Pollio – Humus (Maciste Dischi)

Io?Drama lasciati alle spalle e il desiderio di rinascere proprio da una terra d’origine che non lascia scampo, ma fruttuosa si contende una nuova vita per contemplare un cantautorato che copre dichiaratamente e musicalmente i vuoti che troviamo nell’era moderna e si innesca a miccia pop proprio quando i territori battuti verso queste aspirazioni si livellano ad un’uniformità di base che nel primo disco solista di Pollio trovano motivo di apertura in stato di grazia, cesellando a dovere le introspezioni passate e consegnando un disco che richiama l’attenzione attraverso un sound brillante che si snocciola e convince sin dall’apertura di Oggi è domenica personalizzando nove brani in un concentrato di follia espressiva ben dosata e insaporita da trovate semplici, ma genuine, cariche di quel qualcosa che forse si chiama amore per la vita o più semplicemente porta con sé l’esemplificazione di nostalgia che in tutta l’ispirazione del momento trova un buon motivo per esistere, per un disco, questo, capace di confondere e spiazzare, un album in grado di far riflettere sull’incostante ricerca di uno spazio di cielo infinito dove poter vivere, ricordando il legame indissolubile con la terra, fertile sviluppo per esigenze future.

Dulcamara – Indiana (INRI/Metatron)

Suoni di notti stellate e fuoco intorno, introspezioni sonore che viaggiano e creano fantasie e rituali che abbracciano con forma costante un mondo polveroso di vita da sorseggiare ed esteriorizzare in estemporanee fotografie virate seppia che sembrano uscite da un’altra epoca, loro sono i Dulcamara, guidati da Mattia Zani, una band che incrocia in modo essenziale la poesie e il folk nord americano con la canzone d’autore italiana; tanto per fare un esempio moderno prendete il For Emma di Bon Iver e impastatelo a dovere con un pizzico di Bonnie Prince Billy e di Iron & Wine, il tutto cantato però in italiano in una prova notturna che racconta di amori e di bisogno di partire, di viaggi tra foreste di illusioni, di viaggi tra i boschi dell’anima, ricoprendo un ruolo essenziale proprio nei testi che guardano oltre l’orizzonte e non si accontentano, ma trovano una dimensione onirica nell’amara realtà di tutti i giorni, perpetuando una prova che getta i propri punti di forza in canzoni che portano con sé un fascino indiscutibile da Rituale, Luce di frontiera, Sogni lucidi, Labirinti immaginari fino alla reprise dei costrutti di Terminal per un disco che ha l’odore della notte, l’odore di quello che non c’è più e  il profumo della ricerca del sostanziale nostro essere quotidiano.

Omosumo – Omosumo (Malintenti/Edel)

Progetto in bilico sulla voragine della vita tra atmosfere sognanti pop e desiderio elettronico di fondere il cantautorato con la necessità moderna di cambiamento, ad imbastire attimi lucidi di verità da cogliere negli occhi, da cogliere nell’istante, abbandonando il limite stabilito e cercando una naturalità di fondo che comprime aggraziata, si sposa ad arte e si veste di nuovi colori, magnifico esemplare di creatura da mantenere e preservare che trova una prosecuzione naturale con questo disco immaginifico e assurdamente bello che colpisce per acquarelli non troppo interiorizzati in attimi di luce brillante, perché Madre blu è solo il preludio per farci innamorare, poi arrivano le parole da In cielo come gli angeli e giù giù fino all’alchimia profonda tra i legami della natura con quella Sulle rive dell’Est che si fa trasporto e traghettatrice per esperimenti tra il vento del cambiamento e il bisogno di accarezzare l’intangibile e toccare lo sperato in un disco che porta con sé la bellezza delle cose migliori incrociando un’amalgama musicale difficile da incasellare, un po’ come ascoltare i La Crus intersecati a Mango che suona ad un concerto di Caribou per una musica che di certo non si ferma alle apparenze e che ha trovato nel trio delle meraviglie: Sicurella, Cammarata e Di Martino attimi di bellezza sudata e suonata, vissuta e contemplata.

Isterica – Pensieri parole opere omissioni (Autoproduzione)

Punk viscerale che mette sul piatto della bilancia tutte le nostre insicurezze e paure, abbandonando porti sicuri per gettarsi a capofitto nelle illusioni del momento e conquistando una porzione di vento esistenziale che ingloba arte e dimena il garage sotto casa fino a far scoppiare i timpani dal suono di rimbalzo che come ping pong emozionale non lascia scampo a power chord d’annata ad ingabbiare giustamente un suono molto italiano che guarda in faccia senza mezze misure CCCP fino a Prozac+ passando per i vicentini Derozer e ad altre cose più recenti accentrate e immedesimate nei problemi di tutti i giorni, nel nostro nuovo sentire condiviso.

Gli Isterica sono in grande forma e si sente, magari da ammirare su di un palco sgangherato di cemento, da Barabba fino ad Isterica, la title track, passando, in modo quasi del tutto naturale, attraverso pezzi come Nina, Adrenalina e Rive Gauche , a ribadire ancora una volta la battaglia quotidiana contro lo strapotere dei pochi a dispetto delle povere vite dei molti in un concentrato d’eclissi, di buio e luce che può far sperare.