Antonio’s Revenge – All under control (DeepOut Records)

Ponti sospesi immortalati tra America e Regno Unito in una commistione di rock che abbraccia l’intera nostra vita, mescolando l’american sound al brit pop migliore per una ricerca sintetizzata di suoni molto ben congegnati e studiati che raccontano e si fanno raccontare, coprendo aspirazioni, illusioni e momenti da ricordare per un album, quello degli Antonio’s Revenge che moltiplica a dismisura le aspettative e soprattutto non si ferma alle apparenze, ma anzi regala canzoni che si snocciolano nella loro bellezza semplice e contagiosa da Better than myself fino al finale lasciato a The kids had never dreamed to be so happy, tra solitudine coast to coast e introspezioni da terra d’Albione in vortici concentrici lunghi un’intera vita da abbracciare, stringere e consumare fino in fondo, fino all’ultimo respiro.

Fino a quando ci sarà ancora qualcosa da dire i nostri Antonio’s Revenge riusciranno ad oltrepassare il confine della consuetudine per dare uno schiaffo ad una realtà che non vede trasformazioni per consegnare prove che portano con sé il sapore del tempo che passa e delle cose più belle da ricordare.

-FUMETTO- Francesco Barilli/Roberta Sacchi – Goodbye Marilyn (BeccoGiallo)

GOODBYE MARILYNTitolo: Goodbye Marilyn

Autrice: Francesco Barilli/Roberta Sacchi

Casa Editrice: Becco Giallo

Caratteristiche: brossura, 160 pp. colore

Prezzo: 18 €

ISBN: 9788899016463

 

Entrare in punta di piedi dentro al mondo di una donna, una grande donna, diventata icona per volere degli altri, ma autocostruita a celebrità in un limbo di pensieri e traghettata in un divenire fragile, suadente e conturbante certamente, ma anche delicato e introspettivo e cullato da forze inspiegabili e incomprensibili che grazie a questa unione di tavole sono in grado di esplodere in tutta la loro tragica bellezza, quella stessa bellezza fattasi mito in un destino quasi ineluttabile, difficile da spiegare; la scalata alla montagna del successo e la discesa inesorabile in un mondo dimesso e lontano galassie dal quotidiano in un incedere di vite sovrapposte a creare un’eternità memorabile.

BeccoGiallo pubblica un fumetto coraggioso, esteticamente bellissimo e che porta con sé il profumo delle cose migliori, Francesco Barilli attinge alla sua capacità visionaria nel dare vita ad un racconto che vede per protagonista una Marilyn Monroe sopravvissuta alla misteriosa morte dell’Agosto ’62 e qui intervistata, dopo decenni di ritiro dalle scene, da un giornalista italiano. L’attrice apre il suo cuore, lo apre nei confronti di quel passato non tanto raccontando aneddoti, ma piuttosto immobilizzando l’attimo in un vortice di emozioni capace di raccogliere il momento e dando un significato proprio a quella solitudine che ammanta l’intera opera, tra vite possibili e mancate occasioni nel diventare una persona capace di essere amata fino in fondo.

Viene ripercorsa a grandi linee l’intera vita della star, i momenti più importanti della sua carriera sono tratteggiati in modo da rendere, in parte biografico, ciò che di biografico ha ben poco, grazie anche ai disegni emozionali di Roberta Sacchi, disegni che non si concentrano tanto sullo sfondo, ma piuttosto si concentrano nell’immortalare il momento vissuto  attraverso polaroid vintage di un’altra epoca, fotografate perlopiù in campi medi dove l’accostamento dei colori è stupefacente e dove l’uso di tavole regolari da linearità al tutto in una bellezza di un rosso dominante allusivo e metaforico.

Colpisce inoltre la presenza di una coscienza disegnata sotto forma di fatina, una parte di un’anima che non c’è più, una specie di grillo parlante per pinocchio o piuttosto una trilly per peter pan, eroi intrappolati nel mondo delle fiabe, un po’ come la nostra Marilyn che all’apice del suo successo e lungo tutto l’arco della sua carriera si è ritrovata su di un filo appeso ad un passo dal baratro, come un’equilibrista in cerca di raggiungere l’amore e scontrandosi perennemente con una bellezza racchiusa in quegli occhi, talvolta sorridenti, talvolta tristi, in cerca di un posto nel mondo dove poter abitare.

Per info e per acquistare il fumetto:

http://www.beccogiallo.org/shop/171-goodbye-marilyn.html

Oppure qui:

Dance with the bear – Disco di platino (Autoproduzione)

 

Incrociatori tappezzati di sonorità dance che amplificano a dismisura un suono che colpisce allo stomaco, che spacca di brutto e diventa irrequieto nella bellezza di testi diretti che non lasciano scampo, ma proprio attraverso una semplicità di fondo riescono a penetrare grazie a refrain memorabili e di sicuro effetto in grado di scardinare in modo egregio il pop italiaco con una formula assai strampalata che mette assieme il nordico Gunther con gli MGMT, passando per Bloody beetroots e la disinibizione di Francesco-C per suoni e attitudine che ricorda il punk più crollato trasportato però nel 2016 implementato quindi da una cura elettronica che non vede fine in nessun pezzo, ma anzi fa da filo conduttore per le nove tracce proposte in un altalenante discesa/ascesa dentro ad una società da interpretare e alquanto lontana dalle forme di comunicazione usuali.

I Dance with the bear con questo nuovo album entrano a far parte di un progetto alquanto interessante, dopo il buon successo di I love you Bears cesellano con astuzia canzoni tormentone che non si interrogano sulla qualità della proposta e di qualità ce n’è tanta, ma piuttosto incanalano tutte le loro energie nello sputare in faccia alla realtà un disco destinato, in primis, a far muovere il culo e questo, di certo, non è poco.

 

 

Erica Romeo – Beyond the nettles burn (Autoproduzione)

Disco labirintico capace di sovrapporre emozioni non scontate con ambiti e ambienti da riscoprire in paesaggi indefiniti e risollevati dalla forza delle velature dell’acquarello e delle incursioni elettroniche che danno un senso maggiore ad un album che viaggia lontano, alza il tiro e si affaccia alla musica d’oltreoceano, mantenendo un costante equilibrio con una capacità di scrittura davvero notevole e con una musicalità di ampio respiro in grado di dare un tocco di modernità a fraseggi essenziali; una musica pop di grande eleganza, ben studiata e sopraffina.

Questo di Erica Romeo è un EP costruito con gran classe, tutto ruota attorno ad un concetto evolutivo che deriva dall’anima di una cantantessa che incrocia l’introspezione di Lana Del Rey con le solitudini di Natasha Khan delle Bat for lashes in sali scendi di emozioni ben illustrate attraverso pezzi simbolo come You’re gonna go e Paradise, ad identificare un trip hop accogliente e a cuore aperto per sette pezzi completamente diversi dai precedenti, evoluzione sostanziale di uno stile che non si ferma, ma anzi, trova nei vissuti quotidiani un modo diverso per sopravvivere.

Sondag – Bright Things (Overdub Recordings)

Sperimentazioni d’oltreoceano che incontrano il post grunge di fine anni ’90, intersezioni profonde di costrutti necessari per implementare forze e raggiungere obiettivi travalicando difficoltà del vivere in una musica che è araba fenice che rinasce ad ogni nota, rimembrando vissuti di un’altra epoca, di altre circostanze, ma qui ben rappresentate in un disco che ingloba il necessario di Nickelback e le manie di introspezione di Aaron Lewis degli Staind, per nove pezzi che suonano abrasivi sin dalla traccia d’apertura Sweet e giù giù fino a ricomporsi nel finale Time has come, per magnificenza che attrae e ci disperde in lande desolate da dove poter ripartire ancora, in un gusto che va oltre le radici di un sentire comune, in un connubio ben bilanciato tra il classico e il moderno; i Sondag non si fanno mancare niente, hanno assimilato la formula per scrivere dei buoni pezzi e questo Bright Things ne è la prova più radiosa.

Tre Chiodi – Murmure (Overdub Recordings)

Dai suoni del corpo la speranza per comprenderci maggiormente in un solitario declino che muove verso orizzonti da scoprire e desideri da raggiungere, partendo proprio da quelle voci che sentiamo dentro, dalla carne che si sgretola e si ricompone, dal chiarore abissale di una comprensione che va aldilà delle singole mode e delle singole impressioni, Murmure è un disco stratificato e sostanzioso, pieno di riferimenti all’abbandono dell’anima, un album capace di penetrare con una formula inusuale, ma convincente, un rock alternativo implementato da una voce che non c’entra nulla, ma convince a dismisura, con testi che si affacciano al cantautorato più vissuto, in una costruzione di ideali che si affaccia direttamente alle storie di ogni giorno, a quella sostanza inquietante che si chiama vita e qui ben rappresentata in pezzi come Trago, Cuore, Vertebra e la finale Capelli; parti di corpo, parti di noi, parti di vittoria e parti di sconfitta in una prosecuzione naturale delle cose che vede nella bellezza della disfatta un motivo in più per crescere ancora.

Glory of the supervenient – Glory of the supervenient (Overdub Recordings)

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Disco di improvvisazioni cosmiche capace di legare il progressive alle sensazioni di una musica strumentale che entra in simbiosi con le nostre caratteristiche peculiari, con la nostra infinitesimale coscienza, allargando un ampio spettro di prospettive nel richiamare l’attenzione su geometrie quasi matematiche, da accogliere, da sentire e da far vibrare in un contesto sensazionale che rivolge gli occhi e la mente alle divagazioni post anni settanta, Mike Oldfield e il suo Tubular Bells su tutti, in una struttura difficile da incasellare che lascia giustamente spazio ad una forza creativa che questo gruppo possiede riuscendo a trasportare l’ascoltatore in un mondo lontanissimo e ricoperto di sostanza cangiante da I: The destiny fino a Path of the night, per undici tracce che hanno il sentore di qualcosa di ultraterreno, di elettronico, mutevole e ad ogni nostra motivazione quella potenza e forza di volere dare uno sguardo al tutto che cambia nel raggiungimento di una pace interiore definita dalle frequenze musicali e dai sentimenti di abbandono e ritrovamento che pervadono l’intero lavoro.

Let it slide – A small step forward (Overdub Recordings)

Le viscere del punk rigettate sul pavimento nella speranza che il nostro grido si possa ancora ascoltare nella ruvidezza del giorno, nella tenebra della sera, nella luce del mattino che ammalia e ci costringe ad ascoltare questi pezzi pesantemente compressi e pronti ad esplodere, segno dei tempi e delle tentazioni, imbracciando una chitarra e una batteria capovolta a linee di basso martellanti in un suono prettamente californiano intersecato dall’alternative sferzante in grado di attraversare speranze, sogni e abbandoni in un disco, quello dei Let it slide che coinvolge e da il senso e il gusto per un’internazionalità fuori controllo, diseredata e da pogo totale per suoni accattivanti e in bilico tra Offspirng e qualcosa di più pesante come Rancid, per citarne qualcuno, in un delirio rappresentato da una tartaruga in copertina, che nella calma del suo incedere riconosce la meta a chilometri di distanza.

Luigi Turra – Alea (Line)

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Abbandonando i flutti della ragione il vicentino Luigi Turra compone un quadro iperbolico di un colore rosso sfumato in divenire capace di compenetrare e stabilire un legame complesso e simbiotico con “L’amante della Cina del Nord” di Marguerite Duras rielaborandone suggestive impressioni che ammaliano e ridanno spessore ad un noise ricreato con strumenti naturali e brevi incursioni parlate, pezzi di testo in francese, pezzi di voci che alternano i silenzi alle note di piano discostanti, in quel gioco sulfureo di attesa e arrivo, di partenza e manierismo sonoro in grado di ottenebrare il velo oscuro della ragione e lasciandoci trasportare nell’impotenza dell’abbandono, nell’impossibilità di essere qualcosa per qualcuno, mantenendo una forte idea di conquista anche quando la stessa conquista si allontana, un primo amore raccontato nell’errare dell’essenza stessa che grazie all’uso di pause ad effetto ricrea momenti di intimità elastica, che si lancia nel vuoto del cuore e ritorna nell’antro della ragione.

In un processo nostalgico questo viaggio è in grado di approfondire una parte di noi celata e segreta, giustamente riscoperta grazie ad un comparto emozionale davvero notevole in un excursus fuorviante e a tratti allucinogeno per un racconto nel racconto; un’unica traccia di poco più di quaranta minuti imbottita a dovere di sogni sinistri rosso amore.

Wander – Kat gat sea (Wounded knife)

WANDER, Kat Gat Sea

Cassettina che racchiude i desideri di un nostalgico come il sottoscritto, per la seconda prova degli sperimentalismi assurdamente belli di Vincenzo De Luce e di Matteo Tranchesi, in arte Wander, che fanno della dissonanza in chiave desertica una matrice composita di luce notturna da improvvisazioni folk, quello vero e una caparbietà divincolata nel mantenere uno standard indipendente, già dal supporto dell’album che convince a dismisura.

Grazie anche ad una grafica che lascia molto all’immaginazione il duo ci trasporta laggiù oltre i confini inesistenti della nostra coscienza, ricordando i primi Gatto ciliegia contro il grande freddo e intersecando atmosfere da film horror con colonne sonore di rara apertura e sonorità ammaliante, capaci di creare un tutt’uno con l’ascoltatore in una immedesimazione che si apre proprio con la bellezza discostante dei discorsi di Unfinished departures, per coinvolgerci tra gli scheletri e le carcasse di For the time remaining fino a giungere alle profondità della bellissima Faded memories e nel vortice complesso di Black Powder, in un disco che si allontana di prepotenza da tutto ciò che potrebbe essere definito commerciale in nome di una passione e di un credo che si può percepire tra le stridenti melodie di corde metalliche abbandonate al tempo che verrà.