperimentazione sonora che non ha mai fine tendendo a ricostruire degnamente una colonna sonora d’avanguardia e ricercata nell’unire i fiati ska all’improvvisazione jazz, addolcendo l’atmosfera con melodie a tratti malinconiche, a tratti sostenute e divincolate dalla realtà per un sogno psichedelico ad occhi aperti che permette l’ascoltatore di entrare in mondi spruzzati di rarefazione e soprattutto di note stilistiche che sorprendono per l’acutezza nell’accostare i paradigmi e i costrutti musicali in levare inglobati dal reggae, dallo ska fino ad arrivare al funk, passando per lo swing e l’hip hop.

Un disco d’avanguardia sonora che colpisce per capacità compositiva e lettura musicale di strati intellegibili di vita che non guardano al passato, ma si proiettano in un futuro carico di speranze e di attese, un futuro migliore in cui scavare nella ricerca della propria casa, l’idea di svecchiamento costante e l’essenza della materia che ci porta a tendere verso qualcosa che sa di fresco e nuovo.

Un album che prima di tutto è una dedica a Omar Saad, che ha rifiutato la leva militare israeliana, un disco che nasconde una velata protesta e impegno soprattutto sociale, oggi più che mai, oggi più di allora.

Tra collaborazioni illustri, Luigi de Gaspari degli Africa Unite e The Bluebeaters, Matilda De Angelis dei Rumba de Bodas e Max Collini degli Offlaga e dell’ultimo progetto Spartiti, i nostri sanno raccontare, attraverso i suoni, un istante che  di sgretola e si ricompone, abbandonando il vecchio e dando un senso maggiore alla luce che avanza.

Matrioska – Occhi Mossi (Maninalto!)

Festeggiare venti anni di attività non è da tutti, soprattutto se parliamo del contesto nazionale, soprattutto se parliamo di un’Italia così eterogenea come non mai, sia nel mondo musicale che in tutte le arti possibili e conosciute.

Sarà evoluzione, sarà un movimento che ci spinge ad essere sempre rinnovabili certo che averne di gruppi come i Matrioska che dopo questo enorme lasso di tempo, sanno ancora raccontare con energia e in modo diretto i contesti della vita che li inglobano e li fanno diventare essi stessi materie in grado di restituire al punk e al rock spruzzato di ska, la giusta dignità, in un modo del tutto naturale, da chi, in questo lavoro, ne ha maturato l’esperienza.

Occhi mossi è ciò che non ha forma, ma è anche e soprattutto una realtà che si nasconde, che ha passato troppo tempo al buio e che ora inesorabile compie il proprio destino, in una fame di ricerca diretta che commuove fino al midollo e dà speranza in un mondo dove la speranza non esiste.

Il singolo Luca è respiro ad occhi aperti, quell’andare e venire sospeso, in un’eterna gioventù che ritorna, essere nati nel 1996 e sentirsi ancora vivi e reali, così freschi per un compleanno che non è un arrivo, ma spero eterna partenza.

Siciliano sono – Mundo malo (Autoproduzione)

Contaminazioni sonore che fanno del destino della nostra società un punto da cui partire, un punto di sospensione che ci incanala verso mondi lontani e ci rendi forti per affrontare le sfide del tempo che verranno; una musica che trasporta e disorienta, ci fa apprezzare le culture lontane e ci rende partecipi costantemente di qualcosa di più grande e finalmente condiviso.

I Siciliano sono nel loro secondo disco Mundo malo, sembrano racchiudere al proprio interno una musica che parla al mondo in una Torre di Babele ricostruita e pronta a denunciare i mali della società, l’oppressione del più ricco nei confronti del più povero, l’eterna lotta tra chi conosce la fame e chi l’ha solo vista per televisione: undici tracce che parlano della società moderna in un mondo sottomesso dal vivere nell’ingordigia di pochi.

Ecco allora che l’occasione di riscatto arriva a ritmo di patchanka, di ska, di rumba e di reggae con un tocco di musica balcanica ad insaporire una ricetta certamente riuscita e di sicuro impatto sonoro, che si esprime al meglio in pezzi come La terra, il sole e il mare, Balla, Raccomandazioni e la scintillante di speranza title track.

Un album che analizza il nostro tempo, lo fa in modo che questo raccontarsi sia godibile innanzitutto e ballabile, un concentrato di energia che si fa canzone per le generazioni future, pronte a sperare in un quadro futuro di rispetto e condivisione tra i popoli.

OH!EH? – Non di Amore (JAP)

Lontani da qualsivoglia forma di pop riconoscibile e lontani anche dal parlare di cose scontate, di cose banali, in un flusso continuo di introspezione nel ricercare una forma canzone diversa, che si immedesima nel particolare, nel senso dovuto del momento, nell’immortalare la nuova creatura di Emanuele Principi, conosciuto con i Lilith, che attraverso questo album, si riappropria del tempo passato per consegnare un disco di una meraviglia che tende all’arte, un album disegnato assieme ai compagni d’avventura Giacomo Troianiello, Andrea Mattiucci, Daniele Caprini e Francesco Miceli.

Ci sono sonorità tipiche degli anni ’90 certo, ma c’è la anche la consapevolezza di essere in grado di mantenere un costante equilibrio tra suonato e raccontato, attraverso un disco che raccoglie il quotidiano e lo fa proprio in racconti che sanno di vissuto, in racconti che vedono il gruppo in uno stato di grazia, tra parentesi indie rock d’oltreoceano amalgamate per l’occasione e abbigliate in un contesto italiano che di certo non sfigura, ma risulta essere naturale prosecuzione del percorso delle cose.

Questo non è pop!D’altro canto spero tanto che sentiremo ancora parlare di loro, di questa band cha ha saputo rinunciare all’estetica per fare dell’estetica stessa un punto a proprio favore, una punto quasi irraggiungibile.

-FUMETTO- Andrea Ferraris – Churubusco (Coconino Press/Fandango)

Titolo: Churubusco

Autori: Andrea Ferraris

Casa Editrice: Coconino Press/Fandango

Caratteristiche: Brossura, 17×24, 200 pp.

Prezzo: 18,50€

ISBN: 9788876182839

Churubusco è il sacrificio nella desolazione, è la capacità di resistere oltre ogni aspettativa e oltre ogni forma di pensiero associato, un ingranaggio complesso fatto di istinti difficili da comprendere, ma insiti nell’uomo fin dalla notte dei tempi; gli uomini coraggiosi esistono e sono raccontati e immortalati nelle vicende di questa storia, che prima di tutto è reale accadimento nel tempo, in un luogo dove l’aridità del suolo forma gocce in un oceano di calore, quella stessa aridità che segna un confine netto e invalicabile tra passato e futuro in un territorio di guerra, morte, carestia e fame: un ideale non ha prezzo e solo chi rimane in vita può raccontarne la verità.

Siamo nel 1847 e gli Stati Uniti sono in procinto di invadere il Messico, per riuscire nell’impresa arruolano nell’esercito immigrati irlandesi, polacchi, italiani, spagnoli e tedeschi, carne da macello, con la promessa della cittadinanza e di un pezzo di terra dove vivere. Solo un battaglione, il San Patrizio, decide di disertare combattendo per una giusta causa al fianco degli ultimi e di chi senza speranza, dona se stesso per un obiettivo comune, proprio quel battaglione il San Patrizio, e solo quello, conosce il prezzo da pagare per conquistare la libertà.

Le vicende, acutamente narrate e accomunate da un immaginario visivo splendidamente sovrapposto, si abbandonano in campi lunghi cinematografici e una dissolvenza vaporosa ingloba i tratti marcati e netti di Andrea Ferraris che si fanno veicolo per le vicende narrate e scuotono il lettore davanti ad una così grande innovazione personale carica di un equilibrio predominante tra chiaro e scuro che solo nel ricordo del passato si avvicenda ad una tonalità seppia, dal sapore anacronistico, quel colore che caratterizzerà il protagonista Rizzo, giovane siciliano, nella scelta più difficile della sua vita, nella scelta che avrà il valore della vita stessa.

La storia si muove attraverso i volti scavati degli yankee in cerca di Churubusco tra un Munch solitario e la natura intorno, vibranti corpi destati dal suono dei fucili, in contorsioni grafiche dal forte impatto visivo e sociale; qui le immagini prendono vita e i dialoghi, posti spesso in secondo piano, si affacciano alla realtà tra flashback, vissuti e puro verismo esistenziale.

Dopo l’eccezionale valorizzazione dei Chieftains, folk band irlandese che con il chitarrista e compositore Ry Cooder ha saputo raccontare queste vicende attraverso la musica, ora a distanza di anni, troviamo nell’italiano Andrea Ferraris un valore aggiunto per un’opera narrativa poetica e idealista, di quelle che vorremo leggere ogni tanto, per ricordarci che in fin dei conti i nostri sogni sono gli stessi di altre persone che vivono lontane da noi, quei sogni che non conoscono il valore del tempo, ma solo e soltanto il significato della parola casa.

Catalpa – Il suono lontano (Autoproduzione)

Domandarsi nel nostro incedere quotidiano dove si trova la purezza, quella racchiusa negli intenti, quella che non chiede, ma fa, solo per creare qualcosa di bello, di emozionante, che riappacifica il cuore e tende una mano verso coloro che magari non sanno dove andare; una musica lontana che si fa racconto, diario di vita sperimentale, coccolato da suoni acustici e da un’elettronica che non prevale, ma si fa contorno di un quadro che giorno dopo giorno tentiamo di costruire, un collage eterno che possiamo chiamare vita.

I Catalpa sono Axel Pablo Lombardi e Giuseppe Feminò, portatori di un suono puro e allo stesso tempo ricercato, lontani da qualsivoglia forma di mercificazione e in cerca di un percorso che si fa vivo nel racconto, quel racconto che si esprime al meglio nel delineare a tratti Firenze e la Versilia, luoghi dell’infanzia, luoghi di tutti i giorni; il tutto condito da un’espressività che ricorda i grandi cantautori del passato, De Gregori su tutti.

Tredici canzoni che si riappropriano di un terreno incolto, dipingendo un albero di Giuda ammaliante e rimanendo accecati dal suo splendore fino a Sorgane, tra la periferia, da dove tutto è partito, là dove la speranza può ancora rinascere.

Tra il cemento di ogni giorno, vedere l’erba spontanea crescere, ci fa capire che ci può essere ancora la vita, oltra ogni nostra aspettativa di progresso.

Verderame – Roma tossica (Exit Record)

Verderame è prima di tutto amore per gli anni ’90 e per quelle sonorità che hanno contribuito a fare la storia della musica per come la conosciamo da oggi all’eternità, il loro è un rock deciso, tagliente e a tratti ruvido, con testi mai banali e ricchi di quella carica diretta e in parte introspettiva, che si fa racconto, che sa raccontare di vicoli bui da dove poter uscire, di speranze da raggiungere e fughe verso mondi lontani.

I riferimenti si fanno accentuati, ma delicati, nella bellissima Seattle ’96 che ricorda gli Smashing Pumpkins di Mellon Collie, per poi ritornare a farsi esplosione in G8 o in pezzi come Isola accerchiata non solo dal mare, ma anche da riff potenti e incisivi, capaci di penetrare e dare sostanza ad una forma canzone che prende piede pian piano e si insinua dentro di noi, come i primi album dei Verdena, ad accorpare materia cosmica, pronti per una nuova esplosione.

Dieci pezzi che hanno come portavoce Fiore Etilico, una canzone sull’insicurezza e sul nostro bisogno di dare un senso diverso e magari ricercato alla nostra forma esistenziale, un album che vede il ritorno della band romana dopo cinque lunghi anni, un ritorno che, ne sono certo, lascerà il segno.