Wilderness – I’m not here (Mia Cameretta Records)

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Sonorità britanniche inoculate a dovere per stratosfere oscure che imprigionano la mente e attanagliano l’ascoltatore attraverso mondi indefiniti e carichi di sorprese. Il nuovo dei Wilderness è un tuffo concentrico all’interno di acque già battute, ma rimane vincolante l’aspetto essenziale di una forma simultanea costruita per dare spazio a riempitivi che ammaliano e non tradiscono mai. Ascoltare I’m not here è un po’ come avvicendarsi al mondo dei primi Joy Cut o dei The National all’interno di sensazioni e cambiamenti d’umore che rendono l’ascolto avvincente nel buio che diventa luce grazie ad una fotografia immediata di un tempo che non esiste più. Bella la voce cupa e mescolata a dovere al resto della strumentazione, bello lo scambio tra strumentale e cantato il tutto veicolato da una ricerca continua e soprattutto da un viaggiare che si fa dichiarazione d’amore per il lato più oscuro della nostra luna, cioè della nostra anima. 


Roberto My – Flares (I dischi del minollo)

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Rimettersi in gioco, creare, comporre, dopo dieci anni di assenza, dopo anni passati a rimuginare sul tempo e su quel che è stato alla ricerca di un nuovo stimolo per ripartire. Roberto My ritorna con Flares, dopo il progetto Volcano Heart ritorna con un disco dal sapore puramente settanta dove un Neil Young più intimo e notturno sembra cantare i pezzi degli Smiths attraversando città metropolitane abbagliate dalla luci dei fari di un mondo in dissolvenza continua. Il suono che ne è esce è un concentrato di riff ipnotici che non risparmiano bisogno di costruire, riff capaci di creare un’omogeneità di fondo che non tradisce le aspettative, ma che piuttosto crea una solida base per un album dove pezzi come l’iniziale Motherland, Black Sky o Congo sono parti essenziali per definire una poetica d’insieme costruttiva e tenace. Flares è un rimettersi in gioco quindi segnando un nuovo corso che nella polvere del tempo ritrova il desiderio di stupire nuovamente. 


Balentia – Nieddu (Nuragika/Roots)

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Suoni metropolitani oscuri che incrementano appoggi di vita essenziali raccontando di un’Italia in decomposizione attraverso parole che sospingono e alterano la concezione della realtà ottenendo una mistura di contemporaneità davvero essenziale. Tornano i Balentia, i rapper di origine sarda che hanno raccolto nel tempo oltre a numerose collaborazioni con artisti del calibro di Neffa, Colle der formento, Club Dogo anche innumerevoli concerti nella penisola e in Europa intascando elogi di critica per una poetica affilata e mai banale. Un disco oscuro questo, un album che non cede alle mezze misure, ma in modo introspettivo rappresenta situazioni che possiamo vivere nella nostra quotidianità sospesa alla ricerca di un qualcosa che mai potremmo avere. Nieddu è buio come la notte, ma porta con sé un desiderio di rivalsa e di libertà che si spinge oltre le consuetudini e consegna all’ascoltatore un’esigenza sempre nuova da ricercare nell’essere piuttosto che nell’apparire. 


I funketti allucinogeni – Ombre (Xo La Factory/Cabezon Records)

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Funk stradale sotterrato al suolo e pronto a scoprire un mondo lisergico e aperto a cambiamenti che si discosta dal circostante per ampiezza di vedute e capacità originali di ponderare l’ascolto per trovare nelle ombre della vita luce oltre ogni cosa. I funketti allucinogeni, un nome un programma, costruiscono un’impalcatura davvero solida in questa prova, reagendo al mondo esterno in modo del tutto inusuale, implementando un groove sopraffino senza strafare, ma piuttosto sacrificando l’inutile per ampliare vedute assestate da solide basi. Ombre è il primo EP della band proveniente dalla provincia di Brindisi e grazie ad un suono ricercato e curato riesce ad impreziosire una prova davvero interessante sotto molteplici punti di vista. Da Show me the road fino a Ombre i nostri ci regalano un disco che sa stupire e sa convogliare il necessario all’interno di una manciata di canzoni suonate come non ci fosse domani. 


Stanley Rubik – Tutto è come sembra (INRI)

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Elettronica darkeggiante apre a paesaggi di appeal emozionale in grado di scandagliare l’etere con forme sintetizzate di una poesia malinconica incrociata alle paure metropolitane di questo nostro secolo affacciato al domani. I Stanley Rubik sono tornati con un disco a tratti monumentale che mescola egregiamente suoni elettronici e asettici con qualcosa di più profondo che riesce a scaldare e a dare la sensazione che qualcosa possa avere ancora un senso. Affacciati all’indie rock nostrano, la band romana con questo Tutto è come sembra, racconta con capacità d’intenti sorprendente un mondo sottosopra, un mondo dove la ricerca costante di uno spiraglio di luce sembra l’unica via da intraprendere per dare senso alla nostra realtà. Dalla bellissima apertura di Roberto, passando per il singolo Agosto e per attimi di potenza soppesata come in Tempesta o in Kintsugi i nostri intelaiano un disco che trova nella varietà di un mondo sospeso una chiave di lettura sempre aperta nel comprendere il domani. 


Elli de Mon – Songs of Mercy and Desire (Pitsharks Records)

Songs Of Mercy And Desire

Ricercare radici nei boschi perduti, nei boschi vicino a casa, tra chitarre slide ricercare un senso necessario per creare un garage folk sporcato dal blues ad intessere trame di vissuti sostanziali in comunione con ciò che ci portiamo dentro da sempre. Ritorna la vicentina Elli de Mon con un disco capace di attingere da un senso introspettivo e profondo un insieme di canzoni variegate che non vengono intrappolate facilmente all’interno di un genere, ma piuttosto ricercano e trovano nelle differenze i punti di contatto necessari per costruire architetture e impalcature davvero singolari. Ad impreziosire il tutto la voce di Phill Reynolds nella traccia finale Tony e il sax di Matt Bordin che completa l’esperienza sonora con registrazione e missaggio per un disco dal sapore d’altri tempi, un disco che nelle sue innumerevoli sfaccettature trova la strada da seguire nel cuore, di chi crede ancora, che un ripartire quasi da zero, sia necessario di questi tempi. 


Campos – Umani, vento e piante (Woodworm)

Atmosfere da bosco in rarefazione totale che comprimono bisogni e corteggiano con fare suadente una musica fatta di echi, coralità e cuore. Suoni di difficile interpretazione si perdono nei meandri di una voce quasi soffocata, una voce sussurrata che nell’introspezione criptica trova una poetica che ben rispecchia un bisogno comunicativo che per matrice possiede punti in comune con il desiderio di sovrapporre una musica fuori confine con una comunicazione del tutto italiana, malinconica e pervasa da valori imprescindibili e di bellezza da ascoltare. I Campos, dopo una prova anglofona recensita anche su queste pagine, scivolano nelle nostre teste e danno alla luce un disco che sa quasi di miracolo. Una prova che mostra luce e oscurità mantenendo di fondo una forte capacità comunicativa. Da Passaggio fino a S. i nostri dichiarano apertamente una passione incontrollata per un folk  dalle tinte alternative che non si limita a copiare, ma che crea continuamente paesaggi da esplorare. 


Fabio Cinti – La voce del padrone/Un adattamento gentile (Private Stanze)

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Archi proiettati a ricoprire di sedimenti lunari un disco che brilla di luce propria e costruisce impalcature spogliate di ogni orpello per mostrare corpo e anima d’importanza scaturita in un Battiato pop che come quadro risplende nel tempo, oggi più che mai. Fabio Cinti con questa piccola perla dal gusto sovra estetico vince il Premio Tenco duemiladiciotto nella categoria Interprete di canzoni. Un album che riprende di pari passo l’essenzialità di un insieme di brani che hanno fatto la storia della musica italiana per come la conosciamo. Il nostro si trova a proprio agio nel ricoprire di un qualcosa di indispensabile una musica magnificamente popolare. La voce rimanda facilmente al maestro siciliano e gli arrangiamenti curati per una sessione d’archi e pianoforte costruiscono atmosfere oniriche che guardano lontano, riempiendo di bellezza continua corto circuiti e vuoti siderali.  La voce del padrone, Un adattamento gentile è prima di tutto una prova di coraggio che riscopre, nell’unicità, la purezza di un momento che non tornerà più. 


Edy – Variazioni (Goodfellas)

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Pop d’autore collezionabile tra i racconti di Dente, le versioni di Iosonouncane e l’interesse profondo dei La Crus  per un esordio prodotto da Marco Fasolo dei Jennifer Gentle che racchiude poeticamente un desiderio necessario di uscire dalla mediocrità del cantautorato moderno e relazionarsi con un universo introspettivo, a tratti criptico, che non si risparmia nei rapporti, ma piuttosto trova proprio in questi un senso comune di bisogno per andare avanti. L’esordio discografico di Edy, già Ultravixen e Jasminshock è un caldo e lisergico momento di abbandono che non esplode, ma che piuttosto si racconta attraverso una solida concezione di forme che nel bianco e nero di un film in dissolvenza si guarda dentro e parla con voce protagonista grazie a multiformi canzoni delicate e a tratti malinconiche. Il musicista siciliano partorisce nuvole pop grazie a visioni d’insieme che a lungo andare costituiscono pezzi che se non sono perle rare perlomeno rappresentano gioielli dalla forte presenza terrena. 


Virtual Time – From the roots a folded sky (Go Down Records)

album From the Roots to a Folded Sky - Virtual Time

Sempre impressionante il lavoro dei Virtual time nel far approdare all’interno della nostra mente un suono proveniente direttamente dai fasti di un’epoca che non c’è più attraverso un lavoro di cesello, di chitarre sudate e di una musica che non insegue la fretta del momento, ma piuttosto sedimenta ambizioni in una narrazione necessaria e soprattutto via via sempre più importante. La band vicentina con il nuovo lavoro dimostra capacità espressiva fuori dal comune ed un prezioso ed invidiabile senso di coraggio nel portare ancora sui palchi un rock puro che esce dai migliori anni ’70, un rock che si affaccia all’oceano e crea un ponte sostanziale di bisogno con tutto ciò che ora ci troviamo ad affrontare, con tutto ciò che possiamo vivere. From the roots a folded sky è un disco pieno, è un album che non si accontenta, ma piuttosto interagisce e crea una comunione d’intenti con l’ascoltatore attraverso un’abile ricerca storica che vive ancora nel sangue di ognuno di noi.