Marco Lucio – Come non mai (Latlantide)

 

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Album diretto e senza fronzoli che arriva al nocciolo evitando testi criptici o fantascientifici, ma che si adopera nel raccontare una realtà immediata che si domanda nella quotidianità e nelle vicende di ogni giorno, lasciando da parte gli orpelli leziosi, confezionando una prova di puro rock maturo con l’occhio tendente ai vecchi Litfiba, a Grignani e su tutti al Vasco nazionale, per pezzi che hanno il sapore del già sentito, ma non troppo, in un vortice di sensazioni che stabiliscono il confine non sempre lineare tra originalità e stereotipo preso in prestito.

Marco Lucio, con i musicisti di sempre, si destreggia bene nel raccontare le proprie abitudini e le proprie aspirazioni, il rocker vicentino si dimena in emblematici vocalizzi per una voce che è veicolo e trasporto, gancio di traino per una sessione ritmica impegnata nell’accompagnare il nostro in pezzi di vita da Sei andata via fino a Mia età: allusioni costanti all’amore, ai sentimenti e a qualcosa che non c’è più.

Il disco della maturazione artistica per Marco, nella speranza che possa proseguire questo cammino in musica che rispecchia una percezione delle cose che si fa reale nel tempo e mattone importante per la propria crescita musicale.

Alkene – Etere (Moscow)

Etere è il secondo album della band triestina che riesce a dare un proseguimento naturale al proprio percorso musicale innovativo , in nome della ricerca che si fonde in modo quasi crepuscolare al pop e al rock, quest’ultimi non intesi come fenomeni commerciali, ma piuttosto come forme mutevoli che riempiono i vuoti della nostra solitudine, concentrando gli aspetti del comporre in una scrittura criptica e lacerante che passa dall’ultimo Thom Yorke di The Eraser fino a James Blake, toccando le desertificazioni dei Wilco fino a raggiungere le profondità dei Verdena di Requiem, per un disco che è esso stesso un flusso continuo di pensieri e musicalità affacciati su di un cornicione che guarda il buio marino da nuove e invitanti prospettive.

Un album sorprendente e stratificato, la figura del dodecaedro poi è invito per viaggi interstellari a comporre densamente la materia di una sostanza immateriale, una vibrante commistione di genialità elettroniche che prepotentemente si fanno sentire già in Crisalide fino a Inatteso, passando per pezzi memorabili come Lisbona o, a mio avviso, la più riuscita dell’album , Verbofobia, pezzo in grado di travalicare i confini che conosciamo per condurci verso una nuova casa, pezzo summa del disco che racchiude tutte le caratteristiche di questa band in continua evoluzione; senza la paura di un domani, senza la paura di rimanere soli.

Overlogic – From Where ? (Autoproduzione)

Entrare nello spazio profondo per tentare di dare un senso tangibile a quello che ci sta intorno, alla grande presenza nera che sovrasta e domina, non concede e come reale anfratto che si apre alla nostra coscienza si chiede e si interroga da dove discende una bellezza elettronica che si fa racconto di una musica che non ha bisogno di essere compresa, ma piuttosto porta con sé il bisogno di dover trascinare.

Loro sono gli Overlogic e grazie a questo EP ci trasportano in un suono 2.1 del tutto moderno e carico di un freddo cosmico che si apre a lacerazioni costanti e ci discosta brevemente dalla nostra routine quotidiana, delineando un paesaggio fatto di linee emozionali che conducono ad un trip illogico, fatto dai cinque sensi che ci accompagnano a scoprire paesaggi bucolici di galassie sconfinate.

5 pezzi che sono la summa del loro pensiero, da Memories. Remains fino a Early. Morning. Horizons., pezzi che ci fanno entrare in altri mondi paralleli, lontani dalle solite proposte musicali, per un suono che prima di piacere deve assolutamente essere toccato.

Mezzo Preti – Mezzo Preti (Phonogram Music)

Folk che spazza via ogni incertezza per entrare di diritto nelle produzioni genuine e immediate, capaci di conquistare soltanto attraverso il suono, soltanto attraverso una sospirata attesa che si trasforma in pulizia del superfluo e concede spazi di improvvisazione acustici che ben si delineano con un’elettrica macerata e distorta pronta a trovare il riff giusto in ogni momento, una musica che incontra il blues del delta e i sonagli in divenire che riescono a battere il tempo grazie ad una grancassa incisiva e costante per un duo che ha fatto e che farà, della potenza live, il proprio marchio di fabbrica.

Loro sono i Mezzo Preti, nome preso in prestito da un quartiere di Montesilvano Marina, paese di provenienza di Annaluisa Giansante che con il produttore e musicista Francesco Adessi decide di creare un cantautorato che si immedesima nel pop e allo stesso tempo si discosta dalle produzioni odierne per capacità intrinseca di essere proiettato in una modernità che si fa racconto di storie e sensazioni, reali e vissute, così vicine ad una contemporaneità da subirne tutta la sua pesante presenza.

Quattro pezzi soltanto che delineano grandemente la filosofia e il pensiero di questo duo milanese, quattro canzoni che si chiudono con Forma e sostanza dei CSI quasi a voler ribadire i costrutti con i quali i nostri sono stati creati e intendono proferire il verbo; un assaggio di presente per il futuro che verrà.