Ox – When things come easy (Autoproduzione)

Cantautore di matrice rock che regala pulsioni indefinibili e sensazionali, dove l’incrocio tra classic folk e indie si fa essenziale ricreando un’atmosfera old style ricca di quegli elementi noti alla canzone d’autore del nord America e che si fa viva più che mai nell’ incedere dei ben 13 brani presenti nel full length di OX: When thing come easy.

Un cantautore solitario questo che si perde nel deserto, un disco per chi è in continuo movimento, tra lande desolate e fuochi che si accendono lungo l’incedere del percorso, fuochi che non sono altro che ricordi che pian piano riaffiorano dalla nostra memoria.

Ecco allora che la musica ti avvolge, ti deforma, ti scompone per poi dominarti e ricreare quel tutt’uno di pura complessità che si espone nel marasma della vita umana quale richiamo ad un ritorno allo stato di natura da dove tutti noi veniamo.

Un disco affascinante e ricco di storie da raccontare, una clessidra del tempo che non ha mai fine, perché il viaggio è dentro ad ognuno di noi e fa parte nel quotidiano, di una musica che non ha mai fine.

Moongoose – Irrational mechanics (NOBAU)

Cascata aperta che lascia l’istante infinitesimale a contemplare quel madido sudore di rock targato ’90 per riprendersi l’addolorato passaggio al nuovo secolo tentando di scoprire vizi e virtù di un’idea che può essere rivoluzionaria: tra echi di elettronica e dub sincopato che si perpetua e lascia scorrere in se tutto il sangue necessario a far vivere ancora, a far sperare ancora.

I Moongoose diventano necessari nel 2009 quando si decide di andare oltre i canoni standard e convenzionali per dare un apporto maggiore e sicuramente concreto al cambiamento che la musica stava e sta affrontando in questo momento.

Echi lontani di sirena discostante è tratto emblematico lungo una carezza, lungo l’intero disco che si affaccia in modo dolce e soave a lisergiche attenzioni verso un mondo circoscritto all’universo reale.

9 pezzi di puro calore emozionale dove gli interventi elettronici si fanno vivi più che mai nell’incedere del giorno che avanza, pensare ad una Closed field accostata ad Irrational Mechanics fa dimenticare tutto ciò che è superfluo, quasi come un viaggio onirico che si lascia trasportare da Fomenta o Mistake per finire con Il continuo.

Un disco in divenire, che raccoglie ciò che di meglio esiste nell’attuale per condensarlo in maniera originale, in un composto ricco di stratificazioni sonore dove anche gli uccelli possono trovare il loro nido.

Eusebio Martinelli and the gipsy abarth orkestar – Apolide (Autoproduzione)

Un disco colorato, che prende forma su di una tavolozza pronta a riempire i vuoti esistenziali di una tela bianca, insignificante e priva di spessore, un disco pronto a riempire di arcobaleni i giorni più tristi, i giorni tutti uguali.

Eusebio Martinelli, dopo aver raccolto i frutti di un primo disco e più di 200 date dal vivo in tutta Europa, si lascia trasportare dall’irrefrenabile passione che lo contraddistingue da tempo e confeziona un album caratterizzato dal marchio di fabbrica ormai conosciuto che lo porta ad incrociare il folk alla tradizione balcanica e tzigana con la banda di fenomeni virtuosi: Gipsy Abarth Orkestar.

Il disco è stato concepito per i cittadini del mondo, quelli che non credono in distinzioni o barriere, anche perché Eusebio, forte di questo pensiero, si fa portavoce soprattutto di un’ode al viaggio come simbolo di rivalsa e di vittoria nei confronti del piccolo giardino che è dentro ad ognuno di noi e che con la forza deve essere sradicato per lasciar spazio a qualcosa di più forte, vivo e vero.

I ritmi travolgenti ci fanno presto sognare e le uniche tracce cantate: Danze sulla polvere, Grecale e Le cantine di San Giglio sono la conferma che si può raccontare un passato, un vissuto, come fosse istantanea che tutti possiamo cogliere, capire e comprendere.

Un album per la bella stagione, un album per tutte le stagioni, un disco che porta la dimensione onirica a realtà per farci vivere intense esperienze anche nel salotto della nostra casa.

Club Voltaire – The escape theory (La fleur)

L’innovazione sonora parte da qui e si divincola come marchio di fabbrica che parte dal passato e da ciò che standard si può considerare.

I Club Voltaire esordiscono con il loro primo LP, ricco di sfumature e sfaccettature e lo fanno con il botto perché dentro a questa copertina di cartone c’è tutto quello di cui abbiamo bisogno: dai ritmi incalzanti, alla velocità che si trasforma in suoni che coprono abissi, dalla ballata, all’introspezione condivisa, vissuta e regalata.

Un disco di una purezza disarmante dove le quattro voci si alternano in un mare che si trasforma in oceano che non ha mai fine.

Il suono è vintage con sussulti di moderno, una commistione che sembra colpire già da un primo ascolto tra melodie che si contorcono in White Album e Tiger Milk, in corrosioni sonore relegate ad un mondo che si concentra non più all’apparenza, ma alla sostanza.

La band comasca nasce, cresce e si sviluppa dal 2009, un momento essenziale e cruciale per il cambiamento musicale che stiamo vivendo, sempre alla ricerca di contraddizioni da sfatare e di nuovi miti da porre su di un piedistallo che mai cadrà; e la ricerca di questi ragazzi continua, ce la fanno sentire in pezzi come There is no sound o nella bellissima Pieces of Beach alternando nel finale suoni più battuti e incorporati.

Un disco fresco, solare e a dir si voglia innovativo, soprattutto per approccio, un piccolo gioiello che brilla di luce propria e di cui non possiamo farne a meno.