Daniele Sanfilippo – LEM (Suoneria mediterranea)

Immersi in acque profonde e spazi siderali ci apprestiamo ad ascoltare un’opera.

Completa per scelte di stile e capacità espressiva, questa è il racconto di un astronauta che si prepara ad ingabbiare gli ultimi attimi di luce per ricondurli in posti lontani, legati al ricordo e ai sogni infranti dalla realtà.

Il buio ci accarezza in questa prova strumentale e Daniele Sanfilippo la fa ricca di spunti da colonna sonora e mare quieto che sprigiona un incedere elettronico ambient e rilassamenti interstellari.

Le onde che piano piano ci travolgano sono fatte di piccoli interventi sonori quasi a racchiudere al proprio interno un desiderio di rinascita e speranza che man mano è intercalato da strumenti acustici a coronare il tutto con archi e caldi sottofondi.

Ecco allora che si ascoltano con un certo interesse brani come “Mission” o la parlata “Light in the sky”, struggente poi la ballata per pianoforte “Astronaut” per arrivare all’apice del disco con la title track “Lem”.

Ricordando Gatto Ciliegia nel loro fortunato #2 Daniele ci regala una prova matura e sicura, ricca di riferimenti con il mondo che ci circonda e soprattutto con le emozioni che l’uomo può provare, dal senso di solitudine e abbandono, al reale ritorno e la conciliazione.

In acque profonde e spazi siderali ci apprestiamo sulla via di casa, per essere, materia diversa e mutevole.

Alcova – Il sole nudo (Rossocorvo)

Ascoltare gli Alcova è fare un tuffo nel passato dove la new wave si fondeva in modo inesorabile con testi di matrice impegnata che raccontava di quotidianità, attualità; quel quotidiano che sembra così lontano e in punto di morte da quanto ne viene abusato nel suo silenzio.

Ecco allora che finalmente una band si schiera in modo palese, la critica c’è in ogni singola strofa, in ogni singola parola e il cuore pulsante e in divenire è fiamma sempre accesa che brucia le vecchie idee lasciando il posto ad un mucchio di macerie da cui rinascere di nuovo.

Questo non è un disco per tutti, è un disco impegnato e purtroppo in Italia le persone non sono impegnate.

Si lasciano andare alle chiacchere da aperitivo dimenticando ciò che li circonda, quell’intricata trama di fili che sorregge il mondo e ci fa vivere quotidianamente.

Ecco allora che i nostri Alcova si fanno portavoce di questo malessere, delle volte cantato, delle volte gridato altre parlato e ancora sussurrato; racchiudendo speranze in 9 tracce, racchiudendo un fiume in piena che non smette di scorrere.

Come non dimenticare le parole di Damasco o di Cannibali, passando per l’esemplare Il sole nudo o la decisione in Risvegli.

Un disco ricco di pathos e fibrillazione che dopo il primo ascolto ci lascia scossi, scossi dalla scintilla del voler uscire e fare qualcosa per cambiare modo di pensare, forse tutti ne avremmo da guadagnarci.

Angela Kinczly – La visita (Qui base luna)

Profumo di rose e di prati che colgono ogni raggio di luce per assecondare il ricordo alla ragione quasi in un’estasi mistica da cui uscirne illesi, privi di qualsiasi potenzialità, privi di quella ingenuinità che prima ci caratterizzava e ora resta solo polvere nei nostri occhi.

Magia adolescenziale e savoir faire da adulta per il disco di Angela Kinczly “La visita”, uno spaccato di emozioni che si concentrano su di un cielo ricco di avvenire e sogni da poter inseguire ancora per una volta come fosserro soffi di rugiada nel mattino che discende come coperta a racchiudere i corpi di due amanti persi nel sonno profondo.

11 tracce di un pop non gridato, non richiesto, non urlato; ma un pop che si colora di pastelli che mescolati ad acquarelli ci regalano un disco che miscela il meglio di tutto ciò che la scena italiana offre.

Bellissimi pezzi come “Lucciole” o la graffiante in sperimetalismi compiuti “Mercoledì no movie” ti trasportano in mondi lontanissimi.

“Orologi liquidi” è un omaggio a Dalì mentre il tutto si fa deserto nella strumentale “Nick and Joni” accompagnata da “Un giorno di settembre” ricordando Micah P Hinson su tutti.

“Volerò” invece si staglia come traccia sonora di incredibile grazia.

Un album perennemente in divenire che alterna momenti vibranti ad attimi di introspezione sonore.

Non possiamo far altro che sederci e lasciarci trasportare da quel profumo di rosa e dalla luce che avanza aspettando un nuovo passo, aldilà, verso il cielo.

LaTarma – Antitarma (Qui base luna)

Marta Ascari in arte LaTarma esordisce con un full length ricco di sperimentazioni pop in bilico tra l’indie e il mainstream, cercando di produrre un suono del tutto personale e fuori da qualsiasi tipo di schema prestabilito, ricomponendo il tutto ad ambizione profonda che si fa carne viva, naturale, in completo cambiamento.

E’ un disco si che suona pop, ma che riesce a catturare l’attenzione per sonorità affini ad un mondo poco convenzionale, ricco di sfumtaure che si librano soprattutto in un cantato moderno, ricercato e ricco di senso e condivisione.

Entrare nel mondo di Marta non è difficile anzi, lei mette a disposizione tutto quello di cui abbiamo bisogno per sperimentare e sperimentarci.

Un musica che si fa viva e raggiante racchiusa in brevi momenti di intimità che si fanno portavoce di un esistenzialismo moderno e di controcultura letteraria.

I testi sono in bilico tra il non sense e l’ossimoro esibito che prende forma all’interno di un contesto che racchiude perle da custodire e conservare, quasi fosse un regalo prezioso da far vedere solo a chi veramente conta.

Latarma sa il fatto suo e colpisce nel segno con pezzi come il singolo “Icastica” o l’energia in “fiori neri” passando per la tiepida “Istanbul”; fanno capolino poi nel finale la malinconica “Mongolfiera” e la sperimentale “La bellezza delle cose”.

Un disco per ogni stagione, che racconta il disincanto e la passione, un album che fa sperare tra la poesia e la magia: il mondo raccontato da Marta è un mondo dove poter vivere.

L’inverno della civetta – L’inverno della civetta (Taxi driver records)

L’inverno della civetta è un progetto che racchiude al proprio interno membri della scena indie genovese, un disco che in qualche modo rappresenta speranza.

Speranza intanto nel concepire un disco ricco di pathos, energia e momenti più catartici dove si sente la necessità di riassemblare un contesto che in qualche modo, molte volte risulta disunito e incontrollabile.

Speranza poi perchè in questo caso un gruppone di ragazzi si sono uniti per creare un qualcosa di magico, partendo da una stagione, l’inverno che porta con se gli amori disillusi, il freddo pungente e la luce sempre più fioca, quasi fosse un sogno che non riesce a realizzarsi, una continua astrazione da ciò che ci circonda.

Genova, il porto, le barche e il molo, Genova elegante, Genova che rincorre i cunicoli di una città che si perde tra le mura del tempo.

Quel tempo che si assottiglia e si dilata lungo questi 10 brani, che contrappongono il cantato in inglese all’italiano, commistionando generi e radici, substrato culturale ed eleganza mai urlata.

10 canzoni che vi lascio pian piano scoprire, il tutto suona come un viaggio, a volte quieto, altre movimentato, da lasciarci il cuore per tutta la bellezza vista e vissuta, quasi fosse un’istantanea da custodire nel quaderno delle cose vere, quelle che contano, quelle di colore giallo oro, ma dal gusto di fragola.

Davide Solfrini – Muda (New Model Label)

Davide Solfrini da il via ad un rivoluzione nel cantautorato che si esprime criticando una società piena di vincoli e catene, senza parole per comunicare e dove l’uomo, oggetto di sperimentazioni industriali, è succube del profitto quale sola arma per raggiungere uno scopo e dove il capitale umano è sempre più denaro che persona.

Una commistione di genere in “Muda” che fin dalle prime canzoni si identifica in modo approssimativo ad una identità sperimentale e seduta a riflettere verso il sole che può ancora arrivare.

Come in una rotazione di pianeti, un vortice di trame sospese, il nostro amalgama una voce radiofonica ad improvvisazioni elettroniche dove il nulla è lasciato al caso e dove le speranze si fanno meta concreta ed espressioni di possibile cambiamento.

Bellissima “Muda” come la silenziosa “Marta al telefono” o la critica “Ti piace quello che mangi?” passando per la corale opalescenza di “Cristallo” per finire con un live etereo della title track.

Un disco pieno di impressioni esistenziali, dove si sprigiona poco a poco quell’animo anarchico che è insito in ognuno di noi e che qui si fa musica veicolando, con poche risorse, molti risultati.

Un cantautore con esperienza e si sente, in grado di trasformare un triste vivere in speranza continua.

A Violet Pine – Girl (Seahorse Recording)

Alchimia pura ricondotta al fascino post rock e trip hop, essenziale quanto basta per ingannare l’ascoltatore e uscendo da stereotipi che ad un primo ascolto li potrebbero paragonare a Thom Yorke e co. e ad Air su tutti.

Ricchi di melodie ultraterrene invece i Violet Pine, a dispetto di una copertina provocatoria, si lasciano andare alle morbidezze dell’elettronica, un’elettronica qui che si fa preponderante su tutte le scelte stilistiche a parte qualche traccia, più intimista e condizionata da suoni più acustici.

Un disco ricco di vibrazioni e soprattutto d’atmosfera che regala un incedere sincopato che corteggia e racchiude dei piccoli diamanti quasi colpevoli di possedere una bellezza sfavillante.

Ascoltate l’iniziale Pathetic tanto per credere o la scintilla sonora in Even if it rains, passando per le sospensioni sonore di Family o di 25 mg of happiness.

Arrivano poi le suadenti ballate Sam e Fragile a sancire una fine sincera e costruita, quasi irreale, con Pop song for nice people.

Dentro al mare si rialzano corpi pronti a ripartire dopo lunghi affanni, quasi un’esperienza onirica che Nolan vorrebbe raccontare, al momento ci accontentiamo di musica per le nostre orecchie che si fa viva più che mai nel trascorrere del tempo.

3 fingers guitar – Rinuncia all’eredità (Dreaming gorilla records)

Altero, elegante e con un piglio sbarazzino 3 fingers guitar , raggiunta la soglia della maturità artistica si concede il lusso di un disco pieno zeppo di cose strane, rumori siderali e sinistri addii verso il tempo della conciliazione e del buon esempio, che si identifica lungo le sette tracce di questa reminiscenza acutizzata, una continua e sperperante pittura lungo i sogni infiniti dell’ improvvisazione sonora.

Il cantato è in italiano è una voce soffocante ci porta a scoprire una scena indie rock di matrice primi ’90 dove i suoni si accostano molto a gruppi come Marlene Kuntz in primis e la ruvidità degli Afterhours degli esordi.

Millesimate le parole che sembrano racconti, il nostro si concede di racchiudere in pezzi simbolo, canzoni di corpi al suolo che strisciano alla ricerca di spazi d’aria, di prevenzioni contro un futuro tenebroso e vissuto a metà.

Ecco allora che si fanno avanti pezzi in divenire come Ingresso o Riproduzione, lasciando posto al cantato parlato di Fuga o all’”Orroriana del teatro” Fine.

Ineccepibile la bellissima Rinuncia all’eredità.

Un disco sperimentale questo, ricco di insidie che esplorano i labirinti della mente e noi, da spettatori reali, non possiamo che essere foglie di siepe che racchiudono un concetto.

Party in a forest – Ashes (New Model Lab)

Vibrante, vibrante e per sempre vibrante il suono che accompagna i Party in a forest al loro primo album di debutto Ashes.

Un perfetto equilibrio tra sonorità che regalano emozioni a non finire tra echi di Arcade fire, Interpol, toccando Placebo in primis e sostanze in completo divenire che abbandonano le giornate di pioggia per scomparire tutte d’un fiato in una solare festa all’interno di alberi maestosi e crepuscolari.

Un suono vintage, compatto, che gainizza il tutto lasciando polvere di stelle al proprio passaggio, proprio come fa una cadente stella che si inabissa nel profondo del mare.

Un risultato sorprendente che si riassume in un concentrato di indie new wave del 21° secolo, uno spaccato di quotidianità dove i contrappunti sonori rendono bene l’idea di cambiamento e metamorfosi che vuole comunicare il trio bolognese.

Un’insieme concentrico di opportunità innescate da “Tired” e giù giù fino a “Dawn”, sentendo e guardando una nuova creatura che a poco a poco cresce, nasce e si trasforma.

Una prova d’esordio con il botto, fresca e genuina proprio come piace a noi.

Simone Pittarello – Esco un attimo (AUtoproduzione)

Schivo, silenzioso, quasi magico.

Un lo-fi che suona da dio, Simone Pittarello è un cantautore atipico, esce dagli schemi della pubblicità canonica, prende un mixerino a tre tracce e ci registra sopra 12 canzoni di immacolata bellezza.

E’ raro, molto aggiungo, ascoltare un disco di questa fattura, registrato con mezzi di fortuna e che entra soprattutto in modo malinconico-decadente nella tua testa, facendo vibrare farfalle in aria su prati di foglie sempre verdi.

Ascoltare Simone è come sedersi lungo un lago e vedere nel mezzo di quest’ultimo una piattaforma sonora dove in acustico si esibiscono Nick Drake e Matthew Bellamy in escursioni sonore ricche di sentimento e calore, percependolo anche a decine di metri di distanza.

Ci sentiamo avvolti da questo suono che si esprime con Bianca Calma nella partenza finendo con Il ritorno; parafrasando un altro cantautore direi che in mezzo c’è tutto il resto…e questo resto è maturità compiuta all’esplosione di pienezza e raccolta dei frutti sperati.

Un invito quindi a farsi largo e trovare una propria via per far conoscere a più persone questo bellissimo mondo che Simone vuole raccontare, non avrà che guadagnarne.

E con le ali spezzate mi siedo e ricucio i sogni che mi faranno volare ancora.