-FUMETTO- Andrea Ferraris – Churubusco (Coconino Press/Fandango)

Titolo: Churubusco

Autori: Andrea Ferraris

Casa Editrice: Coconino Press/Fandango

Caratteristiche: Brossura, 17×24, 200 pp.

Prezzo: 18,50€

ISBN: 9788876182839

Churubusco è il sacrificio nella desolazione, è la capacità di resistere oltre ogni aspettativa e oltre ogni forma di pensiero associato, un ingranaggio complesso fatto di istinti difficili da comprendere, ma insiti nell’uomo fin dalla notte dei tempi; gli uomini coraggiosi esistono e sono raccontati e immortalati nelle vicende di questa storia, che prima di tutto è reale accadimento nel tempo, in un luogo dove l’aridità del suolo forma gocce in un oceano di calore, quella stessa aridità che segna un confine netto e invalicabile tra passato e futuro in un territorio di guerra, morte, carestia e fame: un ideale non ha prezzo e solo chi rimane in vita può raccontarne la verità.

Siamo nel 1847 e gli Stati Uniti sono in procinto di invadere il Messico, per riuscire nell’impresa arruolano nell’esercito immigrati irlandesi, polacchi, italiani, spagnoli e tedeschi, carne da macello, con la promessa della cittadinanza e di un pezzo di terra dove vivere. Solo un battaglione, il San Patrizio, decide di disertare combattendo per una giusta causa al fianco degli ultimi e di chi senza speranza, dona se stesso per un obiettivo comune, proprio quel battaglione il San Patrizio, e solo quello, conosce il prezzo da pagare per conquistare la libertà.

Le vicende, acutamente narrate e accomunate da un immaginario visivo splendidamente sovrapposto, si abbandonano in campi lunghi cinematografici e una dissolvenza vaporosa ingloba i tratti marcati e netti di Andrea Ferraris che si fanno veicolo per le vicende narrate e scuotono il lettore davanti ad una così grande innovazione personale carica di un equilibrio predominante tra chiaro e scuro che solo nel ricordo del passato si avvicenda ad una tonalità seppia, dal sapore anacronistico, quel colore che caratterizzerà il protagonista Rizzo, giovane siciliano, nella scelta più difficile della sua vita, nella scelta che avrà il valore della vita stessa.

La storia si muove attraverso i volti scavati degli yankee in cerca di Churubusco tra un Munch solitario e la natura intorno, vibranti corpi destati dal suono dei fucili, in contorsioni grafiche dal forte impatto visivo e sociale; qui le immagini prendono vita e i dialoghi, posti spesso in secondo piano, si affacciano alla realtà tra flashback, vissuti e puro verismo esistenziale.

Dopo l’eccezionale valorizzazione dei Chieftains, folk band irlandese che con il chitarrista e compositore Ry Cooder ha saputo raccontare queste vicende attraverso la musica, ora a distanza di anni, troviamo nell’italiano Andrea Ferraris un valore aggiunto per un’opera narrativa poetica e idealista, di quelle che vorremo leggere ogni tanto, per ricordarci che in fin dei conti i nostri sogni sono gli stessi di altre persone che vivono lontane da noi, quei sogni che non conoscono il valore del tempo, ma solo e soltanto il significato della parola casa.

Catalpa – Il suono lontano (Autoproduzione)

Domandarsi nel nostro incedere quotidiano dove si trova la purezza, quella racchiusa negli intenti, quella che non chiede, ma fa, solo per creare qualcosa di bello, di emozionante, che riappacifica il cuore e tende una mano verso coloro che magari non sanno dove andare; una musica lontana che si fa racconto, diario di vita sperimentale, coccolato da suoni acustici e da un’elettronica che non prevale, ma si fa contorno di un quadro che giorno dopo giorno tentiamo di costruire, un collage eterno che possiamo chiamare vita.

I Catalpa sono Axel Pablo Lombardi e Giuseppe Feminò, portatori di un suono puro e allo stesso tempo ricercato, lontani da qualsivoglia forma di mercificazione e in cerca di un percorso che si fa vivo nel racconto, quel racconto che si esprime al meglio nel delineare a tratti Firenze e la Versilia, luoghi dell’infanzia, luoghi di tutti i giorni; il tutto condito da un’espressività che ricorda i grandi cantautori del passato, De Gregori su tutti.

Tredici canzoni che si riappropriano di un terreno incolto, dipingendo un albero di Giuda ammaliante e rimanendo accecati dal suo splendore fino a Sorgane, tra la periferia, da dove tutto è partito, là dove la speranza può ancora rinascere.

Tra il cemento di ogni giorno, vedere l’erba spontanea crescere, ci fa capire che ci può essere ancora la vita, oltra ogni nostra aspettativa di progresso.

Verderame – Roma tossica (Exit Record)

Verderame è prima di tutto amore per gli anni ’90 e per quelle sonorità che hanno contribuito a fare la storia della musica per come la conosciamo da oggi all’eternità, il loro è un rock deciso, tagliente e a tratti ruvido, con testi mai banali e ricchi di quella carica diretta e in parte introspettiva, che si fa racconto, che sa raccontare di vicoli bui da dove poter uscire, di speranze da raggiungere e fughe verso mondi lontani.

I riferimenti si fanno accentuati, ma delicati, nella bellissima Seattle ’96 che ricorda gli Smashing Pumpkins di Mellon Collie, per poi ritornare a farsi esplosione in G8 o in pezzi come Isola accerchiata non solo dal mare, ma anche da riff potenti e incisivi, capaci di penetrare e dare sostanza ad una forma canzone che prende piede pian piano e si insinua dentro di noi, come i primi album dei Verdena, ad accorpare materia cosmica, pronti per una nuova esplosione.

Dieci pezzi che hanno come portavoce Fiore Etilico, una canzone sull’insicurezza e sul nostro bisogno di dare un senso diverso e magari ricercato alla nostra forma esistenziale, un album che vede il ritorno della band romana dopo cinque lunghi anni, un ritorno che, ne sono certo, lascerà il segno.

Virgo – Virgo (Alka Record Label)

I Virgo aprono le danze con questa prova dal sapore del tutto personale, frutto di un’evoluzione sonora compressa e ben riuscita, capace di far vibrare concitazioni e speranza in sonorità stoner rock che aprono a nuove possibilità e aspirazioni, una musica che acquista maturità fin dalle prime note del singolo Danza di corteggiamento.

E’ un concept album questo, per la band vicentina, capace di fondere l’idea di distruzione in un qualcosa del tutto personale e contorto, una visione d’insieme di notevole costrutto, amplificando ciò che si vorrà ottenere per raccontare ossessioni del tempo che fu e di ciò che viviamo, uno sgretolarsi meditabondo del nostro io che si lascia alla sensualità; un’apertura eterea al graffiante che ci circonda.

Dodici tracce che parlano dei desideri più oscuri, canzoni che sono resoconti della nostra anima mortale, tralasciando l’inutilità della fisicità per puntare dritti alla sostanza, tra mirabolanti peripezie e atmosfere, da Selene a Bianca ombra fino al finale in Trasparenze a rimarcare una scelta che non c’è.

Continua il percorso di maturità dei Virgo che hanno saputo, nel corso del tempo, far proprio un genere, divincolandosi dalle etichette di facciata per seminare uno stile che può fare scuola.

I Plebei – Eterna è la tensione di clavicole, ingranaggi e leve (Resisto)

Anfratti crepuscolari che ricoprono gli antri di una musica sotterranea, di bassifondi, di popolazioni da comprendere e capire per poter sostenere tesi vicine al nostro credo per sperare una vita diversa, per sperare di riaffrontare la realtà con eterna passione e dedizione verso non solo i secondi, ma verso gli ultimi, in un eterno scontrarsi con la vita, non più fatta di ambizioni, ma di verismo assoluto e concentrazione nel quotidiano.

I Plebei, band trentina, con questo nuovo disco, si promette e lo fa distinguendosi da altre e numerose produzioni, di incrociare blues maledetto, folk e canzone d’autore degli anni passati, ingranando le musiche balcaniche e trasformando il tutto in una tensione fatta di movimenti e di mosse, attesa per qualcosa che nascerà, il futuro alle porte e noi non solo spettatori, ma anche protagonisti di ciò che un giorno potremmo creare insieme.

Gli strumenti musicali in questo disco sono utilizzati per poter comunicare e canzoni come l’apripista Africa, la bellissima I fortini del sud e La vita che se ne va ne sono la prova, per una mirabolante impresa di connubio eterno tra ciò che siamo realmente e ciò che vorremmo essere.

Un album dal sapore d’altri tempi, un disco che prima di tutto è arte, partendo dalla copertina della pittrice Giulia Tarter, undici canzoni che parlano di questa società da cambiare, nel momento del riscatto, nel momento della rinascita.

Siberia – In un sogno è la mia patria (Maciste Dischi)

Pensare di vivere in un sogno dove tutto sta crescendo, dove tutto è in procinto di trasformarsi, noi esseri strani, divincolati dal buio della notte, cerchiamo la luce in un posto nuovo, noi che siamo parte di un tutto proveniamo dalla terra e alla terra siamo destinati, un angolo di mondo che può essere la patria, non mero territorio delimitato da confini, ma capacità di dare un senso e un nome a chi ci troviamo davanti.

I Siberia sono per metà stranieri e conoscono nel profondo il senso del termine che da valore al disco, lo apprendono giorno dopo giorno attraversando le barriere virtuali che caratterizzano il nostro vivere e lo fanno con una dimestichezza pop da primi della classe, incrociando in modo delizioso rimandi di tipi Baustelliano fino alla tradizione sonora di Endrigo, la wave mescolata alla musica d’autore, per un sodalizio che attinge le proprie radici in un vortice che non sa quasi mai di tensione, ma di territorio inesplorato, onirico e sensazionale.

Undici pezzi che sono lo sfondo dei racconti di ogni giorno, partendo con Patria e finendo con Una speranza, quasi un richiamo ancora, quasi il desiderio di convincersi che la fuori tutto ancora può cambiare, che anche  il più piccolo seme dentro di noi, un giorno germoglierà per tornare da dove è venuto, noi cenere di alberi eterni sempre pronti alla sconfitta.

Grandi navi ovali – All you can hit (Maciste Dischi)

Dentro al gioco di parole delle Grandi navi ovali si nasconde il titolo del loro nuovo disco, All you can hit, un album affascinante per molti versi che riesce ad inglobare un suono fresco, moderno, capace di prodezze non solo fuori area, ma direttamente dagli spogliatoi con un appeal sincero e diretto, elettronico e malinconico, forse verso un mondo che non esiste o che speriamo possa esistere dentro ai nostri occhi.

Loro sono dalla provincia di Alessandria, provinciali di provincia, ma che amano questa etichetta, anche se di etichetta non parliamo, ma solo e soltanto di gran buona musica con il giusto apporto di sintetizzatori a solcare i mari dei doppi sensi e le interrogazioni sulla vita burrascosa e continuamente in bilico tra forze a cui non sappiamo dare un nome, risultati però dal nostro pensiero globalizzato che non sempre premia, anzi molte volte delude.

Ecco allora che i nostri, miscelando sapientemente Macromeo, I cani e il cantautorato degli anni che furono, divagando sull’importanza della vita, interrogandosi scherzosamente su ciò che ci resta da assaporare, magari lasciando qualcosa per gli altri, magari trasformando la nera realtà in qualcosa di stramaledettamente  pop e fiorito, qualcosa che lasci il segno, in un cammino in cui tutti Hanno ragione, per sempre o almeno per Questa notte e per altre cento.