Control toys – Soap opera (Orangle/Universal)

Vita e morta di Tasha Tashì in uno strampalato mondo che nell’onirica visione di insieme si sfonda di suoni crudi ad accentuare una sembianza dicotomica e di certo non edulcorata che colpisce come schiaffo sincero la realtà che ci circonda. Nell’esordio poderoso di Control toys il concept album fagocita istinti primordiali per regalarci una netta visione d’insieme a costruire, nel caos quotidiano, una parvenza di elettricità composta. Nel disordine ricreato vengono mescolati stili a profusione e la velocità dello speed metal si sposa con il doom, con l’industrial in una combinazione micidiale di architetture che contrastano il reale. Da Genesi biturbo fino a The other side of sex passando per Escape from the family e Goodbye Daria i giocattoli del nostro crescere diventano un modo per descrivere una società malata e le avventure narrate si fanno portatrici di significati che si attestano ben oltre le apparenze.


Oceans on the moon – II (Spinnup/Universal)

album II - Oceans on the Moon

Affondare radici umane negli intricati grovigli della nostra mente dove energia viscerale si trasforma in impulsi sovraritmati capaci di entrare, penetrare e stabilire legami indissolubili con la nostra anima. Il nuovo degli Oceans on the moon racchiude al proprio interno un’elettronica di confine capace di imbrigliarsi all’interno di un alternative mai scontato che prende in prestito la lezione dei Radiohead, le linee vocali dei Cousteau e l’imprevedibilità di una new wave sposata con gli assortimenti oscuri e ammantati di mistero di Tricky. II è un viaggio nei meandri nel nostro stare al mondo. Un viaggio senza ritorno che a tratti incontra elementi di post rock per ristabilire la giusta distanza con l’ascoltatore, soppesando ciò che può essere cantato con ciò che può essere suono. Il disco dei nostri è un concentrato di splendida armonia, un album da scoprire ascolto su ascolto che non si risparmia, ma che piuttosto dona incisività e una maturità artistica importante.


Folkstone – Ossidiana (FolkstoneRecords/Universal)

Mutare forma, inventarsi, captare le sfaccettature dell’ossidiana, vetro vulcanico in divenire che racchiude al proprio interno le ere, il passato, il tempo che fugge, si consuma, cambia. I Folkstone ormai hanno raggiunto un livello musicale e di maturità invidiabile tanto da poter imprimere nella scatola dei ricordi bellezze sopraffine di un qualcosa che comunque resta ricerca, tentativo, ambizione per un disco, il loro nuovo che non chiude la porta al passato, ma la amplifica rendendo i racconti di vita presenti all’interno delle tredici canzoni un punto d’ancoraggio sicuro e condiviso. I testi e la voce sono in primo piano e le contaminazioni presenti si fanno sempre più tangibili e reali, canzoni come l’apertura scoppiettante di Pelle nera e rum, passando per la potenza di Scintilla o la storia di Anna, la bellissima Asia e il finale affidato alla title track sono solo alcuni episodi importanti di uno spaccato esageratamente preponderante e che non passa sottotono. I Folkstone si confermano una realtà alquanto florida nella nostra penisola, un gruppo che riesce ad incastrare le peripezie del metal con la melodia del folk in un abbraccio mutevole che sa perennemente di rinascita.

Afterhours – Folfiri o Folfox (Universal)

Essere inglobato in un vortice adrenalinico sul filo del rasoio per poter ammirare musicalmente il ritorno degli Afterhours, dopo un Padania per me, ancora inascoltabile, mi fa sentire ancora vivo, mi da la forza per sperare che questa band, dopo i 25 e oltre anni di carriera abbia ancora le carte in regola per insegnare alle generazioni future che cos’è il rock e la sperimentazione, senza abbandonare la strada seguita fino ad ora, in nome di uno stile che si fa sempre più stratificato e coinvolgente, quasi fosse un compendio essenziale di tutto questo tempo, tra le lacrime amare, le canzoni pop, i deliri distorti e l’uso di ingegni musicali a segnare la scena e a rinchiudere ogni pezzo compresso in pillole da mandare giù quando si sta troppo male.

Folfiri o Folfox è un album prima di tutto sull’abbandono e sulla ricerca di una meta, di una via da seguire oltre il buio, pezzi di puzzle che come un pugno allo stomaco rimembrano e scavano in ciò che è stato, in modo quasi subdolo, tra le promesse di una vita eterna e lo scontrarsi con una realtà opprimente e soffocante, in attesa che qualcosa possa ancora cambiare, in attesa che il sangue che ci resta dentro sia parte vitale per le emozioni che ancora ci accomunano e segni un percorso, chiamato vita, da assaporare fino in fondo.

La nuova formazione garantisce suoni sempre nuovi e in costante cambiamento, con la forte presenza di Manuel Agnelli che intreccia la sfera privata ai problemi di un’Italia che non funziona, una rinascita inaspettata che scardina prepotentemente i pregiudizi ponendosi come opera da leggere su più piani per capirne il significato avvolgente e intrinseco, tra composizioni acustiche, pianistiche e altre elettriche fino al midollo, tra netti contrasti di luci e ombre a segnare il tempo che verrà.

Un doppio album, rassomigliante per certi versi al Mellon Collie degli Smashing Pumpkins, dove la presenza costante di musicisti spettacolari e così eterogenei tra loro riesce ad imporsi sul chiacchiericcio moderno sottolineando ancora una volta, l’esigenza estemporanea di ritrovare la bellezza anche nei giorni più cupi.

 

Babylonia – Multidimensional (Smilax/Universal Music)

Universi paralleli da scoprire e lasciare poi alle spalle direzionando la ricerca verso mondi lontanissimi e ancora inesplorati dove la musica si protrae ancora senza fine.

I Babylonia sono tutto questo e al loro quarto album Multidimensional si appropriano del concetto di plurisfaccettatura per comporre una piccola opera sul concetto di spazio, che parla di amori e abbandoni, costrutti di vita e maggiore capacità intrinseca di essere noi stessi ancora e sempre.

Musicalmente i Babylonia sanno esplorare la musica elettronica di fine anni ’80 con echi primordiali agli italiani La Crus del decennio successivo non disdegnando quella capacità di coinvolgere l’ascoltatore con arrangiamenti ben calibrati e studiati a tavolino, dove il prodotto finale è emblema della ricerca precostituita; un disco che già in partenza si dedica, in tutto il suo splendore, alla prematura scomparsa di un membro fondamentale del duo: Robbie Rox; una perfetta sintesi tra musica elettronica e sperimentazione sonora, dove a farla da padrone non sono semplicemente le musiche, che solo quelle basterebbero, ma i veri e vissuti di vita che si stagliano nelle penombra del nostro divenire.

Ecco allora che il disco si svolge in tutta la sua ampiezza e dove il singolo Love is healing è caposaldo nonché giro di boa per le nostre vite e il nostro raccontarsi, quel raccontarsi la dove i pensieri si stagliano all’orizzonte alla ricerca di una terra sperata, di una terra dove poter mettere radici.