Devocka – Meccanismi e desideri semplici (Dimora Records)

album Meccanismi e desideri semplici - Devocka

Urtare il muro dell’ignoranza, tagliare il suono in quattro e consegnarlo in parti uguali ai nostri punti di riferimento ambiziosi e ricercati, trascritti nelle pagine del tempo e ossidati ora come lastra meccanica di un congegno a noi poco noto, ma impattante, mostruosamente potente e vibrante sogni migliori. Il nuovo dei Devocka parte in quarta dopo sei anni di attesa, non sedimenta ragioni, non piange sul passato, ma ambisce a sfondare il futuro, allargandolo a dismisura e provocando eruzioni visive che attraverso le canzoni proposte si fa membrana malleabile costruita su di una solida base rendendo la proposta contagiosa, caparbia e piena di stile intrinseco. Canzoni che tagliano in due le nostre vite e di certo non lasciano indifferenti, aprono a qualcosa di diverso, aprono a qualcosa che ci impegna e ci rende manifestanti interiori dei nostri desideri più nascosti. Niente perbenismo, niente falsi pietismi in Meccanismi e desideri semplici, piuttosto in questo insieme di pezzi ci sono le parti nascoste e oscure di ognuno di noi, ci sono i pezzi di puzzle della nostra coscienza, pezzi di vetro riappesi con scotch elastico nell’osservare i nostri occhi che guardano un volto in costruzione e soffermanti si protendono alla luce di questa e altre vite. 


Dance with the bear – Disco di platino (Autoproduzione)

 

Incrociatori tappezzati di sonorità dance che amplificano a dismisura un suono che colpisce allo stomaco, che spacca di brutto e diventa irrequieto nella bellezza di testi diretti che non lasciano scampo, ma proprio attraverso una semplicità di fondo riescono a penetrare grazie a refrain memorabili e di sicuro effetto in grado di scardinare in modo egregio il pop italiaco con una formula assai strampalata che mette assieme il nordico Gunther con gli MGMT, passando per Bloody beetroots e la disinibizione di Francesco-C per suoni e attitudine che ricorda il punk più crollato trasportato però nel 2016 implementato quindi da una cura elettronica che non vede fine in nessun pezzo, ma anzi fa da filo conduttore per le nove tracce proposte in un altalenante discesa/ascesa dentro ad una società da interpretare e alquanto lontana dalle forme di comunicazione usuali.

I Dance with the bear con questo nuovo album entrano a far parte di un progetto alquanto interessante, dopo il buon successo di I love you Bears cesellano con astuzia canzoni tormentone che non si interrogano sulla qualità della proposta e di qualità ce n’è tanta, ma piuttosto incanalano tutte le loro energie nello sputare in faccia alla realtà un disco destinato, in primis, a far muovere il culo e questo, di certo, non è poco.

 

 

NI NA – Only Ghosts (Nimiq Records)

copertina

Una nuova idea, una nuova concezione astratta, ci avevano abituati bene con il loro primo omonimo EP e questo disco completo conferma la maturità artistica dei NI NA e la capacità di snocciolare dance e musica elettronica con cantati in inglese e peripezie quotidiane che sfidano l’infinito e lasciano ai piedi infuocati in pista il gusto di dire come il giorno finirà.

Gli avevamo lasciati nel 2014, questi Daft Punk  italiani e ora li ritroviamo direttamente sommersi da sintetizzatori abissali e vocoder distorto che rendono i ritmi, percorsi sonori, capaci di imbrigliare le concezioni del tempo e creare una realtà fatta di immagini psichedeliche e trance suggestiva, movimentando il tutto con la presenza in due featuring di Naif Herin in Amy e di Clelia Antolini in True Romance a valorizzare un disco di tentazioni future e di luce brillante a calcare la scena, ad illuminare i club che il duo ferrarese ha potuto calcare in questi anni.

Un disco pieno e transitorio che non cerca compromessi, ma immola l’arte della musica come pensiero costante dentro al proprio corpo, quest’ultimo utilizzato come strumento per trascinare e inglobare un pensiero che di certo farà tremare anche la notte più nera.

Penelope sulla luna – Superhumans (I Dischi del minollo)

Questa recensione arriva minollodopo 6 mesi dall’uscita di “Superhumans”, ma di certo non può non stupire l’ascolto di questi 8 brani che sono la prosecuzione di un percorso iniziato dai Penelope sulla luna ancora 7 anni fa; toccando picchi di cieli stellati e andirivieni cosmici che non possono lasciare indifferente chi li ascolta anche solo per la prima volta.

Il terzo album in studio dopo il fortunato “Enjoy the little things” possiede intrinseca la colonna sonora del quotidiano condita in salsa post rock da uno strumentale distorto: colonna portante di un film dalle ambiziose aspirazioni.

I 5 emozionano e lo sanno fare egregiamente, perché nella loro musica nulla è affidato al caso e ogni nota è associata ad un ritorno progressivo alle origini di Mars Volta, Mogwai e Don Caballero che penetrando in profondità regalano fiori recisi di uno splendore unico da riporre su di un tavolo per la propria amata.

Pezzi adrenalici come “Superhuman” ricordano il Corgan di Machina che intrattiene ad un party i QOTSA, i passaggi poi tra le varie canzoni sono colpi al cuore dove la tastiera fraseggia in intro eleganti come in “Feathers cry in pillow wars”.

“Rainbow club” con melodie chitarristiche ascendenti sembra essere la canzone più solare del disco mentre “Vendetta” è sussurro gridato e quasi incomprensibile ai più che si dilata fino a scoppiare come mine in defrag.

“Goblin” conta i passi che la portano a “That’s not how the story endes” per un finale delicato che non vuole essere condotto/ricondotto al capolinea.

Bella prova davvero, un concentrato di melodia rumorosa da veri intenditori che affiancando un suono a tratti meditativo ricostruisce con minuziosa precisione i secondi che ci separano dall’esistere.