Elisa Rossi – Eco (IndieSoundsBetter)

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Melodie strutturate in elettronica diffusa che si apre, si stende e si contorce e silenziosa sussurra l’abbandono, il momento, l’attimo fuggevole e la carezza prima del sogno, lo scavare dentro a noi stessi che in un attimo si affievolisce e nel contempo acquisisce vigore e penetra piano fino a ricoprire di pensieri abbandonati le nostre verità, grazie ad una voce elegante e dinamica, una voce che meraviglia e consola, un entrare dentro per consegnarci una sostanza materica e silenziosa, in conflitto, una materia che si consuma tra i pezzi proposti, quando mai un intro fu più sincero di Niente è per sempre? Accompagnato da grandezze sonore percepibili in I giganti fino al finale lasciato a Metallo e alla title track; tra nuvole di fumo e cammini sempre nuovi la nostra Elisa Rossi, dopo Viola Selise del 2010 e il Dubbio del 2013  ci regala una prova non conclamata, ma in grado di portare al proprio fianco uno stile personale, soggettivo e di indiscutibile bellezza, alla ricerca di quel qualcosa che risiede dentro di noi e non ha ancora trovato un nome.

Vox Kernel – Vox Kernel (Autoproduzione)

In questo lungo EP di Vox Kernel ci sono le emozioni e il mutare delle stagioni, i colori degli alberi che cambiano vita e il legame indiscusso con generi che fusi assieme ricreano fraseggi inclassificabili, istintivi e certamente in grado di osare invertendo rotte sicure per affacciarsi sul desiderio convinto di poter dare forma e sostanza ad un pensiero, ad uno stato mentale, ad un sussurro che in un attimo può trasformarsi in tempesta, tra pezzi che raccontano di piccole cose spezzate, di film da guardare al pomeriggio in un Natale da dimenticare, di ostinazioni di gioventù e di poesie che squarciano l’aria e penetrano in fondo, penetrano fino a farti sentire la fame d’aria e la paura del vuoto, tra rumori fisici e classificabili e tutto un mondo intorno che chiede di essere compreso tra fotografie spezzate e sostanza noise che si interseca con il pop emozionale per un indie rock oltreoceanico sicuramente originale e convincente, un album maturo e stratiforme, strutturato a dovere e capace, nella sua poca immediatezza, di assicurare ascolti continui.

Davide Peron – Imbastir Parole (ProtocolloZero)

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Davide Peron, circondato dai monti che lo abbracciano, crea un disco che ha il sapore delle cose genuine, dei cammini impervi e della sostanza complementare che possiamo assaporare nell’attimo fuggevole, nel nostro incedere quotidiano, nella ricerca di una sostanziale rivincita nei confronti di un mondo troppo vasto e troppo difficile da comprendere, un album che porta con sé le caratteristiche di una forma canzone impegnata e sbattuta nella realtà, tra il rurale e le piccole cose della vita, quelle che fanno bene, quelle da cui non potremmo mai separarci e in tutta questa semplicità scoprire una forma canzone chiara e limpida dove gli arrangiamenti, le incursioni e le meraviglie sonore che si snocciolano pian piano lungo l’ascolto di queste dodici tracce, fanno da legame con la terra, con i nostri vissuti, completando un percorso integrandolo.

Ecco appunto la scelta di inserire alcuni pezzi appartenenti ad album come Aria buona e Fin qui: per creare continuità e questo disco è la prosecuzione naturale di un percorso che si apre con la bellissima Fortuna al fianco, prosegue con pezzi come Terramata per raggiungere il suo apice con il singolo di denuncia La pallottola; il tutto affacciandosi ad un album vero, che ha il sapore delle cose migliori, del tempo che passa e di qualche vecchio alla porta che scorge da lontano il mutare silenzioso delle stagioni.

Thomas Guiducci – The true story of a seasick sailor in the deep blue sea (Good Luck Factory)

Sprofondare dolcemente nel mare, lungo i flutti della corrente, recuperando tentativi e punti di vista per farsi immergere in toto in poesie da viandante sospeso, alla ricerca di un posto nel mondo dove stare, di un posto da cantautore marinaio in cerca della buona stella per tornare a casa, in un contesto ostile e romantico allo stesso tempo e poi ancora lo stesso  marinaio posseduto dal mal di terra in un eterno oltrepassare i propri limiti per poi ritrovarsi a fare i conti con la banale e triste realtà, metafora della vita stessa, l’uomo che non trova pace, l’uomo costretto a continuare il proprio viaggio per fare ordine dentro se stesso, come in un film introspettivo in bianco e nero Thomas Guiducci ci conduce attraverso questo disco che ingloba non solo musica, ma anche immagini e racconti in canzoni che abbandonano in parte la strada del blues per concentrarsi sulle divagazioni del neo folk americano, con arrangiamenti ben strutturati, intenzionali e qualità da vendere, tanta, che già si può ascoltare nella prima Seasick Sailor passando per Ghost Town e Jericho Rose, attraverso strade deserte e testi evocativi il nostro ci conduce al finale lasciato ad una bonus track Empty Shells, in un viaggio che ha il sapore della circolarità, del sogno e del vuoto attorno, per noi esseri umani alle prese con una natura che non consola, ma ispira.

-FUMETTO- Fabio Tonetto – Rufolo (Eris Edizioni)

Titolo: Rufolo

Autore: Fabio Tonetto

Casa Editrice: Eris Edizioni

Caratteristiche: brossura, 15 x 21, 104 pag., colori.

Prezzo: 12,50 €

ISBN: 9788898644254

 

Paesaggi inesistenti da cui prendono vita bolle antropomorfe dalle fattezze di animali buffi e simpatici, che si inerpicano in situazioni talvolta sgraziate e mosse dal solo istinto dove le emozioni stilisticamente rappresentate si affacciano ad un mondo in cui l’amicizia non è conclamata, ma con tatto è sottintesa, atta a creare legami maldestri, ma ricchi di fascino, personaggi usciti da una manipolazione di plastilina alla Peter Lord o dai mondi surreali dell’italiano Paolo Gaudio, esseri qui rappresentati in un fumetto che si scontra con i rapporti, il tutto attraverso un filo chiamato nonsense che getterà le basi per la costruzione di legami in grado di suscitare nel lettore sorrisi e nel contempo un senso di disorientamento che porterà a riprendere in mano la vignetta, a ricucirla, come succede talvolta ai personaggi di questa storia, che spariscono, muoiono e poi ancora ritornano in un mondo post fiabesco onirico e disincantato.

Fabio Tonetto, grazie a Eris Edizioni, scrive, disegna e attinge dal proprio fare creativo un racconto che ha il sapore di un altro tempo, sarà per la scelta dei colori, sarà per la voracità di situazioni a ricrearsi, ma il nostro compie l’impresa di dare un senso a ciò che senso sembra non averne; vediamo qui rappresentata la storia di Rufolo e dei suoi amici, alle prese con un luogo indefinito, dove non esiste il bene o il male, ma solo l’essenzialità dell’attimo, storie autoconclusive in cui compaiono di volta in volta freaks memorabili per gag che si muovono attraverso il gusto dell’assurdo, disorientando il lettore senza dare giudizi, senza cogliere stati d’animo, ma piuttosto creando situazioni che nella leggerezza di fondo riescono a suscitare momenti di riflessione portandoci in un’altra dimensione, tra simil peluches infantili affacciati alla finestra della realtà adulta, a ristabilire un equilibrio dove equilibrio è solo una parola come tante altre, sperduta nell’abisso dei preconcetti moderni.

Rufolo non è un fumetto leggero, va masticato e digerito, Rufolo è anzitutto un fumetto geniale che ricorda per certi versi quel Pixel di Fulvio Risuleo o le trasformazioni ideate dalla coppia Tison/Taylor e che hanno fatto storia nella serie Barbapapà; all’autore, Fabio Tonetto, va il merito, dopo il video d’animazione Ralph Plays D’Oh di essere indiscusso artista eccentrico, fuori da ogni schema e concetto prestabilito, capace di soverchiare mode e tendenze, lasciandosi trasportare dal flusso dei pensieri manipolando l’essenza materica in un teatro dell’assurdo che per certi versi non è poi così lontano dalla vita di tutti i giorni.

Per info e per acquistare il fumetto:

http://www.erisedizioni.org/rufolo.html

Oppure qui:

Murubutu – L’uomo che viaggiava nel vento e altre racconti di brezze e correnti (IRMA Records/Mandibola Records)

Il vento che ci porta lontano e ci attrae alle colline in penombra del crepuscolo, diligentemente nascoste dal buio arrivato, un vento che si fa viaggiatore, incontra, ricorda e racconta, alza nel cielo le impressioni di una vita che vorrebbe essere diversa e ci conduce, tendendoci la mano, attraverso la risacca del mare, inoltrando onde verso una poesia millenaria che non conosce confini e non conosce barriere, si alza, si stende, si consuma e procede, senza guardarsi indietro, seguendo il corso delle cose.

Murubutu, al quarto lavoro, continua a sorprendere, grazie ad una poesia mescolata al rap e alla letteratura, una poesia che scava negli abissi di un mondo in evoluzione, una poesia che si concentra nella scalata grazie ad appigli sicuri che si chiamano Hesse, Rigoni Stern, Biamonti, incontri letterari per un connubio dal sapore d’altri tempi, ma contemporaneamente sovrapposto al sentire di oggi, al pensiero comune, in un modo alquanto originale di entrare a pieno titolo nel mondo del racconto d’autore, un modo diverso di respirare la stessa aria, un modo diverso di essere se stessi, andando oltre.

Il disco è una perfezione assoluta e commovente, da un po’ non respiravamo così tanta poesia, tra gli abbagli della vita moderna e chi lotta ogni giorno per dire qualcosa di diverso, Murubutu è tornato e la sua luce è un continuo rigenerarsi di forme e di colori, di sostanza vitale che raccoglie l’eredità del tempo e con fame di bellezza esplode trasportata da quel vento, di cui tanto si è parlato e di cui tanto è rimasto.

I Paradisi – Dove andrai (Autoproduzione)

Affondare le radici rock per estrapolare una musica che viene dall’anima non è sempre facile, ma I paradisi in questo album  riescono nell’intento di attingere direttamente la loro coscienza musicale nel mood della psichedelia targata ’60 per un disco che ha il sapore metafisico di un ponte sopra l’Oceano Atlantico, tanto grande da contenere dentro di sé una bellezza spaziosa, che si apre e si restringe e sa creare illusioni parallele e veridicità importante e sentita, frutto di un lavoro in sala prove originale e mai scontato; se possiamo trovare resti e rimasugli del rock passato in questo album i colori che si vanno via via definendo sono improntati su di un’essenza di musica più moderna, ricordando Le Vibrazioni dei primi album, quando ancora per approccio erano molto più underground di come le conosce il pop-olo e le sofisticazioni in apnea di band come i trevigiani Public, un album che racconta le vicissitudini della vita scavando nell’oscurità per cercare un po’ di luce, per cercare un motivo unico e valido per poter viaggiare ancora, tra pezzi che si aprono alla James Bond come per Un brutto sogno per arrivare a Strange Days, passando per la bellissima ed evocativa Voli Via il tutto amalgamando dieci tracce che vanno oltre l’idea di classic rock.

Dove andrai sono dieci pezzi che si perfezionano proprio grazie a quel ponte, in equilibrio, tra mondi totalmente diversi e dove la fame di musicalità esplode attraverso ogni percentile di vibrante attesa.

Massimiliano Larocca canta Dino Campana – Un mistero di sogni avverati (ABuzzSupreme)

Massimiliano Larocca affonda le proprie radici letterarie concatenando il suo stile da cantautore profondo e impegnato con le vicissitudini della vita al limite del poeta italiano, mai totalmente emerso, Dino Campana, per un disco appassionato, vivo e sincero, che prende i testi più conosciuti di Canti orfici e altre poesie e li sperimenta sotto forma di canzone cantautorale, impreziosendo le dinamiche e valorizzando quella capacità primaria del toscano, già fattosi notare soprattutto con l’album del 2014 Qualcuno stanotte, di sintetizzare con savoir faire impegnato un pensiero che scava nel profondo della terra e abbaglia di luce misteriosa una condizione umana di difficile interpretazione; lo fa tuffandosi nella difficoltà dell’impresa di trasportare poesia in canzone e strizzando l’occhio a mostri sacri del tempo passato, rovistando tra le introspezioni musicali di Fabrizio De André e creando un seguito di illustri artisti a condividere forme e pensiero, valore della proposta e soprattutto irripetibilità della stessa, da Nada a Riccardo Tesi passando per I Sacri cuori, Cesare Basile e Hugo Race, artisti accomunati dal voler trasmettere all’ascoltatore un pezzo di cielo da condividere, lassù oltre le stelle, attraverso quel prosimetro di abbandono e solitudine il nostro Massimiliano crea la materia per i nostri sogni, raccontando attraverso le sofferenze di Campana, un mondo fatto di simboli e paure, le nostre forse, che sperimentiamo ogni giorno attraverso un’emarginazione sempre più in vista, anche se più subdola e sottile di prima, una trasposizione quindi ben ragionata che ha il pregio, non banale, di penetrare i cuori e fare in modo che i nostri occhi possano vedere i colori della vita in un altro modo.

Rifkin Kazan – Disco Solare (Dreaming Gorilla/Cave Canem D.I.Y./La Bassa Records/Nebiolo Records)

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Tonnellate di colori a riempire una tavolozza di suoni incedibili e ben amalgamati, stesi al sole e pronti ad annunciare al mondo una nuova vita, una nuova realtà, un nuovo modo egregio di interrompere la quotidianità più nera per affondare la testa dentro ad una fessura caleidoscopica da cui poter osservare la realtà sotto un’altra forma più incisiva e allo stesso tempo ironica e dirompente, assiepata e mutevole, cangiante solarità in giornate di pioggia dove la commistione di strumenti e stili espressamente prog si fondono con l’esplosività e la follia di questi ragazzi capaci di dare corpo ad un abbracciarsi costante di suoni dal mondo, senza schemi prefissati, senza inseguire le mode, ma solo e soltanto scavando dentro alle loro realtà, abbattendo la noia e rincorrendo un vortice situazionale che impreziosisce la proposta partendo da Leve, fino alla pazza gioia di Credo sanguinario, passando per le geniali Panino e Ora di scuola, per un disco da ascoltare assolutamente, un album fuori dalla testa, dentro al cuore e questo basta.

The Circle – How to control the clouds (Prismopaco Records/Costello’s)

Come controllare le nuvole, tra sbalzi umorali e tempeste in arrivo, i nostri torinesi The Circle ce lo spiegano, confezionando un ottimo lavoro rock dal gusto internazionale capace di concentrare gli spazi angusti in esplosioni pop che colorano l’aria e abbracciano tempestivamente le orme caratteriali dei primi 2000, facilmente accessibili a delay che diventano per l’occasione un marchio di fabbrica a ristabilire un giusto equilibrio tra introspezioni d’animo ed energia pronta ad uscire in qualsiasi momento, facile viene il paragone con i britannici Coldplay, sia per stile che per orecchiabilità della proposta, in cerca di una fase sempre attiva di sperimentazione, simili per certi versi a quel  X&Y che ha visto la band capitanata da Chris Martin porsi tra un crocevia che lega passato con il futuro; i nostri però, in questa prova, si propongono attraverso una forte dose di personalità e coraggio, dentro ad un mondo che è in continuo e veloce sviluppo, loro sono lì a raccontarlo e lo fanno attraverso pezzi come Shadows, The Endless Sky, Love don’t cry per un disco che ha una modernità impattante di fondo pronta ad esplodere in ogni momento per colorare un mondo che ha bisogno ancora di luce.