1st class passengers – Weapons of mass distraction (Animal Farm)

Le bambole sono a terra, l’età dell’infanzia si è sciolta come neve al sole e tutto attorno appare grigio, triste, di una calma assordante se non fosse per due bambine che guardano le loro armi di distrazione di massa: i cellulari, come fossero oracoli; strani strumenti da seguire ad ogni costo e in ogni dove.

Un ep auto-ironico, ma anche di denuncia questo dei 1st Class Passengers, band italo-londinese che alla loro seconda prova convince per attitudine, amalgamando generi che partono dal brit pop, passando per l’alternative con spaccati di ballabile funk.

Un disco che ha dalla sua quella capacità di uscire dal coro pur restando dentro ad un genere definito e compreso.

Il punto di forza del quartetto sta nella qualità degli strumentisti, che si portano appresso passati importanti e numerose presenze live calcando palchi di mezza Europa e riconducendo il tutto a questo nuovo progetto tendendo quel filo sottile che li separa dal grande salto di qualità.

Il singolo The great western railway parte da Turner, il pittore, per finire direttamente nelle vostre orecchie, un’esperienza a tutto tondo che ti penetra fin dentro alle ossa, provare per credere.

The conformation change – Soundtrack for a new shape (Of mind) (Autoproduzione)

L’oscurità che conquista, che ti fa scendere negli abissi più profondi di un nulla che avanza al passaggio di un sodalizio musicale che lega elementi di post rock al prog metal d’annata con condensate sonore e cambi repentini che fanno del virtuosismo una traccia di sicuro impatto e di incubi da assaporare.

I Ramstein senza il cantato? I Tool o preferite i più morbidi A perfect Circle?

Le classificazioni non fanno per noi e nemmeno per i veronesi The conformation change che con questo piccole ep di 5 tracce si concedono il lusso di regalare una colonna sonora per i nostri tempi: sporca, distorta, a tratti devastata dal piccolo rumore che può rovinare il granitico muro di chitarre che si staglia inesorabile al passaggio di presenze non del tutto raccomandabili.

5 tracce strumentali quindi che ti lasciano con l’amaro in bocca perché ne vorresti di più, vorresti ancora assaporare i momenti di opportunità lasciati al passaggio di questa band caratterizzata da un suono compatto, tondo e omogeneo nonostante le diversità di genere che si intensificano lungo il disco.

Un album che lascia ben sperare per il futuro, un disco che è ben oltre i limiti dell’immaginabile e di sicura scorta nei momenti di digiuno, un percorso lungo ancora una vita che darà prima o poi i frutti sperati.

NI NA – New Idea No Artist (Autoproduzione)

Breve, ma sentito esordio dei NI NA (New Idea No Artist), duo composto da Giacomo Tebaldi e Luca Rizzo che si lascia alle spalle il ricordo del pop dei primi anni del nuovo secolo trasformandolo con genialate sonore in un ricco album, dove lungo le 4 tracce che lo compongono, si spigionano echi di MGMT, Air e Daft Punk dando un insieme di vissuti che si lasciano alle spalle malinconie invernali per lasciare il posto a sonorità solari e azzeccate, che potrebbero essere facilmente riposte a colonna sonora della nuova estate che verrà.

La fantasia è il pensiero dominante e i nostri la sanno dosare a dovere anche quando si tratta di sradicare la forma canzone e rendere il tutto più sincopato, acceso e ballabile.

Un’unione che si fa unica via per costruire un qualcosa di nuovo, a tavolino, tra amici, considerare il tempo buono, quello giusto, che porterà i frutti sperati e poi se non ora quando visto che ci troviamo nel periodo più prospero di dischi creati che ci sia mai stato e dove quasi tutto risulta uniformato?

Aspettiamo impazienti una nuova creazione, quella vera, quella lunga, che dura più di un respiro, intanto ci riposiamo ballando questi brani: partendo da Bushido e finendo con Hermund, partendo con le orecchie finendo con il cuore.

Beatrice Antolini – Vivid (Qui base luna)

Ascoltare questi dischi ti fa capire che forse stiamo raggiungendo una perfezione che va ben oltre la capacità di investire denaro e tempo per creare un prodotto finito ad alti livelli.

Qui si sta parlando di una cura maniacale ad ogni singola nota, ad ogni singolo istante che Beatrice Antolini vuole raccontare, perfezionando i precedenti e dando quel qualcosa in più che forse è molto difficile da trovare in altre formazioni/cantautrici.

Come in una fotografia si lascia il territorio nazionale per percorrere strade che sono lontane da noi, dal sapore extraeuropeo, delle volte si possono sentire echi medio orientali che ti entrano e non ti lasciano più fuggire,tanto la proposta si fa variegata, quanto la ricerca del mood eccellente è presente in ogni traccia.

Beatrice suona di tutto e lo sappiamo, già musicista con A toys orchestra e presente nella compilation Il paese è reale di Manuel Agnelli e co., la cantante si insidia in modo preponderante già dalle prime battute in PineBrain, passando per l’orientaleggiante Vertical love, echi lontani si ascoltano in Taste of all arrivando alla perfezione sonora in Vibration 7, si scherza poi in My name is an invention chiudendo con sonorità Bat for Lashes in Happy Europa.

Lo scarabeo si insinua lentamente dentro il tuo corpo cambiando colore, come in una mattina di sole il tuo sentire si trasmuta dando forma ad un arcobaleno di pensieri sinceri, che si possono condividere e che fanno di te una persona migliore.

Un disco elegante, ben suonato, sicuro e destinato a diventare uno dei più bei dischi del 2014.

Il fieno – Del conseguimento della maggiore età (Autoproduzione)

Ascoltare questo breve singolo di Il Fieno mi viene subito a mente un moto ondoso che parte dalla voce quasi disconnessa per raggiungere sicurezza cosmica in testi che raccontano Il conseguimento della maggiore età toccando un vissuto che fa parte di noi, come inesorabile è lo scorrere del tempo che ci caratterizza in quella fase della vita che ci accomuna e che per un attimo ci fa sognare.

Sembra un piccolo concept album che parte con la title track fino ad arrivare a T’immagini Berlino, passando per L’alba.

Un racconto che si snocciola facilmente tra poesie adolescenziali e vincoli genitoriali e sociali da evitare e poi quell’attesa nell’alba che porta al cambiamento sperato in un’onirica visione di Berlino e di un viaggio che vorrebbe essere la fine dell’inizio.

Solo 3 canzoni per raccontare come in un’istantanea uno spaccato di vita, che i nostri raggiungono in modo esemplare quasi fossero loro stessi eterni inseguitori della giovinezza desiderata.

Perry Frank – Music to disappear (Idealmusik Label)

Tuffati nel fiume della memoria, accarezza l’acqua che ti circonda, assapora il sentore delle foglie che si dibattono nelle insenature, lasciando al risveglio un’unica via di salvezza.

Corri, corri lontano, calpesta tutti i fiori che vedi in un’unica e vibrante composizione di note che si intreccia piano piano con i pensieri che occupano la tua testa.

Ed ora vola, vola nel cielo più limpido, dove l’azzurro fa capolino con qualche nuvola sfocata che ingigantisce le ali di qalche uccello sparuto e distratto.

Regalati attimi di vita, quella vera, assaporata e vissuta, abbandonati al lento incedere dei passi sulla neve che costringono la camminata ad un vero e proprio sforzo incommensurabile, ma impercettibile.

Perchè di questo siamo fatti e Perry Frank lo sa bene, come una luce che fioca ci illumina, queste 12 tracce raccontano la vita, un’evocativo e suggestivo scorcio di ognuno di noi dove lo strumentale si inerpica pian piano con Sigur ros e The Album Leaf.

Un disco di puro ascolto, sognante, dove lasciarsi andare e non chiedere più nulla a quello che deve arrivare.

Abbiamo bisogno del momento da assaporare, dell’attimo da cogliere per distinguerci dagli altri e finalmente poter vedere con gli occhi di chi non hai mai visto.

MEnestro – MEnestro (Autoproduzione)

Incalzante e sconveniente, elegante e graffiante in testi mai banali escogitando fraseggi sonori che si inerpicano nelle coscienze sotterranee per estrarre linfa che ci fa sopravvivere.

Un ep d’esordio questo Menestro che ha tutte le carte in regola per diventare un qualcosa di più, quel qualcosa che potrebbe trasformarsi immediatamente in parabola ascendente che regala soddisfazioni a non finire, cercando di mantenere il rapporto inalterato che Luigi Fiore tenta di esprimere lungo le 5 tracce del disco.

Si perchè al consolatorio: ne vedremo delle belle in futuro, si contrappone un’esistenza raccontata tra cumuli di macerie dove solo la voce indifesa di un bambino contro il resto dell’umanità, può dare ancora segni di speranza e di vita.

Ecco allora che le canzoni si trasformano attraverso ossimeri e parole che si annullano come in Tutto il mio niente, regalando una falsa motivazione di base in Equilibrio, passando per la bellissima Il male sottile e chiudendo il tutto con le improvvisazioni pianistiche in L’attentato.

Un felice esordio quindi che si fa altoparlante per il mondo, una voce che vuole gridare la propria presenza, un inno di reale in una realtà immaginaria.

Foxhound – In Primavera (Self release / Chicchicken / 211db Studio)

Ascoltare i Foxhound è come prendere nelle mani una manciata della miglior alternative presente ora a livello internazionale vedi MGMT, Arcade fire ecc… e lanciarla indietro di trent’anni quando la new wave la faceva da padrone e quando un genere si stava definendo nell’indefinito incedere miracoloso del tempo che trasforma il passato in qualcosa di nuovo.

Quel passato che solo nel dirlo è già tale e i nostri di manipolazioni temporali ne sanno qualcosa.

Già vincitori, con il precedente album, di premi importanti, come miglior band del 2012 nel mega contest del M.E.I in questo disco il suono è ancora più incalzante, sicuro, che non lascia scampo alla monotonia e la trasforma per dare vita a qualcosa di unico.

Il tutto è cadenzato da una batteria in dub che conferisce a questo In Primavera un suono internazionale che colpisce per diversificazioni e stratificazioni sonore che si percepiscono in perle quali Erase me o la Floydiana Gasuli perpetuando sogni di gloria in That’s the sky o nel finale ricercato di My life is so cool.

Un disco fresco, originale, quasi a definire un nuovo genere.

E se fossero proprio loro che hanno inventato un nuovo stile, intriso di madido sudore e diamanti da poter ammirare? Ai posteri l’ardua sentenza, a noi spetta solo il compito di schiacciare di nuovo play, perché questa musica non esce dalla testa tanto facilmente.

Massimo Ruberti – The city without sun (Dogana d’acqua produzioni)

Manipolazioni elettroniche per musica da cinema, cosi definirei la prova al di sopra delle righe di Massimo Ruberti: The city without sun

Il tutto suona come un frullato di neuroni che si concentrano nel creare un’alchimia perfetta, che scena dopo scena si inerpica in territori inesplorati e i tagli servono nel montaggio per dare un senso di disorientamento profondo, ma ricco d’atmosfera che crea quella commistione ambiente-percezioni sensoriali che solo in pochi riescono a mantenere nel tempo.

In questo disco c’è la fantasia di chi sa generare, controllandoli, suoni di altre galassie, convogliare e canalizzare una musica ultraterrena che si lascia andare in modo maestoso utilizzando gli strumenti più disparati accostandoli a generi del tutto inusuali.

Le 10 tracce che compongono il disco formano un viaggio continuo che andrebbe presentato nella sua interezza, quasi ad ascoltare quel silenzio assordante che si staglia sui vetri di una finestra in un giorno di sole.

Qui però il sole non c’è e le creature che vivono dentro a questo disco non sono di questo mondo

Forse ci troviamo dentro un film?

La fine di settembre – La fine di settembre (Dreaming Gorilla Records)

La fine di Settembre è una band che ha tutte le carte in regola per fare della musica una passione che va ben oltre l’etimologia del termine, configurandosi tra le migliori proposte che la scena indie italiana di genere può donare in questo periodo.

I testi sono in italiano e questo è un punto che gioca a favore di questi ragazzi che imprigionano energia viscerale ad ogni singola nota, ad ogni singolo accordo.

Le influenze ci sono e si sentono, affondando le radici nel grunge dei primi ’90, anche se i nostri sono capaci di intersezioni lunari e capacità che non sono di tutti di far propria una corrente per scardinarla e cercare una via più personale da seguire.

I nostri in questo se la cavano molto bene e riescono a regalare lungo le 5 tracce un viaggio di sola andata verso sonorità distorte quanto basta per far tremare la terra dove siamo appoggiati.

Si discostano da questo insieme pezzi come Polvere e Inafferrabile, in cui il gridato diventa più più pulito, regalando matrici di sogni adolescenziali da far uscire dal cassetto per trasformare ciò che può essere melodia in qualcosa di più personale e concreto.

Auspichiamo che questo loro sogno si trasformi in un full-length, lontano da categorizzazioni di genere e con un occhio che guarda verso il futuro.