Leon – Gli eroi muoiono (Meat Beat)

Gli eroi muoiono e ce lo spiega Leon nel suo nuovo disco, il cantautore valdostano confeziona una prova di sperimentazione innanzitutto in quanto il pop è mescolato con il cantautorato, il rock e l’elettronica e a farla da padrone sono testi generazionali in cui gran parte dei giovani ci si possono rispecchiare, tra lavoro precario e incertezza sul futuro, senza basi d’appoggio su cui sperare e senza la minima convinzione di poter far valere un proprio pensiero nella miriade di voci che fanno parte del nostro vivere.

Un disco esistenzialista che divaga, per ben quattro pezzi, nella lingua francese, parole presenti, pesanti e possenti, ci sono le poesie di Baudelaire e il colore nero prende il sopravvento dopo giorni spesi a chiedersi chi siamo; del domani non vi è certezza e noi protagonisti insicuri non abbiamo nemmeno più gli strumenti per affrontare ciò che ci troviamo davanti.

Intimo nella propria esistenza, Leon, ci regala una prova dei nostri tempi, un bel disco formato da dieci pezzi, una solitudine mescolata all’attesa e quella luce filtrata ad illuminare l’altra faccia di noi, l’altra faccia della luna, l’altra faccia che non dobbiamo far cadere nell’oscurità eterna.

Ninfea – Superstite (VREC)

Grunge direttamente dalla Puglia che non cerca compromessi con il presente, ma si fa portavoce di un suono proveniente direttamente dagli anni ’90, intersecando le fantasmagoriche imprese dei primi Kuntz di Catartica e Il Vile per poi risalire la china e impreziosendo i costrutti della prova con un rock che convince a dismisura nei parallelismi d’oltreoceano con la scena di Seattle; Taranto ridipinta per l’occasione, un’occasione di riscatto che in primis porta nel cuore questa grande città.

Superstite parla del mondo che non vogliamo, ma che dobbiamo abitare, racconta del sostanziale cambiamento che ci accomuna e noi ingabbiati in trappole umane ci ritroviamo a fare i conti con noi stessi, tra una terra sempre più povera e i mezzi di comunicazione che mettono, giorno dopo giorno, a repentaglio la nostra esistenza in un navigare tumultuoso che non trova una banchina per l’attracco, non trova un senso nei bit quotidiani.

Ecco allora l’esigenza di fare un salto nel passato, ritornare alle origini, le nostre origini e per una volta almeno concedere a questo power trio la possibilità di parlare una lingua diversa, la lingua del futuro, perché questo presente un giorno non sarà più e noi smetteremo di esserne spettatori, ma superstiti protagonisti di una nuova società.

Down to ground – The world we live in (VREC)

Il mondo in cui viviamo è un mondo strano, carico di nuvolosità variabile e simmetrie geometriche pronte ad immortalare una natura composta e composita, come fosse un quadro di Magritte o De Chirico, un mondo svuotato dal superfluo per evidenziare solo l’essenzialità che risiede dentro di noi.

Down to ground è un progetto italo/neozelandese cha ha un forte respiro internazionale, un forte impatto emotivo e una rapida ascesa verso i confini del pop rock moderno, mescolando sapientemente l’elettronica alle chitarre ben disegnate e capaci di creare fluttuazioni misteriose e cariche di pathos che accompagnano questa prova dal sapore di orecchiabilità mai banale e intrisa di significati.

Dodici canzoni che incrociano One Republic, Kings o Leon e gli ultimi Coldplay in un sali scendi emozionale che non ci permette di rimanere incollati al terreno; non dimentichiamoci poi del remix del singolo Belong affidato alle sapienti ed esperti mani di Sun-J degli Asian Dub Foundation a rimarcare ancora una volta l’importanza del progetto, l’essenzialità di una musica che non ha confini e accomuna migliaia di ascoltatori in tutto il mondo.

Un disco diretto, che si fa ascoltare più volte, a sottolineare l’importanza di questa band, che appena al secondo lavoro dimostra una solida base di fondo per sperare e creare degli orizzonti sempre nuovi e carichi di quell’energia vitale che ci rende così, veri per come siamo.

Tutti Frutti + 1 – Full degno di un re (VREC)

Tutti Frutti + 1 non è un progetto parallelo di Gunther, re del pop dance nordico, ma un gruppo di giovani del bresciano formato da Francesco Faglia alla chitarra e alla voce, Alberto Faglia alla chitarra e voce, Marco Faglia tastiera e voce e Nicolò Picchioni alla batteria, rispettivamente due fratelli, un cugino e un amico, che decidono come la stragrande maggioranza di tutte le band, di unire le proprie capacità per creare qualcosa che resti a coloro che verranno senza dimenticare di godere, nell’immediato, del proprio attimo di gloria.

La musica che i nostri compongono, è una musica divertente, una party band d’intrattenimento, glam e anni ’50, neutralizzando l’introspezione per fare dell’allegria in rock il proprio cavallo di battaglia, pensiamo su tutte il singolo Scendi giù fino alla memorabile cover di A little less conversation portata alla ribalta da un Elvis Presley d’altri tempi.

Quattro pezzi soltanto, ma brani carichi di adrenalina e veridicità, quattro pezzi che formano l’asso nascosto nella manica, da usare in ogni occasione.

Kelevra – Cronache per poveri amanti (VREC)

Amori andati a male, amori lontani, sfiducia sull’oggi e sfiducia sul domani, intrisi di quella poesia neo natale che imprigiona la semplicità del gesto, dell’atto, in una confezione effimera di gioia, dove il tempo racchiude i segreti per un mondo forse diverso.

Al secondo album i Kelevra fanno centro, intascando una prova ricca di coraggio e di un’immediatezza strabiliante, che sa mescolare diligentemente un pop definito amaro al cantautorato più moderno,un disco tutto tranne che consolatorio dal titolo Cronache per poveri amanti.

I nostri raccontano una vita fatta a pezzi e l’essenzialità nel tentare di ricucirla passo dopo passo, mattone dopo mattone, oltre la tempesta e ispirandosi al fu fiorentino Pratolini che condivideva con loro la terra natia.

Disincanti che accarezzano l’erba e ti fanno comprendere l’ineluttabilità del tutto, con un forte gradiente e una forte percentuale di amarezza che fa gridare, che ti fa tentar di essere un uomo diverso, migliore.

Non ha gravità è il singolo di riferimento, con la presenza di Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti a farne da padre putativo, un disco che anche senza questo pezzo ha tutte le carte in regola e il pieno diritto per sfondare le consuetudini del momento, trovandosi un piccolo posto nel mondo dove poter vivere.