L’Arcano & The Micro B Orchestra – Dentro il baule (Irma Records/Mandibola Records)

E’ un riscoprirsi bambini, attimi di gioia nel vedere spuntare fuori da quel baule in soffitta oggetti che lasciano il presente per atterrare nei ricordi in modo del tutto naturale, come fosse alchimia pura raggiunta, uno strappo all’età adulta per tornare piccoli e felici.

Prendere poi tutti quegli oggetti e condividerli con gli altri, un tesoro per un tesoro, un lasciarsi trasportare da ciò che più ci appartiene per creare un tutt’uno con la persona che li riceverà.

Ecco allora che L’Arcano e i Micro B Orchestra si concedono il lusso di farci fare un tuffo nel passato più lontano, quando ancora l’innocenza ci prendeva in un raffinato disincanto, tra sapori d’altri tempi e voglia di provare e sperimentare.

I nostri raccolgono tutta questa eredità per contaminare il loro suono prettamente hip hop con spruzzate di jazz e incursioni dal suono vintage per proporre un’inconsueta formula che suona innovativa e alternativa al già sentito.

Sentirsi trasportati sulla scia dei ricordi, che accomunano Luca Kato Caminiti, Francesco L’Arcano Bonanni, Andrea Ras Mancuso e Hugo Foktu Hannoun è come prendere la DeLorean rispolverata e precipitarsi tra i sassi di una ferrovia, tra le fontane non ancora arrugginite; è un scavare nelle profondità della coscienza per riscoprire un bambino abbandonato, il Disarm di Billy Corgan e compagni, quell’altalena trasportata dal vento fino al calar della sera.

Un disco anomalo, ma che ci inorgoglisce, ci inorgoglisce perché ha saputo utilizzare una forte capacità personale per dare senso maggiore ad un genere che in Italia stenta a decollare, un album che scava nella memoria, nel beat concitato, nella sostanza di cui siamo fatti, pronti a gettare le basi per un qualcosa di nuovo pronto al cambiamento.

 

Luca Olivieri – La saggezza delle nuvole (AG Prod)

Il saggio dal cielo che si innesta in modo malinconico introspettivo in una realtà fatta di clacson assordanti e muri del suono creati per distogliere il nostro sguardo da ciò che è essenziale e importante per Noi, suoni che provengono da lontano come una cascata di pioggia circondata dai rami degli alberi e dal tempo, unica ragione di vita, unica ragione per poter sopravvivere.

Luca Olivieri, al terzo disco, ci regala del tempo, 7 anni di produzione in giro per il mondo confezionando una pagina importante della sua vita, in circostanze imprecise, ma collocate in un essere che vuole concedersi velatamente, frutto di una ricerca stilistica che si lascia raccontare e stupisce per eterogeneità e capacità artistica indissolubile.

Entrare nel mondo di Luca è percorrere un strada fatta assieme a personaggi di notevole spessore come Caroline Lavelle, già violoncellista con Radiohead Muse, Massive Attack, tanto per citarne alcuni, il cantautore Andrea Chimenti, Saro Cosentino collaboratore storico di Battiato, Cesare Malfatti, membro fondatore dei La Crus, passando per il trombettista Giorgio Li Calzi, il sassofonista Nicola Alesini, la vocalist Romina Salvadori e altri ancora.

Un disco fatto di malinconie invernali e una forte presenza di teatralità cinematografica, il raccontare attimi di luce che spariscono al tramonto e in forma ancora più incisiva il passare del tempo nella dolcezza dell’abbandono, il viaggio che è meta, ma anche crescita, lasciando il testimone della vita agli altri che verranno, un ineluttabile trascorrere che attraverso gli occhi si fa vero, intenso, quasi leggiadra visione di un tempo lontano.

Sincronizzatori di eleganza si innestano lungo le nove tracce, che parlano della morte, ma anche della vita, il ritorno della nostra coscienza ad uno stato di essenzialità e al nostro futuro  chiedere soltanto di vivere.

Management del dolore post-operatorio – I Love You (La Tempesta)

Raccontarsi sul filo del rasoio intessendo la trama e andando al fondo della questione con testi che si dipanano tra ombre di chiaro scuro fendenti che fanno subito presa, si contorcono e lasciano ad ogni ascolto un significato nuovo, un significato diverso, nulla è dato al caso anche se può sembrare così, nulla è così diverso da come ce lo aspettavamo, quello raccontato è il nostro Paese e la nostra volontà di rimanere a galla.

Non è l’altro disco, quello per cui vengono ricordati, non lo è di certo, ma i testi sono ancora graffianti, graffianti di quella complicità con un passato che sancisce un’eredità fatta di savoir faire emozionale che, come su di un grande cruciverba, incasella parole dentro a spazi rigorosi.

Luca subisce quindi il passato, ma rincara la dose scrivendo un album più introspettivo, di denuncia sociale, un mondo annichilito dalle radici, un mondo che per essere cambiato ha bisogno di una ricostituzione fondante dal basso, annullando mode, cliché e fotocopie di noi stessi.

Due testi sono di altri autori: Scrivere un curriculum è tratto dalla poesia del Nobel Szymborska, mentre Il mio giovane e libero amore è tratto da uno scritto anarchico del 1921, dove la libertà è un gesto precursore di qualsivoglia insofferenza amorosa.

Un disco che racconta il destino ineluttabile e che canzone dopo canzone, traccia dopo traccia, narra in modo schietto e diretto un’Italia in decadenza: il lavoro che manca nella Patria dove si sta bene, l’indifferenza per gli altri in Le storie che finiscono male, l’incapacità di proseguire nel nostro futuro Per non morire di vecchiaia, tra i molti destini in mano a pochi; e poi ancora un invito a lottare per raggiungere un fantomatico paradiso o inferno in Vieni all’inferno con me , la formula non cambia, un luogo o l’altro è solo un pretesto per sopravvivere, un pretesto per vivere, perché capire come amare la nostra vita è l’unico progetto che abbiamo.

Parte Lesa – Lo scambio (Autoproduzione)

Vengono da Brindisi e fondono la new wave anni ’80 con un progressive rock di matrice anglosassone che si intreccia a voci maschili e femminili per raccontare in modo superbo, narrativo e originale un’Italia che non c’è più.

Un album non dichiaratamente politico, ma che parla espressamente di Noi, del nostro modo di essere e della nostra parte più combattiva, quella che ci permette di aggrapparci nei momenti peggiori della nostra vita, quella che ci permette di sopravvivere sopra ogni cosa, oltre ogni pensiero, oltre ogni immaginazione.

Testi poetici e ben strutturati ci schiaffano la realtà così in modo diretto ed esplicito, in modo quasi sensazionale, raggiungendo apici di poesia onirica che a tratti, a gesti, rende la proposta un’esemplare rappresentazione di uno spaccato di società che non viene sentita e che non viene ascoltata, uno spaccato di Noi che relegati ad essere umili consumatori chiniamo il capo giorno dopo giorno.

Questa però non è la lezione dei Parte Lesa, loro ci insegnano a lottare, a denunciare, a vivere in modo pieno facendo della nostra vita uno strumento legale per una politica che è di tutti, che non abbandona nessuno, una politica a favore di quelle classi sociali più deboli e prive di diritti, tra sonorità in espansione e lotte sindacali, Tra Lecce e Nardò passando per L’errare e Paga Bobo: rivendicazioni di classe per valori che non esistono più.

Ecco allora che ritorna l’essenzialità del valore, il credere in un ideale che sempre più fa parte della storia, un ideale però che deve tornare ad essere nostro, come la storia del resto, in un moto ondoso continuo che prima o poi si calmerà per renderci uguali l’uno all’altro.

Malamanera – Il primo passo (Autoproduzione)

Musica d’autore scanzonata e spensierata che grazie ad un ritmo latino ci proietta inesorabilmente in un mondo fatto di colori e sensazioni, ritornelli facili da memorizzare inglobati da una linea melodica che prende fin dalle prime note.

Un disco ricco di sole, che lascia da parte le malinconie invernali per concedersi in un solo e lungo caldo abbraccio, un momento di pace interiore che rispecchia in primis un amore sconsiderato per la natura, quella natura raccolta e coltivata, una natura che dona frutti sperati e ripaga dello sforzo fatto grazie ad un suono dub incuriosito dallo step avvincente di fisarmonica incastonata con la batteria.

La voce poi si innesta perfettamente creando con basso e chitarra un incalzante filastrocca continua che si fa portatrice di un suono fresco, non troppo manipolato e che si lascia all’intuizione brillante e pulita di un levare accompagnato dal reggae sud americano e decantato tra samba e ska nostrano.

Otto composizioni che seguono una linea guida, otto canzoni che parlano di noi e della positività partendo con Maldita e finendo con Tu Que tra viaggi sognanti in territori lontani e selvaggi.

Un disco d’autore quindi fatto da una band, un disco che si racconta si con leggero impegno, ma che si lascia anche trasportare dall’emozione e dal contatto con qualcosa che per consuetudine è lontano, ma che grazie alla scoperta risulta essere incredibilmente vicino.

ZoaS – Mexina (Autoproduzione)

Incursioni sonore elettriche che distruggono qualsivoglia appoggio per fecondare una terra che non dona, per dare un senso ad un mondo che pian piano sta scomparendo sotto i nostri piedi incrociando capacità stilistiche ad aggressività temperata che non sfigura, ma che si concede spazi di isolamento ed implosione per esplodere quando meno te lo aspetti.

Mexina è un disco di denuncia, dichiarato che ci comunica un disagio e l’inesorabile lentezza di un tempo che non trascorre, ma che subisce il contatto con l’elettronica di massa e il disinteressamento totale verso tutto ciò che potrebbe essere cultura appagante, figlia del passato che deve tornare ancora ad essere nostro.

Musicalmente ci troviamo davanti ad un gran bel progetto di indie rock sul pesante contaminato da sintetizzatori industrial che legano in modo affilato Interpol, Editors, il tema conduttore del disco e le capacità dei cinque di creare sovrastrutture sonore che non sfigurano, ma anzi danno maggior qualità al concetto da esprimere.

11 pezzi con un Intro e un Outro a chiudere il cerchio, trovando in mezzo Sicilia Mon Amour, Mexina, Webstar e Qualunquismo Bipolare a rimarcare con vigore un concetto che prende le distanze dai cliché abituali per rinascere e infondere materiale resistente su cui fondere le proprie aspirazioni.

Secondo album riuscito, maturo e in qualche modo elegante, l’eleganza che abbatterà il sistema in una polvere rumorosa che lascerà il segno.

Calvino – Gli Elefanti (DischiMancini)

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Calvino è esperto sognatore che dopo la prima egregia prova, già recensita sulle nostre pagine, dimostra di avere appreso molto sfruttando quel pizzico di arrangiamento in più che non guasta per dare al nuovo disco un aspetto di imminente impatto e sapiente capacità di espressione.

Niccolò Lavelli si concede e si racconta, tra storie affascinanti e stralunate, tra memorie e fotografie legate al tempo, legate al ricordo, legate a se stesso, ma non solo: racconta attraverso un immaginario tutto suo un mondo fatto di creature eleganti e arcane, passeggere e sagge.

Gli elefanti cha appaiono nel suo nuovo album portano un segreto che solo chi riesce a guardare da vicino potrà scovare e solo chi si farà astronauta sarà in grado di perpetuare in un moto infinito la conoscenza in disincanto di costruzioni sonore dirette, semplici, ma nello stesso tempo profonde.

L’uso di soli strumenti vintage consegna alla prova un sapore di retrò, Wurlitzer, Rhodes, Minimog piuttosto che ampli come il Fender Princeton e elettroacustiche come la mitica Guild Starfire V, una musicalità quindi che prende corpo, che riesci a percepire come solida, tangibile e piena come non mai: elegante contrapposizione alle freddure della nostra epoca.

Testi moderni quindi con un suono del passato partendo con L’amaro in bocca e via via fino all’ultimo pezzo Nuovo mondo, senza mai perdere di vista l’orizzonte, senza mai perdere di vista il traguardo finale.

Un disco maturo, che dona ad ogni ascolto una meraviglia diversa e sa conquistare anche i palati più esigenti grazie alla spontaneità e alla naturalezza che con Calvino non manca mai.

Zidima – BuonaSopravvivenza (Nel mio nome/I dischi del minollo/Rumori in cantina)

Un parlato lacerante che suona qualsivoglia aspirazione e delega per un momento il sogno a farsi incubo per raccontare, attraverso il viaggio nella realtà, una questione di vita e di morte una questione tanto cara a noi umani, una questione si sopravvivenza.

La sopravvivenza è un augurio che si fa portatore di speranze zero, un augurio usato come eufemismo per raccontare in modo disinvolto e tangibile un mondo in decomposizione che si staglia da nord a sud in un oppiaceo piacimento di corruzione e moda snob da cui tentare di uscire, da cui tentare di essere se stessi.

Incrociatori tra gli abissi, echi nell’oscurità, volti che si affacciano alla finestra del mondo, tentando ancora una volta il salto verso un qualcosa che deve continuare ad essere nostro, con caparbietà, con sicurezza e con denuncia.

I Massimo Volume incontrano i CCCP in un viaggio letterario tra testi soppesati e ben studiati che non sfigurano, ma arrivano diritti al bersaglio penso a Un oceano di fiati distrutti o alla commemorativa L’autodistruzione, passando per Saziati e la title track finale.

Gli Zidima sono distorsioni che colpiscono allo stomaco, sono grida di dolore verso ciò che non c’è più e verso ciò che abbiamo paura di perdere, sono il buio contrastante la luce e sono tutto quello che fa parte di Noi, l’ incedere nelle nostre mani di acqua e aria che sempre non possiamo bere, sempre non possiamo respirare.

BluDiMetilene – La Rivolta (GoodFellas)

Passare il confine, scoprire che quello che trovi è solo un baratro di oscurità, un baratro dove tutto sembra vicino e inesorabile si dimostra distante, lontano da noi, lontano dagli occhi e dal nostro cuore di pietra; ecco allora che dal nulla troviamo la speranza, quella speranza che sembrava perduta, la troviamo in una sola parola: Rivolta.

La Rivolta è il nuovo disco dei BluDiMetilene, che grazie a questo concept album ben studiato, portano in scena un’interessante visione della realtà che si innesca e si interseca prepotentemente con chi sta ascoltando, immaginando territori ostili da cui uscire, da cui fuggire e dove il voltarsi indietro sarebbe solo un’unica spinta vorticosa verso il basso.

Quello che il gruppo però ci racconta è ben altro perché il costrutto del disco non è un viaggio immaginario, ma una lotta continua alla società, oggi più che mai disorientata, alla ricerca di valori perduti e in bilico con la necessità di ricrearsi, di ritrovare se stessa e in qualche modo di ricostruire un mondo che la società ha portato alla catastrofe.

Suoni rock internazionali che mescolano grunge ad un qualcosa di più tangibili, fresco e vigoroso, che trasmette energia e che in qualche modo collassa al suolo come meteora creando al proprio passaggio un cratere di cambiamento.

Uomini dei noi non siamo più e tutta la poetica è incentrata sul bisogno di reagire quando l’aria manca, quando noi non siamo più noi stessi.

12 tracce di puro rock esistenziale che parlano del nostro io introspettivo che cerca un inizio dopo la fine, ancora una volta.

 

Vallone – Multiversi (Musita/Audioglobe)

Paolo Farina grazie al suo nome d’arte omaggia Raf Vallone: attore, calciatore, giornalista e partigiano, in un disco dal sapore cantautorale e capace di proiettare la memoria di un tempo passato verso scogli che si possono accarezzare, verso fotografie e onde di una cultura dispersa che ricercano con grazia dell’abbandono un lieto sperare in cose migliori.

Il cantautore pugliese, presenta nella scena italiana fina dagli anni ’70 e poi rimasto dietro le quinte dall’80 al 2000 si cimenta in una prova ben soppesata e magistralmente interpretata, una prova in cui gli arrangiamenti sono parte integrante di un tutto che crea un trasporto emozionale capace e convincente, dall’alto tasso di veridicità e capace di costruire ponti con un passato che non c’è più, ponti che guardano al futuro e che si concentrano sulla parola: unico mezzo inequivocabile per raggiungere una multiculturalità sentita e vissuta appieno.

Per l’occasione troviamo alla co-produzione artistica il produttore/cantautore Lele Battista e al Mastering la supervisione di Paolo Iafelice già al lavoro con De Andrè, Capossela e Silvestri.

Un disco quindi che attinge alla nostra conoscenza, alla nostra capacità intrinseca di essere diversi e anche se condizionati da un mondo esterno, capaci di mantenere una soggettività introspettiva e necessaria per vivere.

10 pezzi come 10 fotografie, il sangue che scorre nelle vene, i ricordi, l’uguaglianza e poi la capacità di entrare nelle storie di vita vissuta, c’è Fante trasportato nel futuro, l’ideale di Due di Due in Sette anni fa che si interrompe con l’ineluttabilità della vita e poi c’è l’amore mai gridato, ma sussurrato ancora una volta, ancora, per l’ultimo istante.

Cantautore soppesato Vallone, che concede spazi di geometrie esistenziali tra un dribbling e una nuova sequenza cinematografica, tra il tempo passato a lottare in prima linea e il tempo passato a sperare.