NI NA – Only Ghosts (Nimiq Records)

copertina

Una nuova idea, una nuova concezione astratta, ci avevano abituati bene con il loro primo omonimo EP e questo disco completo conferma la maturità artistica dei NI NA e la capacità di snocciolare dance e musica elettronica con cantati in inglese e peripezie quotidiane che sfidano l’infinito e lasciano ai piedi infuocati in pista il gusto di dire come il giorno finirà.

Gli avevamo lasciati nel 2014, questi Daft Punk  italiani e ora li ritroviamo direttamente sommersi da sintetizzatori abissali e vocoder distorto che rendono i ritmi, percorsi sonori, capaci di imbrigliare le concezioni del tempo e creare una realtà fatta di immagini psichedeliche e trance suggestiva, movimentando il tutto con la presenza in due featuring di Naif Herin in Amy e di Clelia Antolini in True Romance a valorizzare un disco di tentazioni future e di luce brillante a calcare la scena, ad illuminare i club che il duo ferrarese ha potuto calcare in questi anni.

Un disco pieno e transitorio che non cerca compromessi, ma immola l’arte della musica come pensiero costante dentro al proprio corpo, quest’ultimo utilizzato come strumento per trascinare e inglobare un pensiero che di certo farà tremare anche la notte più nera.

So does your mother – Neighbours (Autoproduzione)

Debutto discografico per la band romana che fa parlare di se grazie alla commistione onnipresente di prog dal sapore d’altri tempi e l’unione con l’elettronica in musica che caratterizza le produzioni più odierne, specificandosi nel genere e facendo del loro collettivo un animale festaiolo dance che sfora il coprifuoco e capace di donare certezze e ospiti illustri come Ike Willis, storico cantante e chitarrista di Frank Zappa e le cantanti Ghita Casadei e Maria Onori.

I vicini escono con la primavera, stagione di rinascita e conquiste, il modo con cui i nostri si rivelano è uno sbocciare di un albero chiuso dal tempo dell’inverno e pronto a scuotersi lentamente per lasciare agli occhi i migliori fiori da assaporare in una musica che ha una forte connotazione internazionale, spruzzate di jazz, funk e grande capacità intrinseca di mettersi alla prova, di conquistare l’ascoltatore con ritmi in divenire e sonoramente persistenti e incisivi.

Un disco per far ballare, pensato per stupire e racchiuso da un cofanetto in un packaging inusuale e di sicuro effetto, segno dei tempi che verranno e di una stagione nuova da assaporare.

 

Les Jeux sont funk – Erasing rock (Irma Records)

Musica contaminata dai colori dell’arcobaleno e della neve, in un groviglio esistenziale pronto a sdoganare il rock vecchia maniera per far si che la ricerca sia da stimolo vitale ed essenziale nella trasposizione meticolosa dei suoni e delle ragioni che spingono a creare melodie di una bellezza non di certo rarefatta, ma ostinata, per una prova dal sapore moderno e soprattutto internazionale capace, attraverso un gioco di parole sin dal nome del gruppo, di sradicare le convinzioni del passato per creare un sodalizio tra elettronica e funk, tra strumentale e composizioni lunari che vanno oltre il già sentito, tra echi di St. Vincent passando per Daft Punk e Funkadelic in un Groove deciso e di spessore, una eco continua di rimandi al passato con orecchio proteso al futuro, capace di segnare, in modo indelebile, una strada poco battuta in Italia e in grado di trasformare un’esigenza in qualcosa di più ampio respiro.

Sorge – La guerra di domani (La Tempesta Dischi)

Sorge l’alba oltre l’oscurità e scuote l’uragano che ormai inesorabile si sta avvicinando verso noi che viviamo di calma piatta, di una calma che non si fa sentire se non nelle quotidiane noie popolari, di quella calma che adombra e confessa l’importante inutilità.

Chiaro scuri emozionali per il disco di Sorge, duo elettronico/pianistico formato da Emidio Clementi e Marco Caldera, un album cupo e rassomigliante per certi versi ad una colonna sonora per un film americano ambientato nella grande depressione; poesie crepuscolari, che si nascondono dentro alle grotte dell’anima e si considerano parte di un tutto che risiede nelle nostre vite, nelle nostre abitudini di umani alquanto pretenziosi e incapaci di ascoltare.

Sono racconti, dieci racconti che collimano su di una poesia esistenzialista e a tratti verista, che racchiude il mal di vivere e forti rimpianti per un tempo che non c’è più, raccontando della sostanza di cui siamo fatti, raccontando il risveglio e la pioggia sui vetri, raccontando di sogni gettati più volte al suolo e di quell’eterno camminare senza meta verso gli ambienti pluridimensionali della nostra mente, dove una volta, forse, ridevamo ancora.

Volver – Octopus (Autoproduzione)

Volver è prima di tutto passione per il cinema che si incanala in un suono di puro effetto tastieristico e ingombrante capace di rallentare il tempo e proiettarci lungo tutto ciò che è dissimile a noi per farcelo amare, apprezzare, anche perché le conseguenze in questo loro Octopus sono tutt’altro che prevedibili e sanciscono un connubio tra musica e arte visiva ben congegnata e sentita.

Un disco che cita Nosferatu nel loro video di presentazione dell’album, Octopus poi è otto simbolo dell’infinito, come otto il numero di tracce che spaziano e sconfinano tra rock, blues, psichedelia ed elettronica, ammiccando ai suoni perfetti dei rockers da stadio degli anni ’90 come U2 e Bon Jovi pur mantenendo una caratterizzazione del tutto personale, quasi analogica nel complesso mondo del digitale.

Un album ricco di anfratti, ma che suona aperto, ritorna e si trasforma, sempre in cerca di nuove attitudini, alla ricerca di quella canzone perfetta che fa da corollario ad un immaginario che è racchiuso nella nostra testa e che a fatica tenta di uscire.

Bright Lights Apart – As everything falls apart (Autoprduzione)

Rock che sposa l’elettronica e la new wave incantando per uso di synth e soppesando di buon gusto una capacità costruttiva che è pura geometria esistenziale in un buco nero, capace di esigenza sonora e di utilità nel reagire al mondo di tutti i giorni, al mondo come lo conosciamo in una tempesta di fulmini e luce che non lascia scampo alla tenebra che avanza.

I Bright Lights Apart sono una band di Rovigo capitanata da Miles T e come creatura cangiante fonde i suoni più cupi degli anni ’90 per investigarli al meglio e trarre un vantaggio, nel sospirato tentativo di dare nuova linfa vitale a questa commistione di big bang non solo pratico, ma anche teorico tra accozzaglie sonore di questi ultimi tempi.

I nostri ne escono vincitori; curioso di poterli assaporare in chiave live il loro rock fa presto centro nelle sensazioni dell’animo umano, un rock che prima di tutto parte dall’anima, la cosa più pura che abbiamo, pronta ad intercettare cavalcate sonore che si fanno attuali pur raccontando del tempo andato.

An electronic hero – Isoipstar (Autoproduzione)

Viaggi cosmici spaziali in grado di contemplare lo spazio da un nuovo punto di vista, suoni stratosferici che si innalzano sopra le nuvole della quotidianità e incrociano pianeti amalgamati nel buio eterno, conquistano nuovi bisogni e cercano di osservare la materialità da un nuovo punto di vista, un’idea concentrata al tempo stesso, un’idea che è parte del tutto.

Tre pezzi soltanto, che vantano un’internazionalità di sicuro impatto, capace di dare freschezza e concentrato in divenire, con Fireworks che ricorda il Blake migliore, processato con cura e disintegrato, senza dubbio ricomposto e sicuramente sognato.

Un album che riempie il tempo, riempie il mondo di sintetizzatori universali, un disco che stupisce solo per il fatto che allo scadere dell’ultima canzone riparte, con un po’ di amaro in bocca, esigenza che di questa musica ce ne sia ancora per molto, superando le barriere territoriali e andando oltre, lassù.

Babylonia – Multidimensional (Smilax/Universal Music)

Universi paralleli da scoprire e lasciare poi alle spalle direzionando la ricerca verso mondi lontanissimi e ancora inesplorati dove la musica si protrae ancora senza fine.

I Babylonia sono tutto questo e al loro quarto album Multidimensional si appropriano del concetto di plurisfaccettatura per comporre una piccola opera sul concetto di spazio, che parla di amori e abbandoni, costrutti di vita e maggiore capacità intrinseca di essere noi stessi ancora e sempre.

Musicalmente i Babylonia sanno esplorare la musica elettronica di fine anni ’80 con echi primordiali agli italiani La Crus del decennio successivo non disdegnando quella capacità di coinvolgere l’ascoltatore con arrangiamenti ben calibrati e studiati a tavolino, dove il prodotto finale è emblema della ricerca precostituita; un disco che già in partenza si dedica, in tutto il suo splendore, alla prematura scomparsa di un membro fondamentale del duo: Robbie Rox; una perfetta sintesi tra musica elettronica e sperimentazione sonora, dove a farla da padrone non sono semplicemente le musiche, che solo quelle basterebbero, ma i veri e vissuti di vita che si stagliano nelle penombra del nostro divenire.

Ecco allora che il disco si svolge in tutta la sua ampiezza e dove il singolo Love is healing è caposaldo nonché giro di boa per le nostre vite e il nostro raccontarsi, quel raccontarsi la dove i pensieri si stagliano all’orizzonte alla ricerca di una terra sperata, di una terra dove poter mettere radici.

Eniac – I, Mother Earth (Edison Box)

Il pianeta terra non è mai stato così capito, non è mai stato così sviscerato per essere compreso, una sostanza mutevole egregiamente manipolata dal nostro Fabio Battistetti, in arte Eniac, che attraverso le suggestioni elettroniche ambient ci regala un concept sul costrutto e sul paradigma essenziale che ci lega indissolubilmente alla madre di tutte le nature e approfondisce con un solo gesto un mistero filosofico dal grande impatto emotivo.

Già conosciuto per le sue prove di installazioni emozionali e strutturali il nostro si affaccia perennemente con questo suo progetto ad una prova fatta di minimalismo, che sa raccontare, captando segnali dal futuro vicino a noi, quasi i Nova sui prati notturni con le loro rilevazioni ambientali, quasi un’esigenza incompleta di proferire eleganza raccontando di radici che sono alla base di ognuno di noi.

Ecco allora che i dieci pezzi si dipanano tra le ombre sonore di una meccanica mai edulcorata, racchiudono l’essenza della vita stessa, un viaggio in orbita per vederci più da vicino e per farci capire che siamo parte di una realtà tante volte sottovalutata; un disco per farci tornare sui nostri passi, tra gli elementi della natura, tra noi piccole formiche tante volte così insignificanti.

NREC – Signals (Musicacruda/TunaRecords)

Questo è il disco del millennio che deve arrivare, è un disco di grattacieli in fiamme e di anime dannate e corrotte che cercano un modo per rinascere nuovamente, un disco di elettronica che non è solo elettronica, ma è colonna sonora meravigliosa suonata da Enrico Tiberi, che si tuffa in modo perentorio e classicheggiante tra passato e futuro, gli anni ’80 e i sintetizzatori per arrivare con le basi snocciolate di Apparat e le sospensioni sonore a creare substrati intelligibili di finezza amalgamata, di composita meraviglia che si fa arte, che manda segnali da una fotografia sbiadita di un tempo, una Lomo che racchiude la nostra esistenza e allo stesso tempo una musica che è impossibile non amare: estrazione di cinema, estrazione di film, estrazione di vita eterna.

Dieci tracce dove nulla è lasciato al caso, tutto è curato fin nel minimo particolare e dove le incursioni millimetricamente pensate sono l’esigenza di chi possiede una forte capacità di inventiva.

Un album quindi che è stato ragionato e voluto, la dicotomia uomo animale che si espande fino agli abissi più profondi, alla ricerca di espansioni cosmiche sul divano di casa, alla ricerca di un punto d’entrata in altri e più oscuri universi paralleli.