Giuliano Clerico – L’uomo tigre ha fallito (I&I STUDIO di CLAUDIO BOLLINI)

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Racconti di vita tutt’altro che idealizzati, ma ricoperti, a pieni polmoni, di quella fuliggine nera che imbriglia le periferie delle città e sovente lascia poco spazio al futuro, racconti di vita vissuta, tra aspirazioni e illusioni del momento dove chi poteva fungere da nostro salvatore, alla fine dei conti ha fallito, si è decomposto e non ha lasciato traccia, se non nella sostanziale ricerca utopistica di un mondo diverso in cui vivere, un mondo diverso in cui poter abitare, solo a livello onirico, solo nei nostri pensieri.

Giuliano Clerico spiega benissimo tutto questo all’interno delle sue strampalate canzoni che parlano con voce reale, con la voce di chi ha vissuto e ha sperimentato, tra ricordi, testi al limite e bisognosa necessità poetica di incamerare l’attimo in una ricerca costante di un divenire cantautorale che ben si amalgama con pezzi come Le scimmie o Vecchie foto e denti rotti, passando per la title track e quella Sotto undici stelline che si riappropria del perduto attraverso una vendetta che fa da contorno ad un futuro irrealizzabile.

Un disco, questo, che racconta in modo distinto ed elastico le peripezie del nostro tempo, un album che sussurra in modo del tutto naturale un bisogno d’aria nuova da qui all’eternità.

Fulvio Bozzetta – Metabolismo Lento (Lademoto Records)

Disco che sorprende per aspirazioni e punti di svolta, che butta a terra stile diversi e cangianti in grado di trasmettere sensazioni temporali che vanno ben oltre il nostro sentire condiviso, un album, quello di Fulvio Bozzetta, che nasce e cresce dopo numerosissimi anni di latenza, un primo lavoro a 67 anni, per ribadire che non è mai e proprio mai troppo tardi per dare alla luce un insieme di canzoni che colpiscono per maturità cantautorale che va ben oltre gli stereotipi moderni, coprendo una parabola ascendente verso il passato, quando ancora esisteva chi comunicava, attraverso la musica, un messaggio, un pensiero dando un volto a chi volto non ha.

Nella musica di Fulvio troviamo Paolo Conte, troviamo Finardi, Paoli e Fossati, troviamo quel bisogno di andare oltre le apparenze consegnando agli ascoltatori un disco che abbraccia le melodie del mondo, dal tango, al blues, passando per il rock in una costruzione contesa di energia e melodia alla ricerca di un disequilibrio che si pone proprio all’interno di questa società, dodici pezzi di amore, di morte e disillusione, dodici canzoni di così rara intensità da rimanere abbagliati.

Mattia Caroli & I Fiori del Male – Fall from grace (TimezoneRecords)

Disco soppesato a dismisura che trasporta l’ascoltatore nel convergere la bellezza di fondo racchiusa in questi pezzi che si stagliano all’orizzonte e, come quadri dipinti, vivono di vita propria, portando con sé una propria anima, mescolando citazioni letterarie ad ambientazioni legate alla vita di tutti i giorni per concentrati di amori perduti che affondano nella notte dei tempi e perseverano nell’incedere, nel trovare un punto di contatto, un punto sostanziale di meraviglia, la stessa meraviglia che possiamo ascoltare in canzoni che gravitano tra levitazioni di indie folk rock e blues in una spasmodica ricerca dell’originalità in un mondo musicale saturo di proposte.

I nostri dopo questa prova ne escono vittoriosi, capaci e carichi di quella bellezza essenziale che fa innamorare al primo ascolto e rende bene l’idea di album costruito e pensato non per durare un giorno, ma per tracciare un solco alquanto indelebile nell’era delle produzioni moderne, tra passato e futuro troviamo Mattia Caroli e i suoi Fiori del male, ad incidere minuziosi paesaggi sonori che colpiscono al cuore e ci trasportano con la testa lontano, tra le nuvole.

Antonio’s Revenge – All under control (DeepOut Records)

Ponti sospesi immortalati tra America e Regno Unito in una commistione di rock che abbraccia l’intera nostra vita, mescolando l’american sound al brit pop migliore per una ricerca sintetizzata di suoni molto ben congegnati e studiati che raccontano e si fanno raccontare, coprendo aspirazioni, illusioni e momenti da ricordare per un album, quello degli Antonio’s Revenge che moltiplica a dismisura le aspettative e soprattutto non si ferma alle apparenze, ma anzi regala canzoni che si snocciolano nella loro bellezza semplice e contagiosa da Better than myself fino al finale lasciato a The kids had never dreamed to be so happy, tra solitudine coast to coast e introspezioni da terra d’Albione in vortici concentrici lunghi un’intera vita da abbracciare, stringere e consumare fino in fondo, fino all’ultimo respiro.

Fino a quando ci sarà ancora qualcosa da dire i nostri Antonio’s Revenge riusciranno ad oltrepassare il confine della consuetudine per dare uno schiaffo ad una realtà che non vede trasformazioni per consegnare prove che portano con sé il sapore del tempo che passa e delle cose più belle da ricordare.