Dax e gli Ultrasuoni – Domenica (Autoproduzione)

daxChe la spensierata festa abbia inizio.

Coriandoli colorati pronti a vibrare nell’aria ad indicare che un nuovo giorno è arrivato, pronto ad accoglierci e a stupirci, a rendere vera ogni nostra possibilità di incontrare qualcuno, di stare fuori fino a tardi, di assaporare quella sensazione di appartenenza che ci accomuna.

Dax e gli Ultrasuoni nel loro secondo disco vogliono raccontare proprio questo.

Una confezione che è anche un sacchetto di carta, un “pocket-lunch” da portare con se, in un giorno di festa, tra festeggiamenti e suoni che abbracciano cantautorato e melodie folk-pop di classe, quasi da balera estiva, tra il rincorrersi sonoro di immagini nel cielo.

Questo è un disco che parla al positivo, che racconta con semplicità un modo di essere, di vivere a contatto con ciò che più ci sta a cuore e si evidenzia dal fatto che i testi sono un pieno di vitalità all’ennesima potenza.

Si parte in velocità conclamata con cinque euro di mancia passando per la bellissima in lustrini Retrò, non mancano poi i momenti più introspettivi  in pezzi come A di amore o Coriandoli dentro.

Riuscito poi l’inno Gli anni 2000 che fa apripista al finale Niente di serio.

Un disco allegro e spensierato, a tratti pieno di quell’energia vitale che deve essere il nostro motore di lancio verso nuove e sconfinate avventure.

Minimal Whale – Minimal Whale (Marsiglia Records)

L’evoluzione del grunge ce la consegnano i Minimal Whale, caratterizzati da una forte capacità espressiva da locale assetato e da sguardi inattesi e rubati.

L’evoluzione del rock quindi la troviamo in queste sei tracce, accomunate da sonorità tardo novanta con all’interno quella caratteristica inusuale di creare un connubio tra chitarre distorte e strumenti come sax e pianoforti.

Laydown ne è l’esempio più lampante, metrica perfetta per imbastire una meraviglia sonora da colonna portante per i nostri giorni.

Questa è una musica che va ben oltre le capacità di governare il tempo e il fattore emozionale come quello di improvvisazione è legato da un filo sottile che ci regala attimi di puro delirio in bridge quasi sconnessi, ma efficaci.

Oscuri e criptici, ricordano per certi versi il fortunato esordio dei Vanity, ma con un piglio di disincanto maggiore, capaci di inondare energia innaturale nel palco della vita.

Un gran bel disco, compatto e granitico, portatore, nella tradizione, di innovazione.

Athene Noctua – Others (Dreaming Gorilla Records)

Rock strumentale, stellare, claustrofobico: un viaggio verso un pianeta sconosciuto, pronto ed eterno quasi ad indicare la formula magica per non avvicinarsi al suolo.

Tribale suono che ti ammalia e ti trasporta, fatto di amore per l’improvvisazione e le distorsioni sonore, un concentrato di polvere da sparo che è lì pronta per scoppiare e ad ammaliare, ricoprendo il tutto di luce e di candore, di eternità racchiusa, di bellezza che accorpa masse indistinte di vita.

Un album matematico, da palco, sconfinata opera per territori lontani che si incanalano nel post rock e nello stoner con compressioni e divagazioni mentali per un viaggio senza ritorno.

Interferenze quindi galattiche, che sono pronte ad esplorare e a chiedersi il perché in una continua ricerca di sensazioni sonore sempre nuove.

Gli Athena Noctua sono Andrea Baio, Tommaso Fia, Cristiano Rossi e Simone Rossi e questo è il loro secondo prodigioso album.

I Goldoni – Un diversivo (Autoproduzione)

Questi tre sono dei fusi completi.

Rock and roll contaminato da testi istrionici e goliardici, ricchi di spunti di riflessione che abbracciano il folk e la musica d’autore.

Ascoltare i Goldoni è avere l’estate garantita tutto l’anno, tra umorismo e scelleratezza che da un sacco di tempo non si sentiva in un disco.

Un diversivo nasce quindi come riempimento, ma anche come esigenza di comunicare in una società che non ci da questa possibilità, pensiamo a canzoni come due punto zero, inno che parla della morte della musica e della parola in un costrutto di facile appeal dove piccoli inframezzi parlati fanno da apri pista per esilaranti pezzi ballabili.

Tra tutto questo però c’è anche la riflessione, il voler essere quello che si è, senza pretese, ricercando quella felicità che non si trova nei film o nelle pagine di un libro.

Un plauso dunque a questi laziali, per aver dato vigore ad un genere, prendendosi i propri spazi e la capacità di osare, caratteristiche essenziali per un ottimo diversivo.

Cadori – Cadori (Autoproduzione)

Finalmente un ragazzo che va oltre il cantautorato penoso e ripetitivo che rispecchia l’attualità dei premi Tenco, povero Tenco, e derivati.

Cadori regala emozioni e sembra quasi di ascoltare, per scelta di stile e arrangiamenti, quel Bon Iver a metà tra il For Emma e il successivo omonimo.

Arrangiamenti essenziali, solidi, che si intensificano con il passare delle canzoni.

Istantanee racchiuse da colori velati, seppia, una chitarra acustica che fa il suo dovere e un’elettronica non gridata, non disturbante, ma che ti abbraccia come un caldo manto invernale di lana, tra l’umidità dei vetri di un’auto che aspetta la nascita di un nuovo amore.

Pezzi come Countri 1 o la meditativa Fuori cadono fulmini sono sufficienti per riassumere un pensiero, una ragione per cui credere che tutto quello che ci sta attorno vale la pena di essere vissuto.

Notevole il cambio di stile in La brutta musica, una techno dal richiamo lontano che fa calar le luci in Tempeste di sole e chiudere il cerchio con Le cose.

Album riuscito, pieno di immagini di un crepuscolo lontano, che guarda al nuovo giorno con l’introspezione di chi solo sa regalare poesie che rimangono nella nostra mente.

Ottodix – Chimera (Discipline Records)

Alessandro Zannier in arte Ottodix, trevigiano, al quinto disco intensifica le sue capacità di artista poliedrico tra musica, arti visive e letteratura.

Per l’occasione il progetto Chimera uscirà sotto forma di disco, ma anche di mostra itinerante e di cortometraggio.

Un album elettronico che abbraccia la post new wave, la canzone d’autore moderna e del passato.

Disco pieno di citazioni e complesso, stratificato, in cui la chiave di lettura è da svelarsi nella composita mescolanza di luci e ombre che caratterizzano la nostra vita, la nostra esistenza.

Un album epico, dove una voce che ti entra dentro con disinvoltura si destruttura attraverso basi elettroniche espressive.

De Chirico si incrocia a Magritte e il risultato è un tunnel a cinque dimensioni dove perdersi è la sola via di fuga per la partenza di un nuovo viaggio verso infiniti spazi siderali.

Coadiuvato dai sempre presenti Mauro Dix Franceschini e Antonio Massari, il nostro per l’ennesima prova da studio, si concede in pompa magna, facendosi aiutare da orchestre di strumenti a fiato e dagli archi, con l’intenzionalità di creare un The Wall del nuovo millennio.

Sembra quasi di ascoltare nuovamente i La Crus, rinati e per l’occasione rinvigoriti, in un approccio moderno, attuale, suburbano e incendiario.

Audacia tanta quindi e capacità di non demordere, osando e superando il comune pensare, in un’ottica di ricerca e profondità che è rara da trovarsi nel panorama della musica italiana.

Claudia Cestoni – La casa di Claudia (The sounds of violins)

Entrare in punta di piedi all’interno di un labirinto suadente, fatto di immagini e capacità espressive che richiamano atmosfere fiabesche impadronendosi del nostro essere, delle nostre capacità, una comunione col tutto in un abbraccio infinito.

Il disco d’esordio di Claudia Cestoni è calibrato, perfezionista, racchiuso tra mura domestiche, ma che ricopre finalmente, a mio avviso, tutta l’esigenza di creare un nuovo cantautorato al femminile.

Si incrociano Consoli, Turci, Rei; quella musica dalle caratteristiche alternative che regalano emozioni da far ascoltare in un inverno che deve ancora arrivare.

Prodotto dal violinista Adrea De Cesare (tra gli altri Fabi, Nava, Negramaro), il disco ha un sapore internazionale, movimentato e introspettivo quanto basta per gridare, dico io finalmente, al miracolo.

Un disco sulla casa, sulla cura di essa, un disco sull’amore, su chi parte e chi torna, . persone in movimento che si guardano senza toccarsi, sussurri vitali in città claustrofobiche: questa è Claudia e questa è la sua casa.

 

Ale Mask – Buongiorno (VREC)

Il Buongiorno si vede dal mattino…e la risposta non arriva, ma sarà comunque un buongiorno.

Non è una para mattutina, ma il nuovo, primo disco di Alessandro Bernini, in arte Ale Mask, che mescola capacità espressiva, ironico savoir faire e tanta, tanta esperienza accumulata nel corso degli anni con i precedenti progetti Salambò e Arycara.

Ascoltare Alessandro è come immergersi in una vita in cui noi poveri illusi tentiamo di arrancare o di essere qualcuno senza fare i conti con i contraccolpi e le occasioni mancate, i fattori esterni e le pubblicità che ci costringono ad essere, relegati ad un cappotto con la firma e privi di spessore caratteriale.

Buongiorno è un disco che ci introduce in una realtà scoperta, quella di tutti i giorni, che non ha bisogno di presentazioni, ma che si fa sfondo per la narrazione di vicende confezionate da un cantautorato estivo sulla soglia della maturità, in continuo mutamento, che grazie a testi, a tratti disillusi, ci regala attimi di ilarità racchiusi da un sorriso a denti stretti, in un vortice da cui non poter uscire.

Pensare a pezzi come l’affanno di una corsa, indifferente o il cantautore ci fanno presto capire il pensiero di questo menestrello, davanti all’enormità della vita, una montagna da scalare per raggiungere il cielo.

Ecco allora che il cerchio si chiude, arriva sera anche quest’oggi e noi da questo domani che deve arrivare, che cosa impareremo?

Gianmaria Simon – L’ennesimo Malecon (VREC)

Travolti e inglobati da una musica che non ha confini, ricca di quelle sfumature che ti fanno sentire vivo e che ti rendono partecipe di un progetto globale che va ben oltre il comune aspetto e il comune pensiero.

Questa di Gianmaria è una musica cosmopolita e democratica, una musica di frontiera che racconta di territori aridi da vivere spassionatamente come una bottiglia di whisky o come un amore dal tragico finale passando per le vette degli alberi e perché no anche sulle montagne.

Parlo di montagne perché forse l’approccio che conquista è il raccontare di una natura che è parte integrante di un nostro essere, di un qualcosa di meraviglioso passando inevitabilmente al rapporto che si crea con una società che vede l’uomo  uniforme che cerca una strada per scardinare ciò che è convenzione.

Gianmaria va oltre questo, prende la sua chitarra e conquista le strade di Francia e Germania, sale sugli alberi e impersonifica un Barone Rampante in evoluzione.

Ecco allora che nella sua prima prova da studio convince perchè il suo background culturale e artistico spazia in modo convincente guardando Capossela da vicino, ma con un occhio tendente anche a tutto ciò che è balcanico e zingaresco, tra incursioni alla Goran Bregovic in un film di Kusturica.

Ecco allora che il teatro canzone si amplifica in circo dove la gente è parte integrante di uno spettacolo che non ha mai fine.

Tanto di cappello, a cilindro in questo caso, per questo cantautore, malinconico e introspettivo quando serve e furente e leggiadro nei  momenti meno raccolti, a creare un cerchio di comunicazione che va ben oltre ciò che noi possiamo vedere.

 

 

La Clé – L’amore è eterno finché dura (Autoproduzione)

Non è un disco dei Non voglio che Clara, vi beccate la loro intervista nell’articolo precedente, qui si spazia in territori ostili, elettrizzanti con attitudine punk da primi della classe, stiamo parlando del nuovo Ep dei La Clé, band proveniente da Tolentino nelle Marche che si caratterizza per un suono frizzante e sempre in continua salita.

Dopo averli lasciati con Via dalla Routine nel loro percorso di scoperta e maturazione, ascoltarli ora è come fare un tuffo nella new wave nostrana, per capacità espressiva e per caratteristiche che li rendono capaci di spaziare con facilità tra vari generi facendo del tutto un qualcosa da costruire e da rimodellare.

Tra le 5 tracce compare il singolone, che proprio inedito non è, perché si tratta della cover di Pop porno de Il genio, arrangiata per l’occasione in chiave distorta e corale, quasi fosse un inno da stadio.

Le altre canzoni scivolano bene dall’intro di Lei suona finendo con Balla, raccontando di piccole storie, di vita quotidiana, di inadattamenti, strizzando l’occhio a band come Tre allegri ragazzi morti o per similitudine di approccio accostandosi ai bresciani Gli eroi.

Un disco che fa riflettere e ballare, un disco per ogni momento, sporco quanto basta per non essere commerciale, a tal punto da trovarsi uno spazio dove risiedere, tra le peripezie di ogni giorno e le prove corali di quattro giovani ragazzi.