Proclama – La mia migliore utopia (VREC/Audioglobe)

I Proclama si affacciano al futurismo con l’intenzione di trasportarlo dentro all’epoca della modernità, immagazzinando una capacità quasi unica ed essenziale nel fare un buon pop rock sottolineato da testi importanti che abbandonano una realtà non voluta, tentando di cambiare in modo indelebile la propria vita, lasciando da parte le mode e l’utopia della perfect life per riprendersi con presa sicura il momento in cui viviamo e consumandosi nell’ardore del raccontare cosa ci manca e per che cosa, siamo qui noi, a combattere.

Sono tredici pezzi per la band torinese attiva dal 2011, tredici pezzi che inglobano le macerie di una vita vissuta e scalciano al suolo l’immobilità del presente, un presente da vivere, un presente da assaporare e cambiare, ritornare al colore a cui siamo abituati, ritornare alla sostanziale bellezza, fuori dagli schemi precostituiti, fuori dall’edonismo sfrenato, tra convinzioni da sradicare e mete da raggiungere, tra l’iniziale e emblematica Come un film raggiungendo una Non è finita che racconta proprio di quegli occhi da riaprire per tornare a vedere finalmente i colori che ci sorprendono, per poter ritornare finalmente ancora indietro liberi, sentire in faccia il suono della vita e pensare ad un finale che non sarà mai e poi mai ineluttabile.

Fabrizio Consoli – 10 (iCompany)

World music entusiasmante che canta il disagio esistenziale e il bisogno di partire in un mondo che non è fatto per gli ultimi, ma che ostinatamente sente il bisogno di questa musica per segnare il cammino da seguire, esigenza primordiale di lasciare la propria terra e sentirsi cullare da incursioni sonore che non sono propriamente nostre, anzi sono un contagio necessario per un bisogno ancora più grande nel trovare una nuova casa.

Un album sui dieci comandamenti rivisitato in chiave moderna, grazie alle parole di Fabrizio Consoli, egregio menestrello che attraverso la dura gavetta degli anni, ricordiamo l’attività di session man per, Alice, Mauro Pagani, PFM per citarne alcuni, nonché scrittore e produttore di diverse canzoni di gruppi come Dirotta su Cuba ed Eugenio Finardi, riesce il nostro nell’intento di proseguire, al quarto disco, quella strada della contaminazione che abbraccia il tango e il jazz, infarcendo il tutto con la musica latina e dell’est Europa per un risultato davvero notevole e soprattutto sentito.

Sono tredici brani di puro amore verso la musica, dieci brani che sono la summa di un intero periodo, basti pensare a Credo, La cultura, senza dimenticare Maria e L’innocenza di Giuda a dare un senso maggiore al quadro che ci troviamo davanti, nel cercare di trovare un punto di contatto, non con l’aldilà, ma piuttosto con tutto il tangibile che incontriamo ogni giorno.

Endless Harmony – Hyperspace (VREC/Audioglobe)

Rock poderoso che coinvolge fin da subito grazie a cavalcate in grado di regalare emozioni provenienti direttamente dall’iperspazio e contagiando grazie a viaggi cosmici un mood e uno stile che non ha confini, anzi che respira di un’internazionalità altamente significativa in diretto contatto con band che hanno fatto la storia della musica rock anni ’90 come Skunk Anansie o Cranberries su tutte.

Il gruppo veronese degli Endless Harmony, che anagraficamente parlando come età si aggira attorno ai venti anni, intasca una prova di indubbio impatto emozionale grazie anche alla presenza di un produttore artistico dal nome importante, Pietro Foresti, già collaboratore di Korn e Guns N’Roses per citarne alcuni, riuscendo a valorizzare al meglio le doti canore dell’ italo/dominicana Pamela Pèrez accompagnata per l’occasione da degli ottimi strumentisti in grado di ridare luce al meglio del tempo trascorso e generando di conseguenza un punto essenziale da cui partire per formare una musica d’insieme di ampio respiro e sicuri traguardi.

Reduci i nostri da un’apparizione fugace al Pistoia Blues, vibrano fendenti con l’apertura I know fino a Slave inside, cover rivisitata in inglese di Schiavi Moderni, pezzo della band toscana Rhumornero, per un disco strappa applausi in grado di accontentare anche i palati più esigenti.

ARVIOUX – Ourview (Costello’s)

Una manciata di canzoni electro pop in loop continuo che fanno capire la caratura del personaggio con cui abbiamo a che fare, tra manipolazioni digitali e la continua ricerca e il continuo amore per la scoperta, indivisibile momento di costruzione di strutture accese che si protendono verso l’alto e intascano la prova del tempo, bellezza da scoprire in geometrie e algoritmi necessari per dare un senso al cuore pulsante che si affaccia alla musica degli anni ’80 per conglomerare con stile sovrapposto alla scena berlinese e intessere sviluppi di melodie creando una musica che il nostro Alberto Gatti, in arte Arvioux, sa fare dimostrandolo in questa prova dal sapore internazionale.

Dopo il successo del singolone Choices, il nostro si lancia nel creare un EP formato da otto tracce che segnano un ponte in costante mutamento tra passato e futuro, dall’intro passando per A believer a riscoprire una passione per il non troppo conclamato e per le canzoni che con ritmo martellante si stagliano alla ricerca di amori, situazioni, momenti che sono elementi vitali per lo stesso artista, in simbiosi con i giorni che abbiamo lasciato alle spalle.

Ammirevole quindi prova d’esordio che accosta gli ingredienti del passato e del presente per una formula sempre moderna e di sicuro impatto, di certo da non tralasciare e pronta ad essere immagazzinata per bene grazia a ripetuti e coinvolgenti ascolti.

Johnny Bemolle’s – Jb (LaFameDischi)

Raccontare attraverso la musica e le immagini un viaggio chiamato vita è opera assai ambiziosa e complessa che accende speranza in chi ascolta e permette di creare racconti che si inerpicano lungo solitari quadri e illustrazioni ammirevoli e commoventi.

Johnny Bemolle è un cantautore solitario, ma deciso, caparbio nel trovare un proprio posto nel mondo in cui abitare, in bilico tra viaggi infiniti nel treno della melodia e capace di scovare le emozioni dell’anima grazie ad una voce evocativa, alla ricerca di amici con cui condividere passioni, speranze e pura bellezza nel vedere oltre il buio; attimi di luce sfiorata per una musica che affonda la propria totalità  nella bellezza del folk passeggero e internazionale.

Nelle canzoni di Johnny si trova con facilità un certo amore verso cantautori come Damien Rice, Glen Hansard, passando per Tom Mcrae e qualcosa del nostrano Bob Corn, senza dimenticare il duo Rue Royale, un amore per la poesia in musica che accoglie attimi di respiro luccicanti e strumenti semplici a tessere melodie di immediata reperibilità, inossidabili, evocative all’ennesimo ascolto e portatrici di una struttura essenziale, ma allo stesso tempo indissolubile.

Le illustrazioni sono curate da Laura Re, il packaging è qualcosa di assolutamente meraviglioso, una valigia che si apre e dentro i nostri sogni di instancabili viaggiatori, qualcuno parte, qualcuno arriva, qualcuno non fa più ritorno, tra Parigi, Budapest, Granada e la Scozia il nostro Johnny o meglio i nostri Johnny Bemolle’s colpiscono al cuore e in modo del tutto inaspettato accendano una scintilla di bellezza.

Bastille – The National – LIVE Report – Pistoia Blues 2016 – 11/12 Luglio – Indiepercui

Qualche giorno in Toscana e beccarsi anche un paio di concerti al Pistoia Blues, non è da tutti, anzi è una fortuna consegnata in mano a pochi, una possibilità, oltretutto magnifica di viaggiare per terre dove la musica e il buon cibo sono di casa e soprattutto dove le bellezze architettoniche fanno da scenario complementare ai suoni di un palco che per l’occasione nelle serate dell’11 Luglio e del 12 Luglio ha ospitato grandi nomi del panorama musicale internazionale: i poppeggianti Bastille con in apertura i Kelevra, già band recensita su queste pagine virtuali e la sera seguente Father John Misty ad aprire per l’indie rock band americana The National.

Il centro di Pistoia ospita, quest’anno, la 37° edizione di un festival che nel corso del tempo ha saputo intensificare la proposta accontentando vari estimatori di musica, da quella più semplice e orecchiabile,  all’introspezione sonora, fuori dalle canoniche regole del mercato, cercando di avvicinare l’idea di evento a 360° atteso non solo a livello regionale, ma anche e soprattutto nazionale pensando ad un connubio tra musica e arte che solo pochi Paesi nel mondo si possono permettere.

Kelevra – Bastille 11 Luglio 2016 – Pistoia Blues

Serata calda, troppo calda, arriviamo con l’auto, si parcheggia al Cellini, comodo parcheggio ad 1 km dal centro, il tempo per ritirare i pass e mangiare qualcosa e ci fiondiamo nell’area concerti, testa a sbirciare la piazza e con non troppa sorpresa migliaia di adolescenti pronte ad ammirare la band del singolo strappa cori Pompeii.

Ad aprire i Kelevra con il loro pop trascinante e sintetizzato, congegnale alla serata, ma non troppo, in quanto carico di testi mai banali e una capacità di stare sul palco, direi invidiabile per una band così giovane e assetata di futuro da assaporare.

Ore 22.00 salgono i Bastille, band londinese che si è imposta nel corso degli anni grazie a fortunati singoli e pronta a sfornare, quest’autunno, un nuovo disco dal titolo Wild world, che grazie a canzoni di facile appeal, già ascoltate nel live, si dimostrerà capace, senza ombra di dubbio, di farsi strada tra i nuovi tormentoni del momento.

Il set sul palco comprende un efficace schermo dove le proiezioni di ottima fattura scorrono in loop emozionando la platea di giovani e agguerrite fan che si lanciano nei classici: sei bellissimo e we love you dedicati al frontman, tra selfie all’ultimo grido e canzoni cantate a memoria. Musicalmente i nostri sanno il fatto loro, una scaletta breve, un’ora e trenta di concerto, ma allo stesso tempo tirata a dovere, dove classici pezzi come Bad Blood, Laura Palmer e Things we lost in fire sono alternati dalla cover di TLC, No scrubs e da una Of the night, cover di Corona, presente nel loro primo album e suonata nel finale a preannunciare una perfetta Pompeii per un concerto per così dire radiofonico, senza imperfezioni, il disco tale e quale per come si presenta senza aggiungere nulla di nuovo ad una dimensione live che meriterebbe però di essere ampliata.

Is this the reeboks or the nike no cioè This is the rhythm of the night e si torna a casa canticchiando.

 

Setlist Bastille

Bad Blood / Laura Palmer  / Send Them Off / Things We Lost in the Fire / These Streets /Blame / Overjoyed / Weight of Living, Pt. II / No Scrubs (cover TLC) / The Currents / Good Grief / Flaws / Oblivion / Laughter Lines / Lesser Of 2 Evils / Icarus / The Draw / Of the Night / Pompeii.

Father John Misty – The National 12 Luglio 2016 – Pistoia Blues

Ben altro livello musicale la sera seguente, dove a calcare il palco del Pistoia Blues, troviamo due tra le più rappresentative band americane in circolazione, entrambe di passaggio in Italia, Father John Misty per un set anticipato, conteso ed elettrico, spruzzato dal folk e dal blues, in un itinerario complesso di musica targata ’70, ma proiettata al futuro, un fascino indiscutibile e una capacità che si consuma e rinasce, che si apre e si chiude tra pezzi come When you’re smiling and astride me , il capolavoro Bored in the USA, passando per le perle di True affection e il finale di Ideal husband, il pubblico è numeroso, molto numeroso, risponde e si sente, ad incrementare il calore già presente nell’aria.

Puntuali alle 21.30 i The National, spigolosi e concentrici lasciano la grandezza della loro carriera alle spalle per consumarsi in un live di due ore commosso e sentito, visibilmente fragile e dimesso, con Matt Berninger che cammina grattandosi la testa sul palco, pensando, riflettendo, in una narrazione musicale che strappa applausi sinceri, un’unica data nel nostro Paese che ha tutto il sapore della magia e delle cose migliori, gavetta e riconoscimenti, sudore e adrenalina, tra canzoni tratte dai numerosi dischi alle spalle e altre attraenti novità, fino alla fine, fino al bagno tra la folla con Terrible love e poi ancora in acustico l’ultima indissolubile Vanderlyle crybaby geeks, con tutto il pubblico di Pistoia a cantare nel lasciare la propria casa, cambiare nome e vivere la propria vita da soli; un live che porta con sé il sapore di un altro tempo per una band più commossa di noi nel partecipare a tutto questo splendore.

Oggi si scollina per la Porretana, da Pistoia fino a Bologna e poi autostrada fino a casa, qui nell’Alto vicentino; salendo la cima del colle, ogni tanto giro la testa e guardo Pistoia che si rimpicciolisce ai miei occhi, fino a diventare un piccolo puntino, sorrido.

Father John Misty Setlist
Hollywood forever cemetery sings / When you’re smiling and astride me / Only son of the ladiesman / Nothing good ever happens at the goddamn thirsty crow / Chateau Lobby #4 (in C for two virgins) / Bored in the USA / Holy shit / True affection / I’m writing a novel / I love you, honeybear / Ideal husband

The National Setlist
Dont swallow the cap / I should live in salt / Sea of love / Bloodbuzz ohio / Sometimes I don’t think  / The day I die / Hard to find / Peggy-o (Grateful Dead cover) / Afraid of everyone / Squalor Victoria / I need my girl / This is the last time / Find a way / The lights / Slow show / Pink rabbits / England / Graceless / Fake empire / About today

Encore

I’m gonna keep you / Mr November / Terrible love / Vanderlyle crybaby geeks

Foto: Gabriele Acerboni / Marta Colombo

Testi: Marco Zordan

Humour Nero – Minimi Sistemi (Autoproduzione)

Riuscire a captare i segnali che provengono dall’esterno non è sempre facile, molte volte c’è una forte possibilità che il prendere alla lettera o troppo sul serio alcune questioni, anche in ambito musicale, porti ad una selettività che impedisce di ricevere il malessere di una società e nel contempo non permette di riscoprire una sempre più abbandonata ironia, unica sostanza in grado di osservare il mondo con occhi diversi.

I romani Humour Nero invece, riescono a concentrare le proprie forze, costruendo una struttura musicale e poetica alquanto portante e di sicuro effetto, mescolando in modo sapiente la lezione degli anni ’90, tra Rem e Radiohead, passando per gli Smashing Pumpkins e quell’italianità che si evince nell’uso della lingua e dei testi mai banali che possiamo trovare nei Baustelle di Amen o nei Perturbazione di Del Nostro tempo rubato, a ridare un senso necessario alla bellezza che abbiamo intorno, perlomeno in un aspirato tentativo di guardare, lontano, magari dallo spazio, quel piccolo puntino che occupiamo e che si chiama mondo.

Sei canzoni per un EP che ci lascia il sorriso sulla bocca, nulla a che vedere con l’indie folk degli ultimi anni, anzi, a mio avviso questa potrebbe essere una nuova via da percorrere: ironia in rock, con spruzzate di elettronica a rispolverare ciò che abbiamo perduto, ciò che sappiamo fare meglio, magari dal binocolo di Galileo, per guardare lassù oltre il cielo del già sentito.

Afterhours – Folfiri o Folfox (Universal)

Essere inglobato in un vortice adrenalinico sul filo del rasoio per poter ammirare musicalmente il ritorno degli Afterhours, dopo un Padania per me, ancora inascoltabile, mi fa sentire ancora vivo, mi da la forza per sperare che questa band, dopo i 25 e oltre anni di carriera abbia ancora le carte in regola per insegnare alle generazioni future che cos’è il rock e la sperimentazione, senza abbandonare la strada seguita fino ad ora, in nome di uno stile che si fa sempre più stratificato e coinvolgente, quasi fosse un compendio essenziale di tutto questo tempo, tra le lacrime amare, le canzoni pop, i deliri distorti e l’uso di ingegni musicali a segnare la scena e a rinchiudere ogni pezzo compresso in pillole da mandare giù quando si sta troppo male.

Folfiri o Folfox è un album prima di tutto sull’abbandono e sulla ricerca di una meta, di una via da seguire oltre il buio, pezzi di puzzle che come un pugno allo stomaco rimembrano e scavano in ciò che è stato, in modo quasi subdolo, tra le promesse di una vita eterna e lo scontrarsi con una realtà opprimente e soffocante, in attesa che qualcosa possa ancora cambiare, in attesa che il sangue che ci resta dentro sia parte vitale per le emozioni che ancora ci accomunano e segni un percorso, chiamato vita, da assaporare fino in fondo.

La nuova formazione garantisce suoni sempre nuovi e in costante cambiamento, con la forte presenza di Manuel Agnelli che intreccia la sfera privata ai problemi di un’Italia che non funziona, una rinascita inaspettata che scardina prepotentemente i pregiudizi ponendosi come opera da leggere su più piani per capirne il significato avvolgente e intrinseco, tra composizioni acustiche, pianistiche e altre elettriche fino al midollo, tra netti contrasti di luci e ombre a segnare il tempo che verrà.

Un doppio album, rassomigliante per certi versi al Mellon Collie degli Smashing Pumpkins, dove la presenza costante di musicisti spettacolari e così eterogenei tra loro riesce ad imporsi sul chiacchiericcio moderno sottolineando ancora una volta, l’esigenza estemporanea di ritrovare la bellezza anche nei giorni più cupi.