Sensazionali e compositi i Moruga confezionano una prova oltre le aspettative percependo dagli influssi personali generi e commistioni in grado di combinare indipendentemente corpo, istinto e anima attraverso un suono a profusione ben ponderato. Gallardo è una creatura multiforme, uno spazio angusto che si fa lontano e che pian piano si riavvicina contrastando le energie del momento incanalando la mente in nuvole di polvere e vibrazioni senza fine. La band bergamasca costruisce un suono partendo dal funk, contaminandolo con il metal e con il dark in un sodalizio che esplode attraverso una poesia che lascia spazio a divagazioni ben sopra le righe. In questo insieme mistico di composizioni ci sta il bisogno di comunicare un fuoco interiore che non smette di bruciare, un fuoco che alimenta con costanza la sensazione profonda e notevole che questa band ha creato un piccolo gioiellino contemporaneo.
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Funnets – Wanji (Autoproduzione)
Suoni esplosivi e contorti che si diramano come alberi nelle profondità abissali in una costante ricerca desueta fatta di sogni infranti, incubi da dimenticare e nuovi spazi da trovare in una sostanziale necessità imprescindibile di dare un senso diverso a tutto ciò che era stato fatto nel passato. I Funnets registrano una prova psichedelica per contenuti e lisergica quanto basta per farci fare giri unici in territori celati, nascosti e che in questa manciata di canzoni trovano appigli in registrazioni fantasmagoriche che vanno premiate per originalità e eterogeneità della proposta puntando a colpire l’ascoltatore nello spazio tra il sogno e la realtà. Un viaggio quindi emozionale tra funk e crossover che ha il sapore della spiritualità orientale, un percorso che sembra non finire mai, ma che piuttosto ritrova nella sperimentazione un punto d’approdo per soddisfazioni importanti e soprattutto uniche. Wanji è un album da ascoltare tutto d’un fiato, un insieme di brani che colpisce allo stomaco dell’ascoltatore senza dare tregua, ma piuttosto percependo l’esigenza di farsi da guida per i mondi che dobbiamo ancora esplorare.
Enrico Bevilacqua – Brooklyn (Music Force)
Passione per il funk per un bassista dal forte approccio purista che regala un sound calibrato a dovere e ricco di rimandi alla scena americana e alla motown di James Jamerson in un continuo crescendo emozionale che via via si dipana all’interno delle tracce proposte, alcune strumentali, altra accompagnate da voci femminili calde e soul in grado di creare atmosfera a dovere in un lounge sequenziale da oscurità che via via ricopre il nostro vivere. Un album notturno quello di Enrico Bevilacqua, un disco importante per uno dei più talentuosi bassisti italiani che riesce nell’intento di dare spazio a monologhi in rapida ascesa che approcciano ad uno stile introspettivo ed emozionale, uno stile che per rimando percepisce l’attesa e la fa esplodere attraverso un gioco di luci e ombre, di passione e dedizione sospirata e convinta. In Brooklyn ci sono gli ingredienti per un ottimo album, le canzoni scorrono e stupiscono dando forte connotazione internazionale ad un progetto che non sembra italiano, anzi il tutto crea un ponte d’incontro oceanico tra un sapere e una conquista e mette in tasca l’essenza stessa di una scena che nell’esterofilia pacata guadagna punti meritati.
Elephant Claps – Elephant Claps (Distratti)
Potenza vocale a delineare paesaggi sonori che si intersecano dapprima lievemente per poi concentrare un senso all’interno di una produzione davvero notevole capace di compenetrare l’animo umano attraverso l’uso scandagliato di voci a ricoprire territori inesplorati e mai lasciati al caso, ma piuttosto un cogliere il momento come senso profondo attivato dal bisogno esistenziale di trasformare la propria voce in musicalità sostenuta. Gli Elephant claps attraverso il loro omonimo disco, consegnano all’ascoltatore una prova di capacità canora importante stampata oltre le aspettative e capace di caratterizzare un miscuglio di Afro-Funk-Jazz in un qualcosa che non ha bisogno di strumenti, ma che solo avvalendosi della voce porta un soprano, un mezzo soprano, un contralto, un tenore, un basso e un beatboxer ad identificarsi con un mondo in continuo cambiamento e con l’insaziabilità che solo un certo tipo di musica come questa sa dare. Quello che ne esce è un disco stratificato e imponente per maestria, dove la sperimentazione è solo punto di partenza per creare quadri musicali ad arte che convincono al primo ascolto.
I Goldoni – Il mondo è bello perché è avariato (Autoproduzione)
Ritorna il percorso sonoro iniziato con Il diversivo, per la band proveniente da Aprilia nel Lazio, il trio ironico e istrionico senza peli sulla lingua per eccellenza ci regala un nuovo disco che ci catapulta attraverso gli orrori e gli errori di questa società dove le canzoni sono intervallate da dialoghi al limite dell’immaginato anche se purtroppo del tutto reali per testi intrisi di quella capacità nel raccontare le storie di ogni giorno, le storie di tutti noi, scoprendoci esseri al limite di comunicazione e sostanza, scoprendoci purtroppo troppo umani per poter sperare in cambiamenti repentini di questa società.
Un album che miscela senza problemi il rock alla musica d’autore, passando per il funk e il blues, rimarcando l’essenzialità della proposta virata più sui contenuti che sulla forma, partendo con le paranoie dell’Università e giù giù fino a Dentro ai cessi dei locali, che è pezzo capolavoro contenente la frase simbolo che da il nome al disco; un insieme di colori brillanti tenuti insieme dalla voglia di divertirsi, forse questa è la formula dei nostri, che con facilità e immediatezza si guadagnano un posto di genere nelle produzioni italiane, così poco propense, solitamente, a ironizzare su se stesse, per un disco questo, che fa del suo prendersi poco sul serio un’arma sicuramente vincente.
Funkin’Donuts – In case of Emergency…(Garage Record Studio)
L’amore per l’energia sviscerale non si estingue con le mode passeggere, ma si fa sempre più importante ad ogni riscoperta e permette a gruppi come quello di cui parleremo oggi, di creare un’affinità con il passato e nello stesso tempo di rispolverare un genere che non è mai stato nostro, ma che riguardava soprattutto le produzioni oltre oceaniche di qualche anno fa.
Stiamo parlando dei Funkin’Donuts, band romana ben rodata per l’occasione che dopo qualche anno di intensa attività live e un ep alle spalle si concede nella prova sulla lunga distanza uscendone vittoriosa e riuscendo per l’appunto a far progredire un genere sottotono dando un senso anche al minimo granello di polvere che esplode dai palchi sotterranei e conquistando un’internazionalità dovuta e limata a dovere, incrociando i primi Red Hot di fine ’80 per passare ai brasiliani Titas in un notevole sali scendi emozionale impattante e generoso.
Capaci quindi di mescolare le carte in gioco, i nostri, si lasciano alle spalle ciò che fu, per concedersi in una stratificazione di suoni sporchi quanto basta per entrare nel giusto mood; un energico pugno sullo stomaco e la testa piena di sogni per il futuro.
Boxes – Boxes (Resisto)
Le scatole raccontano, parlano di un mondo sotterraneo inquieto, ma ricco di vivacità sonora capaci di trasformare l’attesa in un sodalizio con la musica dai più disparati generi che unisci il funk, al soul, le atmosfere eteree dell’intro strumentale e vocale, fino a raggiungere un acid jazz dalle sembianze pop che strizza l’occhio alle produzioni passate e garantisce un viaggio di costrutti sonori difficili da incasellare, ma sostanziosi, carichi di quell’immaginario che si evince solo dalle prove strutturate, mirabolanti e in parte funamboliche, portatrici di un’esigenza contemporanea e forse assoluta, nel mondo musicale per come lo conosciamo, di fondere diverse sinergie per costruire un proprio viaggio che in primis si fa mentale per poi progredire in uno stanziale, in memoria delle atmosfere degli anni ’70 a cavallo con gli ’80, un incalzare sonoro che regala l’anima e non nasconde le proprie capacità di essere unico.
Les Jeux sont funk – Erasing rock (Irma Records)
Musica contaminata dai colori dell’arcobaleno e della neve, in un groviglio esistenziale pronto a sdoganare il rock vecchia maniera per far si che la ricerca sia da stimolo vitale ed essenziale nella trasposizione meticolosa dei suoni e delle ragioni che spingono a creare melodie di una bellezza non di certo rarefatta, ma ostinata, per una prova dal sapore moderno e soprattutto internazionale capace, attraverso un gioco di parole sin dal nome del gruppo, di sradicare le convinzioni del passato per creare un sodalizio tra elettronica e funk, tra strumentale e composizioni lunari che vanno oltre il già sentito, tra echi di St. Vincent passando per Daft Punk e Funkadelic in un Groove deciso e di spessore, una eco continua di rimandi al passato con orecchio proteso al futuro, capace di segnare, in modo indelebile, una strada poco battuta in Italia e in grado di trasformare un’esigenza in qualcosa di più ampio respiro.
Boj & Good People – Playboj (TdEproductionZ)
Bojana Krunic ritorna con i suoi fedelissimi e lo fa con stile ed eleganza soul, incamerando le lezioni del passato e gettando sul tavolo da poker gli assi nascosti nella manica che compongono 12 pezzi di r & b inglobate al funk che trascinano l’ascoltatore verso ritmi quasi ancestrali, che scuotono dentro e fanno apprezzare la vertigine; una prova che fa ballare, fatta di voci suadenti e sessioni ritmiche precise, step by step, in un flusso continuo che porta l’ascoltatore alla scoperta di un mondo diverso, a cui le produzioni nostrane generalmente sono allergiche, salvo alcuni egregi casi di stile come i Black beat movement di Naima Faraò.
Ecco allora il fattore sorpresa, una band italiana che fa dell’ottimo soul incastonato ad altri stili e fusioni, mai banale, ma generoso e originale, capace di prenderti per mano e portarti dentro l’anima, tra suoni caldi e avvolgenti compressi e futuri, dando tempo al tempo e lasciando da parte per un po’ l’inquietudine.
Ci troviamo così allora, a sorvolare città immaginarie, lasciandoci alle spalle i brutti ricordi, pronti per essere accompagnati in una nuova avventura, oltre ciò che di tangibile la vita sa offrirci, oltre tutto ciò che conosciamo, alla ricerca di qualcosa di veramente fantastico.
Lara Groove – Lara Groove Ep (Autoproduzione)
Lara Groove è coscienza di un mondo che non appartiene a nessuno, tra voli in estasi fuori controllo in vibrazioni funk e soul per una band fatta da cinque persone dove un uomo e una donna cantano e dove strumenti usuali come basso, chitarra e batteria sono supportati da synth ed elaborazioni digitali connesse alla realtà in un continuo elegante e mai conclamato e dichiarato, ma che umilmente si ritaglia un posto nel mondo della musica italiana.
Cinque brani per questo esordio cangiante, cinque brani che parlano di noi e del nostro tempo, dalle dichiarazioni culturali di Hello world fino a Liberi di, passando per Nuvole, Nonostante tutto e quella CAOS che cita direttamente il Palahniuk di Invisible Monsters.
Un disco calibrato e ben congegnato che resta in attesa di sviluppi futuri, un album che è pronto ad espandersi in un full length di aggregazione, passione e fragilità; caratteristiche essenziali per le produzioni future di questa band.